Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23 del 03/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 03/01/2017, (ud. 24/06/2016, dep.03/01/2017),  n. 23

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria C. – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.L.E. (c.f. (OMISSIS)) e F.R. (c.f.

(OMISSIS)), rappresentate e difese, per procura speciale in calce al

ricorso, dall’avv. De Angelis Mauro (c.f. (OMISSIS)) e con lui

elett.te dom.te presso lo studio dell’avv. Caianiello Salvatore in

Roma, Via Sebino n. 11;

– ricorrenti –

contro

D.S.R. (c.f. (OMISSIS)) e S.A.M. (c.f.

(OMISSIS)), rappresentate e difese, per procura speciale a margine

del controricorso, dagli avv.ti Vincenzo Pompa (c.f. (OMISSIS)) e

Vincenzo Francesco Sbrescia (c.f. (OMISSIS)) ed elett.te dom.te

presso lo studio del primo in Roma, Via Pisanelli n. 2;

– controricorrenti –

e contro

CLINICA VESUVIO S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2964/2011 della Corte d’appello di Napoli

depositata il 27 settembre 2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24

giugno 2016 dal Consigliere Dott. DE CHIARA Carlo;

udito per le controricorrenti l’avv. Vincenzo POMPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Le sig.re D.S.R. ed S.M.A., socie accomandanti della Casa di cura Vesuvio della dott.ssa B.L.E. & Co. s.a.s., convennero davanti al Tribunale di Napoli la società e le socie accomandatarie, nonchè amministratrici, sig.re B.L.E. e F.R.. Esposero che partecipavano al capitale sociale di Lire 45.000.000 per le quote, rispettivamente, del 10,67% e del 6,11%; che il bilancio societario dell’anno 2000 si era chiuso con perdite per Lire 262.789.827, le quali avevano completamente azzerato il capitale sociale; che tali perdite, “riportate a nuovo”, erano state ripianate nel bilancio dell’esercizio 2001 imputandovi la parte corrispondente al loro importo degli utili registrati in quell’esercizio, ammontanti a complessive 439.304.574; che i restanti utili di Lire (439.304.574 – 262.789.827 =) 176.514.747 erano stati destinati per metà a un fondo di riserva e per metà erano stati distribuiti tra i soci, sicchè la sig.ra D.S. aveva poi percepito utili per Euro 4.863,50 e la sig.ra S. per Euro 2.875,00; che i soci accomandanti partecipano alle perdite soltanto per l’importo del capitale conferito; che invece la socità, coprendo integralmente le perdite dell’esercizio 2000 con gli utili prodotti nell’esercizio 2001, aveva finito col destinare al ripianamento delle medesime perdite anche la parte di utili, spettanti ai soci accomandanti, eccedente tale importo.

Il Tribunale respinse la domanda.

La Corte d’appello di Napoli, adita dalle soccombenti, l’ha invece accolta – condannando conseguentemente le appellate al pagamento di Euro 6.001,15 in favore della sig.ra D.S. e di Euro 3.436,11 in favore della sig.ra S. – sul rilievo che, nel ripianare con gli utili dell’esercizio 2001 le perdite dell’anno precedente, la società avrebbe dovuto distinguere tra le quote di spettanza degli accomandatari, tenuti a ripia-nare le perdite senza limiti, e quelle di spettanza degli accomandanti, queste ultime non eccedenti le soglie di Lire 4.801.500 per la sig.ra D.S. e Lire 2.749.500 per la sig.ra S., corrispondenti alle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale. Ciò in coerenza, del resto, con la normativa fiscale, che consente agli accomandatari di portare in detrazione dal reddito imponibile l’intero ammontare, pro quota, della perdita subita, senza alcun limite, mentre agli accomandanti consente di portare in detrazione il solo importo massimo del conferimento iniziale (art. 8, comma 2, T.U.I.R.).

Le sig.re B. e F. hanno proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati anche con memoria. Le sig.re D.S. e S. si sono difese con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., si lamenta che la Corte d’appello abbia (a) omesso di pronunciare sull’eccezione d’inammissibilità dell’appello sollevata dalle appellate, e comunque (b) abbia omesso di dichiarare tale inammissibilità per difetto di specificità dell’appello stesso, con il quale non era stata formulata alcuna puntuale censura della sentenza di primo grado, ma erano state pedissequamente ripetute le difese già svolte davanti al Tribunale.

1.1. – La prima censura (a) è inammissibile perchè il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile allorchè la mancata statuizione attenga, come nella specie, a eccezioni di carattere processuale (cfr., da ult., Cass. 22083/2013, 1701/2009, 3667/2006, 10073/2003).

La seconda censura (b) è infondata perchè quella sottoposta alla Corte d’appello era, in definitiva, una questione di puro diritto, che non necessitava di particolari o ulteriori specificazioni rispetto alla tesi già svolta in primo grado dalle appellanti.

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 2280, 2293, 2303, 2313, 2315 e 2321 c.c., si lamenta che la Corte d’appello abbia accolto la domanda senza tener conto che nella società in accomandita semplice è consentito (a differenza che nelle società di capitali) di “riportare a nuovo” le perdite anche se è stato azzerato il capitale sociale, senza porre in liquidazione la società e senza alcun obbligo di ricostituzione del capitale stesso, da parte dei soci anche accomandatari, con ulteriori conferimenti.

2.1. – Il Motivo è fondato.

Nelle società di persone e in particolare nella società in accomandita semplice non sussiste, come correttamente osservano le ricorrenti, in caso di azzeramento del capitale per perdite alcun obbligo di ricostituzione dello stesso o di messa in liquidazione della società (la garanzia per i creditori rappresentata, nelle altre società, dal capitale sociale è nelle società di persone sostituita dalla responsabilità illimitata dei soci).

Correttamente, dunque, la Casa di cura Vesuvio aveva “riportato a nuovo” le perdite registrate nell’esercizio 2000. Dopo di che, però, il calcolo degli utili ripartibili tra i soci, ai sensi dell’art. 2303 c.c., non poteva essere operato che sul patrimonio effettivo della società, e dunque ripianando anzitutto integralmente la perdita subita nell’esercizio precedente e riportata a nuovo nell’esercizio successivo.

“Riportare a nuovo” le perdite, però, significa che le medesime non vengono in concreto coperte con esborsi dei soci, ma restano imputate al bilancio della società. Non vi è quindi spazio, in tal caso, per l’applicazione dell’art. 2313 c.c., comma 1, che limita la responsabilità dei soci accomandanti alla quota conferita: e ciò per la evidente ragione che nessun esborso ulteriore, rispetto al conferimento iniziale, viene ad essi richiesto.

La pretesa della originarie attrici, attuali controricorrenti, di addebitare ai soci accomandatari una parte di perdite che sarebbe stata illegittimamente addebitata a loro stesse è pertanto priva di base fattuale.

3. – Il terzo motivo di ricorso, con il quale l’accoglimento della domanda da parte della Corte d’appello viene censurato sotto il profilo del vizio di motivazione, resta assorbito.

4. – In conclusione la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del secondo motivo di ricorso.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ult. parte, con il rigetto della domanda attorea.

Le spese dell’intero processo, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda delle sig.re D.S.R. e S.A.M.; condanna queste ultime alle spese processuali in favore delle ricorrenti in solido, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi di avvocato, quanto al giudizio di primo grado, Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi di avvocato, quanto al giudizio di appello, ed Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per compensi di avvocato, quanto al giudizio di cassazione, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2017

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