Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23001 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. I, 04/11/2011, (ud. 30/09/2011, dep. 04/11/2011), n.23001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12441/2010 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

D.P.G.;

– intimato –

avverso il decreto n. 294/2009 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

6.4.09, depositato il 05/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

30/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FEDERICO

SORRENTINO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- D.P.G., nel 2008, ha adito la Corte di appello di Perugia al fine di ottenere un’equa riparazione per l’irragionevole durata di due procedimenti penali iniziati nei suoi confronti: il primo era stato definito nel 2004, in relazione al quale la Corte di merito ha dichiarato improponibile il ricorso per tardività; il secondo, originato dal primo a seguito di stralcio disposto nel 2001 ma, secondo la Corte di merito, per reato per il quale era stata disposta la misura cautelare personale il 4.11.1999 nell’ambito del primo procedimento, era ancora pendente (il GUP aveva rigettato nel 2003 la richiesta di archiviazione fissando l’udienza nel 2004, nella quale aveva ordinato la formulazione dell’imputazione; il P.M. il 26.9.2006 aveva nuovamente richiesto l’archiviazione per prescrizione e il GUP aveva emesso nuovo provvedimento di imputazione coatta il 22.5.2008).

In relazione al secondo procedimento, ritenuta ragionevole la durata delle indagini preliminari (complesse) nella misura di un anno e sei mesi, la Corte di appello ha ritenuto violato il termine ragionevole nella misura di sette anni e sei mesi, computando la durata complessiva dall’esecuzione della misura cautelare nel primo procedimento (1999). Ha quindi liquidato l’indennizzo per danno non patrimoniale nella misura di Euro 12.000,00, riconoscendo, inoltre, il danno alla salute sulla base di certificazioni mediche nella misura di Euro 10.000,00.

Contro il decreto della Corte di appello il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Non ha svolto difese l’intimato.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in Camera di consiglio.

2.1.- Con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge deducendo che erroneamente il dies a quo della durata delle indagini preliminari è stato individuato in quello di applicazione della misura cautelare nel primo procedimento, peraltro senza lettura del provvedimento coercitivo, anzichè dalla notificazione della richiesta di archiviazione, risalente al 2003.

Il motivo è fondato in quanto la Corte di appello si è limitata a “presumere” la conoscenza della contestazione e, inoltre, ha valutato la complessiva durata del secondo procedimento computando la durata a far tempo dalla misura cautelare emessa nel primo procedimento e senza accertare se parte attrice fosse a conoscenza dello “stralcio” e dell’inizio del secondo procedimento, prima della notificazione della richiesta di archiviazione.

2.2.- Con il secondo motivo il Ministero ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’avvenuta liquidazione del danno alla salute sulla base di certificazioni, senza ulteriori accertamenti istruttori, cumulando tale posta di danno a quello liquidato come danno patrimoniale.

Anche la seconda censura è fondata perchè in tema di equa riparazione per la durata irragionevole del processo, il danno biologico derivato da tale durata non può ritenersi presuntivamente sussistente, essendo necessaria la prova della sua esistenza e del nesso di causalità tra la irragionevole durata del processo e il danno (Sez. 1, Sentenza n. 6294 del 16/03/2007).

Nella concreta fattispecie nel decreto impugnato manca ogni riferimento al nesso di causalità (tra l’altro riferito al primo procedimento: pag. 5).

D’altra parte “il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d.

estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale” (Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008).

Il decreto impugnato, dunque, deve essere cassato con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia – che si atterrà ai principi innanzi enunciati – e anche per il regolamento delle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame e per le spese alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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