Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2299 del 02/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 02/02/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 02/02/2021), n.2299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi C.G. – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4423-2019 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BRUNO BUOZZI 77,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA DE PETRIS, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BERTOLONI 44/46, presso lo

studio dell’avvocato FABRIZIO RAVIDA’, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7060/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ha evocato in giudizio M.C. dinanzi al Tribunale di Roma per sentirlo dichiarare responsabile dell’inosservanza dei suoi doveri quale amministratore unico della società dal febbraio 2005 alla data del fallimento e sentirlo condannare alla restituzione della somma di Euro 130.000,00, pari ai corrispettivi di cessione di due rami di azienda da lui trattenuti e non versati nelle casse sociali, nonchè al risarcimento dei danni nell’importo di Euro 904.005,18 per i rimborsi da lui indebitamente percepiti di finanziamenti effettuati in favore della società fallita;

in subordine, il Fallimento ha chiesto il risarcimento dei danni per la mancata adozione tempestiva delle iniziative volte allo scioglimento della società; M.C. ha resistito alla domanda, eccependo altresì la prescrizione; con sentenza del 12/12/2016 il Tribunale di Roma ha accolto le domande proposte in via principale, qualificando la seconda domanda come azione di responsabilità nei confronti del M. quale amministratore e non già come azione di restituzione promossa verso il M. quale socio, e assumendo che la restituzione fosse avvenuta in violazione della regola della postergazione, mediante sottrazione della somma alle casse sociali;

con sentenza del 9/11/2018 la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da M.C. con aggravio delle spese del grado;

avverso la predetta sentenza, notificata il 26/11/2018, con atto notificato il 23/1/2019 ha proposto ricorso per cassazione M.C., svolgendo un motivo, al quale ha resistito con controricorso notificato il 4/3/2019, chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la trattazione in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RITENUTO

che:

con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia errata interpretazione della domanda e lamenta mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonchè vizio di extrapetizione ex art. 112 c.p.c., e art. 113 c.p.c.;

il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello abbia accolto la domanda del Fallimento di condanna alla restituzione dell’importo di Euro 904.005,18, qualificando anch’essa, al pari delle altre, come domanda di accertamento della responsabilità del M. per atti di mala gesti come amministratore della società, benchè fosse stata proposta ex art. 2467 c.c., nei confronti di M.C., non quale amministratore unico, ma in qualità di socio;

la Corte territoriale, al pari del Tribunale di primo grado, ha ritenuto che anche la domanda in questione fosse rivolta nei confronti del convenuto, non già quale socio ma quale amministratore della società fallita, nonostante l’erronea espressione delle conclusioni dell’atto di citazione di primo grado in cui era stata chiesta la “restituzione” sia della somma di Euro 130.000,00 per le due cessioni di ramo d’azienda, sia della somma di Euro 904.005,18 per indebito rimborso a sè stesso di somme relative a pregressi finanziamenti soci, oggetto di postergazione e che la predetta domanda dovesse essere interpretata come volta a chieder conto al M. della violazione dei doveri gravanti sull’organo gestorio e a pretendere il risarcimento del danno causato con tali condotte alla società e al ceto creditorio;

il motivo è inammissibile perchè l’interpretazione della domanda giudiziale non involge l’accertamento di un vizio in procedendo e costituisce attività riservata al giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione, entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 1, n. 29609 del 16/11/2018, Rv. 651655 – 02; Sez. 6 – 1, n. 31546 del 03/12/2019, Rv. 656493 – 01);

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate nella somma di Euro 8.000,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

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