Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22998 del 17/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/08/2021, (ud. 22/06/2021, dep. 17/08/2021), n.22998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 719/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– ricorrente e controricorrente incidentale –

contro

F.A. (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’Avv.

Prof. GIANNI MARONGIU, dall’Avv. Prof. ANGELO CONTRINO e dall’Avv.

Prof. FRANCESCO D’AYALA VALVA, elettivamente domiciliato presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, Viale Parioli, 43;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del

Piemonte, n. 67/06/11, depositata il 9 novembre 2011;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 22 giugno

2021 dal Consigliere Relatore D’Aquino Filippo;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso principale.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il contribuente F.A., dipendente di Avio SPA, ha chiesto il rimborso delle maggiori imposte corrisposte sulla realizzazione di diritti di opzione per l’acquisto di azioni della controllante Aero Invest I SA, società di diritto lussemburghese non quotata in borsa, diritti assegnatigli nel 2004 e, previa rivalutazione nell’anno 2005 a termini del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 4, esercitati in data 15 dicembre 2006, con contestuale rivendita delle azioni. Il contribuente ha contestato l’applicazione della ritenuta IRPEF meno favorevole, applicata dall’Ufficio sulla differenza tra il prezzo di esercizio del diritto di opzione e il prezzo di rivendita, ritenendo non applicabile la disposizione di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 51, comma 2, lett. g-bis, come riformulata dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, sul presupposto dell’applicabilità della precedente e più favorevole disciplina vigente al momento dell’assegnazione (2004); ha, quindi, chiesto applicarsi la minor imposta sostitutiva del 12,50% sulla plusvalenza tra prezzo di vendita e prezzo di esercizio delle opzioni, nonché ha chiesto tenersi conto della rivalutazione medio tempore operata.

La CTP di Torino ha rigettato il ricorso e la CTR del Piemonte, con sentenza in data 9 novembre 2011, ha parzialmente accolto l’appello del contribuente. La CTR ha ritenuto che, in caso di diritti di opzione attribuiti a dipendenti, il momento impositivo per il datore di lavoro si verifica all’atto dell’esercizio del diritto di opzione. La CTR ha, poi, ritenuto che la fase successiva di vendita a terzi delle azioni non attiene al rapporto di lavoro; ha, pertanto, concluso che la vendita delle azioni va assoggettata a tassazione quale operazione finanziaria, tassandosi la plusvalenza determinata dalla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di realizzo, previa valorizzazione della rivalutazione del diritto di opzione sulla base della perizia effettuata dal contribuente.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il contribuente, che propone a sua volta ricorso incidentale affidato a un unico motivo e ulteriormente illustrato da memoria, ricorso incidentale al quale resiste con controricorso l’Agenzia ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del TUIR, art. 51, comma 2, lett. g-bis, nella parte in cui la CTR ha ritenuto che la fase successiva di rivendita a terzi delle azioni per la quale sia stata esercitata l’opzione non attiene al rapporto di lavoro, con conseguente assoggettamento a tassazione come operazione finanziaria e non quale compenso per l’attività lavorativa svolta. Deduce il ricorrente principale che la scissione dell’esercizio del diritto di opzione – all’atto dell’acquisto delle stesse – dalla fase di rivendita a terzi delle azioni acquistate non trova riscontro nella norma di legge invocata; evidenzia come il beneficio riconosciuto al dipendente contribuente, in forza dello svolgimento dell’attività lavorativa, è quello di lucrare l’eventuale plusvalenza tra la sottoscrizione del diritto di opzione e il prospettato maggior valore del prezzo di mercato delle stesse all’atto dell’esercizio del diritto di opzione; pertanto, prosegue il ricorrente, il reddito da assoggettare a tassazione è dato non dall’acquisto delle azioni (e, quindi, dal mero esercizio del diritto di opzione), bensì dalla cessione sul mercato delle azioni opzionate.

1.2. Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 5, cui rinvia il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 4, convertito con L. 2 luglio 2001, n. 248, nonché falsa applicazione del TUIR, art. 81 (ora art. 67), comma 1, lett. c) e c-bis), nella parte in cui la CTR ha riconosciuto la rivalutabilità delle stock options previo pagamento di imposta sostitutiva. Evidenzia l’Ufficio ricorrente che il diritto di opzione non sarebbe idoneo a generare plusvalenza in quanto, da un lato, ceduto al contribuente a titolo gratuito e, dall’altro, non cedibile a terzi, per cui non potrebbe ragionevolmente essere assoggettato a rivalutazione in assenza della originaria cessione onerosa del diritto. Deduce, pertanto, il ricorrente che il reddito generato dall’esercizio del diritto di opzione non costituirebbe reddito diverso, bensì reddito da lavoro dipendente.

1.3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 1 e art. 3, comma 1, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto applicabile la disciplina del TUIR di cui al TUIR, art. 51, comma 2, lett. g-bis, come riformulata dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248. Evidenzia il ricorrente incidentale che, mancando una disciplina transitoria nel D.L. n. 262 del 2006, la disciplina in oggetto sarebbe applicabile con decorrenza dal periodo di imposta 2007, ossia dal primo esercizio successivo a quello in corso all’atto dell’entrata in vigore della novella, ciò risultando dalla disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, che trova fondamento nel principio di affidamento del contribuente. Evidenzia, ulteriormente, come le modifiche alla disciplina dei tributi periodici emanate in corso d’anno non possono retroagire all’inizio del periodo di imposta, così sancendosi il divieto di retroattività infrannuale.

2. Il ricorso incidentale, il quale assume ruolo pregiudiziale, è infondato. Questa Corte ha ritenuto, anche in casi del tutto in termini rispetto a quello di specie (così rigettandosi le deduzioni contenute dal contribuente in memoria), che “in tema di determinazione del reddito da lavoro dipendente, la disposizione agevolativa che esclude l’imputazione della plusvalenza per le cd. stock options ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 2, lett. g-bis), nella formulazione introdotta dal D.L. n. 262 del 2006, non soggiace all’applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, relativo ai soli tributi periodici destinati a durare nel tempo, avendo la novella inciso meramente sulle condizioni ai verificarsi delle quali può trovare applicazione l’imposta sostitutiva, avente natura istantanea, sicché detta disciplina non contrasta con i principi dell’affidamento e di certezza giuridica, dovendosi escludere che al momento dell’offerta del diritto di opzione il contribuente potesse avere certezza che il valore delle azioni si sarebbe incrementato e potesse, di conseguenza, fare affidamento sull’immutabilità delle previsioni agevolative” (Cass., Sez. V, 30 dicembre 2020, n. 29891; Cass., Sez. V, Cass., 21 gennaio 2020, n. 1238; Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24269; Cass., Sez. V, 1 marzo 2019, n. 6118; Cass., Sez. V, 20 giugno 2018, n. 16227; Cass., Sez. V, 17 luglio 2018, n. 18917). Pertanto, “la disciplina applicabile alle stock option è quella vigente alla data dell’esercizio del diritto di opzione e non quella della loro attribuzione, senza che ciò violi il principio del legittimo affidamento del contribuente, poiché questi, al momento dell’offerta, non ha certezza del futuro incremento delle azioni e della immutabilità della disciplina agevolativa” (Cass., n. 24269/2020, cit.).

3. Ne’ può fondatamente sostenersi che ciò comporterebbe una violazione del divieto di retroattività della norma tributaria, poiché l’operazione alla quale consegue la tassazione non va individuata nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta ad imposizione tributaria, bensì nell’effettivo esercizio del diritto di opzione mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il presupposto dell’imposizione commisurata sul prezzo delle azioni, diritto di opzione rimesso alla libera scelta del beneficiario, secondo modalità e tempi ritenuti opportuni dal contribuente (Cass., Sez. V, 23 dicembre 2020, n. 29343; Cass., Sez. V, 12 aprile 2017, n. 9465).

La sentenza impugnata ha, sotto tale profilo, fatto buon governo dei suddetti principi.

4. Il primo motivo del ricorso principale è fondato. L’attribuzione al dipendente da parte della società datrice di lavoro, a titolo gratuito, dell’opzione di acquisto di proprie azioni (granting), da effettuare entro una certa data (vesting), assume rilevanza fiscale solo se l’esercizio dell’opzione al prezzo di acquisto fissato al momento della concessione dell’opzione (exercising) risulti minore del valore dei titoli al momento dell’acquisto, in modo tale da determinare un guadagno per il beneficiario, che non integra una plusvalenza, ma concorre a formare il reddito di lavoro dipendente (Cass., Sez. V, 6 febbraio 2019, in. 3458), con conseguente “riconduzione del reddito così conseguito nel regime di tassazione ordinaria” (Cass., Sez. V, 27 ottobre 2020, n. 23504). Sicché, deve procedersi all’applicazione dell’aliquota prevista per il reddito ordinario prodotto, “in ordine alla differenza del minor prezzo pagato rispetto al valore delle azioni acquistate e poi rivendute a terzi”, con conseguente erroneità della scissione delle operazioni di esercizio dell’opzione e di rivendita in caso di operazioni contestuali (Cass., n. 23504/2020, cit., del tutto in termini, diversamente da quanto deduce il contribuente: “le azioni, acquistate al prezzo di valore al momento dell’offerta della stock option – Euro 74.375,00 – valevano al momento della assegnazione Euro 432.284,39 ed a tale prezzo sono state poi cedute contestualmente a terzi. Dunque, non vi era plusvalenza da tassare con riguardo alla cessione a terzi. Quello che invece andava tassato era proprio la differenza di valore ottenuta dal contribuente nel versamento di un prezzo inferiore – fissato al momento della offerta del diritto di opzione – al valore che le azioni avevano al momento dell’esercizio della opzione con contestuale rivendita a terzi”). Ne’ ricorrono le circostanze di cui all’art. 51, comma 2-bis (esercizio dell’opzione oltre un triennio dall’attribuzione, quotazione della società in mercati regolamentati, mantenimento di un investimento in titoli di cui all’art. 51, comma 2-bis, lett. c), per almeno cinque anni). La sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto di operare una scissione dell’esercizio del diritto di opzione dalla fase di rivendita a terzi delle azioni acquisite, con conseguente assoggettamento del prezzo di rivendita all’aliquota del 12,50%, non ha fatto buon governo di tali principi e va cassata.

5. Il secondo motivo è parimenti fondato. In tema di determinazione del reddito imponibile, la L. n. 448 del 2001, art. 5 – cui rinvia il D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 4 – nel consentire al contribuente la rideterminazione del valore di acquisto delle partecipazioni (qualificate e non qualificate), previo versamento di un’imposta sostitutiva sulla rivalutazione, disciplina le plusvalenze e minusvalenze derivanti, in caso di cessione a titolo oneroso, da redditi diversi di natura finanziaria di cui al TUIR, art. 81, con la conseguenza che non è applicabile alle stock options correlate all’imposizione di plusvalenze imputabili a redditi di lavoro dipendente (Cass., n. 29891/2020, cit.; Cass., Sez. V, 1 marzo 2019, n. 6118), posto che, trattandosi di tassazione ordinaria da lavoro dipendente, non può farsi applicazione del regime di tassazione delle plusvalenze in tema di redditi diversi, né sussistendo in tesi neanche il divieto di doppia imposizione TUIR ex art. 163, atteso che il contribuente potrebbe agire comunque per il rimborso del pagamento dell’imposta sostitutiva (Cass., n. 29343/2020, cit.; Cass., Sez. V, 9 ottobre 2020, n. 21788; Cass., Sez. V, 6 ottobre 2020, n. 21404; Cass., Sez. V, 17 gennaio 2020, n. 918; Cass., Sez. V, 23 dicembre 2019, n. 34403; Cass., Sez. V, 4 dicembre 2019, n. 31620; Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24269; Cass., Sez. V, 2 luglio 2019, n. 17695; Cass., Sez. V, 1 marzo 2019, n. 6118). La sentenza impugnata, anche sotto tale profilo, non si è attenuta ai suddetti principi e va cassata.

6. Il ricorso principale va, pertanto, accolto e va rigettato il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamento in fatto ex art. 384 c.p.c., la causa va decisa nel merito, rigettandosi l’originario ricorso del contribuente. Le spese del doppio grado di merito sono integralmente compensate stante l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità. Le spese del giudizio di legittimità sono soggette a soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato per il ricorrente incidentale.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso; dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito; condanna il controricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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