Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22992 del 16/09/2019

Cassazione civile sez. II, 16/09/2019, (ud. 23/01/2019, dep. 16/09/2019), n.22992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7373-2014 proposto da:

M.G., MA.GA., M.A.,

rappresentati e difesi da loro medesimi ex art. 86 c.p.c.

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 107, presso lo

studio dell’avvocato FILIPPO ALAIMO;

– ricorrenti –

contro

COGEPI IMPRESA DI COSTRUZIONI CAV. R.P. SRL, (già spa),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 35, presso

lo studio dell’avvocato GREGORIO L. CRITELLI che li rappresenta e

difende unitamente dall’avvocato MARIANO MARCHESE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 63/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 28/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Fatto

PREMESSO

CHE:

1. Con atto di citazione del 13/6/2000 gli avvocati G., Ga. e M.A. convenivano in giudizio la società CO.GE.PI. s.r.l. in liquidazione, nonchè il liquidatore giudiziale D.C., esponendo che:

– nel gennaio 1993 l’avv. M.B. (di cui gli attori erano cessionari, quali componenti dello studio legale associato, del credito per prestazioni professionali) era stato incaricato dalla società convenuta di assisterla legalmente;

– l’avv. M.B. aveva predisposto istanza per l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata, cui la società, assistita dell’avv. M., veniva ammessa il 7 giugno 1993; in seguito all’aggravarsi delle condizioni della società, negli ultimi mesi del 1994 l’avvocato aveva predisposto istanza di ammissione al concordato preventivo, cui la società era stata ammessa con cessione dei beni ai creditori;

– richiesto dal liquidatore, l’avv. M. aveva comunicato che il suo credito ammontava a Lire 348.683.778 per l’attività di assistenza nella procedura di amministrazione controllata e a lire 671.316.870 per l’assistenza nella procedura di concordato preventivo, crediti risultanti da due lettere di incarico rilasciate dalla CO.GE.PI. in data 5 agosto e 26 ottobre 1994 e comunque dovuti in base alle norme della tariffa forense applicabili all’attività di assistenza nelle procedure concorsuali;

– il liquidatore giudiziale, ritenuto il credito inopponibile alla procedura, aveva riconosciuta come dovuta la sola somma di Lire 90.977.713.

Gli attori chiedevano quindi al giudice l’accertamento del credito dello studio legale M. nella somma di Lire 1.051.600.713, credito privilegiato ex art. 2751-bis c.c., con conseguente condanna dei convenuti al pagamento di tale somma. Il liquidatore giudiziale, costituitosi in giudizio, contestava il carattere concordatario del credito professionale fatto valere per l’attività di assistenza prestata dalla data di apertura dell’amministrazione controllata sino all’omologazione del successivo concordato, in quanto l’accordo professionale intercorso con la società e in forza del quale era dovuto il compenso richiesto era soggetto, trattandosi di attività straordinaria, all’autorizzazione scritta del giudice; esponeva inoltre che gli organi della procedura concordataria avevano ritenuto opponibile e privilegiato il diritto di credito per il compenso relativo agli atti anteriori e preparatori all’istanza di ammissione all’amministrazione controllata.

Il Tribunale di Cagliari – con sentenza 14 gennaio 2004, n. 104 accoglieva integralmente la domanda proposta dagli attori nei confronti della CO.GE.PI s.r.l., accertando il credito dello studio M. nei confronti della società nella somma capitale di Lire 1.051.600.713, oltre IVA e CPA; nei confronti del liquidatore giudiziale riconosceva carattere di credito concordatario, come tale opponibile ai creditori partecipanti al concordato e privilegiato ex art. 2751-bis c.c., al compenso professionale relativo all’attività svolta prima dell’ammissione all’amministrazione controllata, compenso parametrato agli onorari previsti dalla tariffa professionale in materia stragiudiziale per l’assistenza in procedure concorsuali e quantificato in Euro 99.336.

2. Contro tale sentenza proponevano appello principale G., Ga. e M.A., lamentando il mancato riconoscimento del carattere integralmente concordatario e privilegiato del credito, l’errata quantificazione del compenso per l’attività svolta prima dell’ammissione alla procedura di amministrazione controllata e l’omessa pronuncia sulla debenza degli interessi. Il liquidatore giudiziale, a sua volta, faceva valere appello incidentale chiedendo che venisse dichiarata inammissibile, o comunque rigettata, la domanda nei suoi confronti proposta, accertato il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata e rideterminata la quantificazione del compenso.

La Corte di appello di Cagliari – con sentenza 28 gennaio 2013, n. 63 – rigettava l’appello incidentale e accoglieva l’appello principale unicamente in relazione al riconoscimento degli interessi legali; dichiarava che “il credito vantato dagli attori, privilegiato ex art. 2751 bis c.c., ha carattere concordatario limitatamente alla somma di Euro 99.336, oltre il 10% di spese generali, IVA e CPA”, e condannava “la CO.GE.PI. s.r.l. in liquidazione a corrispondere agli attori la somma di Euro 394.396, oltre il 10% per spese generali, IVA e CPA, oltre interessi legali dalla data di notifica dell’atto di citazione in primo grado fino al saldo”.

3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione G., Ga. e M.A..

Resiste con controricorso D.C., quale liquidatore giudiziale della CO.GE.PI. – Impresa di Costruzioni cav. R.P. s.r.l. (già s.p.a.), in concordato preventivo.

L’intimata CO.GE.PI. – Impresa di Costruzioni cav. R.P. s.r.l. in liquidazione non ha proposto difese.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso è articolato in otto motivi, tra loro strettamente connessi, che sono tutti diretti verso la parte della sentenza d’appello che ha negato carattere concordatario all’intero credito dell’avv. M., riconoscendo tale carattere solo al compenso riconosciuto per l’attività svolta prima della ammissione alla amministrazione controllata:

a) Il primo e il secondo motivo lamentano omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e violazione o falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 167 e 181 nonchè dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: con essi, sotto diversi profili, i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte di appello – con motivazione definita “carente ed autoreferenziale” non abbia analizzato i documenti prodotti e, soprattutto, non abbia discusso nè valutato il fatto dell’effettiva ammissione della società assistita dall’avv. M.B. alla procedura di concordato preventivo, procedura volta a conseguire la tutela dei creditori, qualora la procedura si concluda con l’omologazione del concordato; elementi, questi, dai quali si doveva dedurre che l’attività svolta da M. rientrava a pieno titolo tra quelle di ordinaria amministrazione, per le quali non è richiesta una preventiva autorizzazione da parte del giudice delegato.

b) Il terzo e il quarto motivo denunciano rispettivamente violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in correlazione con il R.D. n. 267 del 1942, art. 167, art. 181, comma 1, n. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 2697 c.c. in correlazione con il R.D. n. 267 del 1942, art. 167 e art. 181, comma 1, n. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: i ricorrenti lamentano il fatto che la Corte di appello abbia addossato agli appellanti, senza esaminare la documentazione prodotta, un onere probatorio supplementare rispetto a quello – di per sè sufficiente – di dimostrare le caratteristiche dell’attività professionale espletata dall’avv. M.B. nell’interesse della CO.GE.PI. s.r.l. nella fase compresa tra l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata e quella di ammissione al concordato preventivo.

c) Il quinto ed il sesto motivo lamentano l’uno violazione o falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., in relazione con l’art. 183 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’altro nullità della sentenza e del procedimento per effetto di violazione dell’art. 167 c.p.c. in correlazione con l’art. 183 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la Corte di appello ha fondato la propria decisione sulla mancata prova dell’utilità, per la massa dei creditori, dell’attività svolta dall’Avv. M.B., utilità che non sarebbe però stata contestata dalla difesa di controparte, se non nella memoria di replica del giudizio di primo grado (in cui il liquidatore dichiarò che la procedura concordataria avrebbe recato giovamento solo alla società debitrice e non ai creditori) e quindi tardivamente.

d) Con il settimo motivo – che denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – i ricorrenti sostengono che nel corso del giudizio il liquidatore avrebbe esplicitamente riconosciuto l’opponibilità dell’incarico dell’avv. M.B. in relazione alla fase giudiziale della procedura, sindacando le sole modalità di liquidazione del compenso.

e) Con l’ottavo motivo – che lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. Fall., art. 167 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – i ricorrenti denunciano che per la stessa ragione di cui al precedente motivo la Corte di appello sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione.

I motivi non possono essere accolti. Il giudice d’appello (pp. 1419 della sentenza impugnata) ha condiviso la decisione del primo giudice, che ha riconosciuto carattere concordatario solo al compenso professionale relativo all’attività svolta dall’avv. M. prima della ammissione alla amministrazione controllata, in quanto:

– l’attività successiva andava considerata di straordinaria amministrazione, come tale soggetta alla preventiva autorizzazione scritta del giudice delegato, autorizzazione che non vi era stata nel caso di specie;

– l’attività era da ritenersi straordinaria perchè la concreta finalizzazione della medesima al risanamento dell’impresa, mediante il miglioramento della sua capacità produttiva e reddituale, non è stata dimostrata dagli attori, attuali ricorrenti.

La necessità dell’autorizzazione del giudice delegato, conseguente alla natura straordinaria dell’attività, è stata dal giudice di appello affermata facendo corretta applicazione dell’orientamento di questa Corte (v. in particolare, Cass. 9262/2002, per cui resta di ordinaria amministrazione l’atto finalizzato al recupero dell’impresa, capace di migliorarne la capacità produttiva e reddituale, e Cass. 23796/2006, secondo cui criterio discretivo utile è quello in base al quale è di straordinaria, invece che di ordinaria, amministrazione l’incarico conferito dall’impresa ad un professionista che non sia funzionale “alle necessità risanatorie dell’impresa”).

Tale funzionalità al risanamento dell’impresa è stata ritenuta non provata dal giudice d’appello, con giudizio di fatto insindacabile da questa Corte di legittimità. Nè, al riguardo, assume rilievo la denunciata (primo e secondo motivo) omessa considerazione dell’avvenuta ammissione dell’impresa al concordato preventivo: tale ammissione non rileva ai fini della dimostrazione dell’utilità dell’attività svolta dall’avv. M. in funzione del risanamento dell’impresa); nè il giudice d’appello ha in tal modo imposto un onere probatorio aggiuntivo (terzo e quarto motivo), nè è in tal modo andato (quinto e sesto motivo) ultrapetita, (sin dall’inizio il liquidatore ha infatti contestato la proponibilità stessa della domanda dei ricorrenti e radicalmente negato la natura concordataria del credito fatto valere in quanto l’accordo professionale era soggetto all’autorizzazione scritta del giudice delegato, cfr. p. 6 della sentenza impugnata e p. 5 del ricorso), non assumendo al riguardo rilievo che il liquidatore non abbia mai sostenuto che l’incarico professionale avesse “la finalità di ridurre il patrimonio della CO.GE.PI o di creare vincoli in danno della massa dei creditori” (settimo e ottavo motivo).

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 8.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 23 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2019

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