Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22997 del 02/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 02/10/2017, (ud. 05/04/2017, dep.02/10/2017),  n. 22997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17357-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE,

C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

G.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARIA

MONTALDO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2302/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/04/2012 R.G.N. 11070/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO MARCHINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Tribunale di Roma respingeva il ricorso proposto da G.D. nei confronti del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare diretto ad ottenere – in applicazione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 49, – il reinquadramento nel ruolo unico della dirigenza a seguito della effettuata procedura di mobilità prevista del D.P.R. n. 465 del 1997, art. 14 per i segretari comunali e provinciali e la Corte di appello di Roma, con sentenza del 14.4.2012, pronunciando sul gravame proposto dal ricorrente, ne accoglieva la domanda, ed accertava il diritto del G. ad essere inquadrato nella qualifica di dirigente di seconda fascia a decorrere da gennaio 2005 con conseguente condanna al riconoscimento della qualifica ed al pagamento delle differenze retributive maturate.

2. La Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49 sebbene al momento della sua entrata in vigore la procedura di mobilità che aveva interessato il ricorrente fosse già conclusa, ed ha evidenziato che in realtà con la disposizione in parola il legislatore aveva inteso eliminare ogni disparità di trattamento fra gli ex segretari comunali, disponendo che tutti venissero inquadrati nel ruolo unico dei dirigenti dell’amministrazione di destinazione, a prescindere dalla fascia di appartenenza.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre il Ministero dell’Ambiente sulla base di due motivi; l’intimato resiste con controricorso.

4. All’udienza del 5 aprile 2017 il Collegio ha disposto il rinvio a nuovo ruolo della causa in considerazione della fluidità del quadro normativo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Ministero dell’Ambiente, con i due motivi di ricorso, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 48 e 49, e D.P.R. n. 108 del 2004, art. 1, comma 1. Assume che erroneamente la Corte territoriale ha considerato applicabile la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 48 alle procedure di mobilità dei segretari comunali e provinciali in corso di espletamento e il comma 49 alle procedure già esaurite. Il dott. G., a seguito di procedimento di mobilità volontaria conclusosi nel 1999, era transitato alle dipendenze del Ministero dell’Ambiente con inquadramento nella ex 9^ qualifica funzionale (Area C), per cui al momento dell’entrata in vigore della Legge Finanziaria 2005 non si trovava nelle condizioni di cui al comma 48 e di conseguenza allo stesso non poteva applicarsi il successivo comma 49.

Il problema oggetto della controversia concerne l’interpretazione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 49 (finanziaria 2005). Tale norma prevede che, in caso di mobilità dei segretari comunali o provinciali verso altre amministrazioni, qualora sussistano determinati requisiti, costoro devono essere inquadrati “nei ruoli unici delle amministrazioni in cui prestano servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”; in particolare, si tratta di stabilire se tale disposizione riguardi solo i processi di mobilità in corso o successivi alla data di entrata in vigore della legge oppure riguardi anche i processi di mobilità già avvenuti, come ritenuto dai giudici del merito.

3. Le Sezioni Unite di questa Corte, cui la questione era stata rimessa con ordinanza interlocutoria, hanno deciso la stessa, dopo un’articolata ricostruzione della normativa che regola la fattispecie, con le sentenze nn. 784, 785 e 786 del 2016, enunciando il seguente principio di diritto: “In tema di passaggio dei segretari comunali e provinciali ad altra amministrazione pubblica, la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49, che disciplina la possibilità del reinquadramento e dell’accesso alla dirigenza a seguito del processo di mobilità, non si applica, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica e teleologica della norma, ai segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della citata legge, che si riferisce ai soli processi di mobilità eventuali e futuri e non a quelli espletati in applicazione del c.c.n.l. di settore del 16 maggio 2001, dovendosi ritenere una diversa interpretazione lesiva del principio costituzionale dell’accesso alla P.A. per concorso pubblico, applicabile anche alla dirigenza”.

Le Sezioni Unite, effettuando una approfondita ricostruzione del quadro normativo e contrattuale che ha regolato e regola le procedure di mobilità dei segretari comunali (disciplinate, inizialmente, dal D.P.R. n. 465 del 1997, artt. 18 e 19 e successivamente dall’art. 32 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali 1998-2001, dalla L. 27 luglio 2004, n. 186 che abrogò il D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18, dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, interpretata autenticamente dalla L. n. 246 del 2005) hanno ritenuto che la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49, – che disciplina la possibilità del reinquadramento e dell’accesso alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. – non si applica, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica e teleologica della norma, ai segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della citata legge. La disposizione normativa si riferisce, invero, ai soli processi di mobilità eventuali e futuri, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione sarebbe lesiva del principio costituzionale dell’accesso alla P.A. per concorso pubblico, applicabile anche alla dirigenza.

Il suddetto circoscritto ambito di applicazione viene ricavato, dalle Sezioni Unite, non solo da elementi testuali della disposizione normativa (quali: l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria rispetto al contratto collettivo di settore 1998-2001 e rivolta al futuro, in quanto delimitata dalle regole che le parti sociali, in sede di rinnovo del contratto collettivo, vorranno adottare; la previsione del limite del contingente di spesa contenuto nel comma 49) ma altresì da una interpretazione sistematica e teleologica della normativa del 2004, che si colloca nell’ambito di un graduale e costante processo di limitazione dell’accesso alla dirigenza delineato sia dal legislatore che dalle parti sociali. Invero, la regola dettata dal D.P.R. n. 465 del 1997 prevedeva – in caso di passaggio ad altra P.A. – l’attribuzione della qualifica di provenienza; il c.c.n.l. 1998-2001 dei segretari comunali e provinciali ha, da una parte, rivisto il sistema di classificazione e, dall’altra, consentito l’accesso alla dirigenza solamente alle qualifiche più elevate; la legge n. 186 del 2004 ha uniformato la mobilità dei segretari comunali e provinciali alla disciplina generale sulla mobilità dettata dal T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30); la L. n. 311 del 2004, interpretata autenticamente dalla L. n. 246 del 2005, ha apportato ulteriori modifiche in senso riduttivo, prevedendo che anche per i segretari comunali e provinciali delle qualifiche più elevate l’accesso alla dirigenza non costituisse più la regola. Interpretare, pertanto, la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49 in maniera così estensiva da imporre una generalizzazione dell’accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell’opzione per la mobilità prevista dal D.P.R. n. 465 del 1997) sarebbe fortemente contraddittorio con l’evoluzione normativa e contrattuale riscontrata in materia di mobilità dei segretari comunali e provinciali. Nè può correttamente invocarsi il principio di conservazione affermato dall’art. 1367 c.c., criterio sussidiario e concernente l’interpretazione degli atti negoziali (e non normativi), anche a fronte della sussistenza di casi, seppur modesti, di procedure di mobilità in atto alla data dell’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004.

4. Il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno ribadito le conclusioni alle quali questa Sezione era già pervenuta con le sentenze n. 165/2014, 1047/2014, 1324/2014, orientamento ripreso dalle recenti ordinanze nn. 16521, 12035, 12034, 12033 e 7620 del 2016.

5. Le argomentazioni sviluppate dalle Sezioni Unite resistono alle osservazioni critiche del controricorrente, che nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., quanto all’esegesi della norma ha fatto leva sul tenore letterale della stessa, non decisivo per le ragioni evidenziate nel punto che precede.

Parimenti non può essere invocato il processo in atto di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (Legge Delega 7 agosto 2015, n. 124, non seguita dal decreto delegato sulla dirigenza; emendamenti allo schema di decreto legislativo di modifica al T.U. n. 165 del 2001), che prevede una rilevante riorganizzazione dell’amministrazione statale centrale e periferica e, in particolare, interventi sia in materia di dirigenza pubblica sia sulla posizione dei segretari comunali e provinciali.

Il quadro normativo attualmente vigente non offre elementi che incidono sull’interpretazione seguita, trattandosi – alla luce dei principi di delega espressi – di modifica e rimodellazione di ampio respiro, che concerne tutti gli assetti del personale della P.A. (con eventuale delega a unificare, sopprimere ovvero istituire ruoli, gradi e qualifiche e rideterminare dotazioni organiche), secondo un criterio di semplificazione e di riconoscimento del merito e della professionalità.

6. L’eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49 in riferimento all’art. 3 Cost. è manifestamente infondata, oltre che per le ragioni già indicate dalle Sezioni Unite (cfr punti 60-64 sentenza n. 784, 59-62 sentenza n. 785, 60-64 sentenza n. 786), per il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui ” lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche” (cfr. fra le tante Corte Cost. nn. 61/2010, 170/2009, 94/2009, 341/2007) sicchè non è ipotizzabile ingiustificata disparità di trattamento a fronte di una disciplina differenziata applicata alla stessa categoria di soggetti in momenti temporali diversi.

7. Ragioni analoghe portano ad escludere l’ipotizzato contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della CEDU, giacchè, anche a voler prescindere a questione dell’applicabilità della norma nelle sole ipotesi in cui vengano in rilievo le altre norme sostanziali della Convenzione preposte a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (fra le più recenti Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, p. 54; 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, p. 47; 22 marzo 2012, Konstantin Markin contro Russia), la giurisprudenza della Corte è costante nell’affermare che una disparità di trattamento è discriminatoria solo qualora “manchi di una giustificazione oggettiva e ragionevole”, “quando non persegua un fine legittimo” ovvero non sussista “un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito” (Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, p. 59; 25 ottobre 2005, Niedzwiecki contro Germania; 27 marzo 1998, Petrovic contro Austria, p. 30; 1 febbraio 2000, Mazurek contro Francia, p. 46 e 48).

Dette condizioni difettano nella fattispecie perchè l’inquadramento del controricorrente è stato disposto nel rispetto della normativa all’epoca vigente, in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla Carta può essere ravvisata, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un momento in cui la procedura di mobilità si era conclusa, il che esclude ogni profilo discriminatorio della disciplina.

8. Non può trovare accoglimento la richiesta di rinvio del procedimento in attesa di interventi legislativi, che parte resistente prospetta essere in corso, intesi a definire la posizione dei segretari comunali interessati dal contenzioso in esame, poichè le circostanze dedotte a sostegno della richiesta non fanno apparire certa nè imminente la risoluzione della questione.

Al riguardo giova pure ricordare che il principio della ragionevole durata del processo, che ha rilievo costituzionale (art. 111 Cost., comma 2, seconda parte), impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare attività processuali non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto del principio del contraddittorio, da garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a esplicare i propri effetti (cfr. Cass. n. 3189 del 2012; conf. Cass. 20422 del 2012). Ne consegue che al giudice è impedito di adottare provvedimenti che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, ritardino inutilmente la definizione del giudizio, imponendogli un particolare rigore nel bilanciamento delle opposte ragioni, soprattutto nel giudizio di cassazione, aratterizzato da impulso d’ufficio (cfr. sent. n. 3189/12 cit.).

9. In accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la controversia deve essere decisa nel merito con il rigetto, in base al principio di diritto su enunciato, della domanda introduttiva del giudizio;

10. Le ragioni che hanno portato all’intervento delle Sezioni unite, giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2017

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