Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22994 del 18/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/08/2021, (ud. 16/06/2021, dep. 17/08/2021), n.22994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30127/2017 R.G. proposto da:

D.B.L. e M.L., elett.te dom.ti in Roma alla

via Asiago n. 9, presso lo studio dell’avv. Michele Pontecorvo, da

cui sono rapp.ti e difesi, unitamente all’avv. Francesco Cannizzaro,

come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2675/13/17 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata il 14/6/2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 giugno 2021 dalla Dott.ssa d’Oriano Milena.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. con sentenza n. 2675/13/17, depositata il 14 giugno 2017, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, aveva dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dai contribuenti avverso la sentenza n. 5593/12/15 della stessa CTR, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta di registro, relativa alla compravendita di un bene immobile, che conseguiva ad una rideterminazione del valore del bene oggetto di cessione;

3. la CTP aveva rigettato il ricorso, ritenendo corretto l’operato dell’Agenzia delle Entrate, mentre la CTR aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello per tardività, sul presupposto che, in presenza di una sentenza depositata in data 24 luglio 2014, il termine ultimo per proporre impugnazione andasse a scadere il 9 marzo 2015, a fronte di una notifica inoltrata in data 10-3-2015;

4. proposto giudizio per revocazione, la CTR della Lombardia aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso ritenendo che, a fronte di una corretta percezione delle date di deposito della sentenza di I grado e di notifica del ricorso in appello, si fosse in presenza di un eventuale errore di giudizio e non di fatto, esorbitante pertanto l’ambito del ricorso per revocazione e deducibile solo in sede di legittimità;

5. avverso tale pronuncia i contribuenti proponevano ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 11-12-2017 e recapitato il 14-12-2017, affidato a due motivi, e depositavano memoria ex art. 380 bis c.p.c.; l’Agenzia delle Entrate rimaneva intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso D.B.L. e M.L. deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censurando l’impugnata sentenza per aver dichiarato inammissibile il ricorso con una motivazione erronea e meramente apparente, omettendo di rilevare la sussistenza di un evidente errore di percezione in merito al termine per la proposizione dell’appello, che non poteva pertanto costituire punto controverso;

2. con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR erroneamente qualificato come errore di diritto un errore di fatto relativo al computo dei termini di impugnazione.

OSSERVA CHE:

1. Il primo motivo non merita accoglimento.

1.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1 18 giugno 2018 n. 16057; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 201.12 del 2009).

Si è così precisato che “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Vedi Cass. n. 9105 del 2017; n. 20921 del 2019) ed ancora che “La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 ” (Vedi Cass. 13248 del 2020).

1.2 Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Vedi Cass. n. 22598 del 2018).

1.3. Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., in modo compiuto ed argomentato, ha ritenuto che il dedotto errore di computo dei termini per la proposizione dell’appello costituisse un errore di giudizio e non un errore di fatto deducibile in sede di revocazione.

Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, nei termini innanzi descritti.

2. Risulta invece fondato il secondo motivo.

2.1 Come più volte affermato da questa Corte “L’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali. (Vedi Cass. n. 26890 del 2019).

L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (cfr. Cass. n. 13915 del 2005 e 2425 del 2006, v. anche Cass. S.U. n. 9882 del 2001).

Si è quindi evidenziato che “in generale l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa” (Vedi Cass. n. 14656 del 2017).

Di conseguenza, “non è idoneo ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale -quand’anche risulti errata – di revocazione” (Cfr. Cass. n. 13181 del 2013; Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 8828 del 2017; Cass. n. 27570 del 2018).

Tanto premesso, con riferimento a fattispecie analoga a quella in esame, questa Corte ha già ritenuto, con orientamento condivisibile cui va data pertanto continuità, che “L’errore sul computo del termine per la proposizione della impugnazione integra un errore revocatorio, rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto riguarda un fatto interno alla causa che si risolve in una falsa percezione di quanto rappresentato dalle parti, costituendo il rilievo del “dies ad quem” e l’applicazione del calendario comune adempimenti indispensabili per valutare la tempestività dell’impugnazione – elementi facilmente riscontrabili dalla lettura degli atti da parte del giudice. (Vedi Cass. n. 4565 del 2018 e n. 23445 del 2014).

La CTR non ha fatto corretta applicazione di tale principio laddove, a fronte di un motivo di revocazione con cui si lamentava un errore nel computo del termine entro il quale andava proposta l’impugnazione rispetto ad una sentenza depositata il 24 luglio 2014, indicato alla data del 9 marzo 2015 anziché, tenuto conto del termine semestrale applicabile e della sospensione feriale dal 1 agosto al 15 settembre 2014, in quella dell’11 marzo 2015, data entro cui l’atto di appello era stato tempestivamente proposto, perché consegnato per la notifica in data 10 marzo 2015, ha ritenuto fosse stato denunciato un errore di giudizio, e non un errore di fatto, e concluso quindi per l’inammissibilità del ricorso per revocazione.

Per le suesposte considerazioni, rigettato il primo motivo ed accolto il secondo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, per un nuovo esame sulla base dell’enunciato principio, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia per l’ulteriore esame alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

 

 

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