Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22988 del 11/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/11/2016, (ud. 13/07/2016, dep. 11/11/2016), n.22988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16132/2015 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ACQUEDOTTO PAOLO

22, presso il Signor BIAGIO MARINELLI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANNA RITA MOSCIONI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 148/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

17/11/2014, depositata il 26/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con Decreto 26 gennaio 2015, la Corte d’appello di Perugia rigettava la domanda di equa riparazione proposta da P.C. in relazione ad una causa che questi aveva promosso innanzi alla Corte dei conti nel 2002 e definito nel 2010. Osservava la Corte distrettuale che il giudizio presupposto aveva avuto ad oggetto il computo nella base pensionabile dell’assegno di funzione, con conseguente applicazione dell’aumento del 18% previsto dalla L. n. 176 del 1977. Rilevava, quindi, che dopo iniziali oscillazioni della giurisprudenza contabile di primo grado, quella d’appello a partire dal 2003 si era decisamente e costantemente assestata (con decisioni nn. 314/03, 315/03 e 336/03) in senso sfavorevole alla pretesa. Pertanto, quanto meno da tale momento in poi era cessata ogni incertezza sull’esito negativo della lite, incertezza che si era potuta concentrare solo per il periodo precedente (luglio 2002 – novembre 2003), che tuttavia era interamente ricompreso nel triennio di durata ragionevole.

Per la cassazione di tale decreto P.C. propone ricorso affidato ad un motivo articolato in tre punti.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e segg., art. 6, par. 1 CEDU e il vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Sostiene il ricorrente che:

a) il decreto impugnato ha disatteso la giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui il danno non patrimoniale da durata irragionevole del processo non può essere escluso dall’esito negativo, sia pur prevedibile, della lite, salvo l’ipotesi di lite temeraria o di abuso del processo. Analogamente, anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha sempre considerato irrilevante la soccombenza della parte danneggiata dall’eccessiva durata del processo;

b) nel disattendere tale costante indirizzo la Corte di merito non ha fornito logiche e coerenti motivazioni di sostegno, atteso che la durata del processo svoltosi innanzi alla Corte dei conti ha largamente ecceduto il limite di durata ragionevole;

c) la quantificazione del danno deve risultare (non indebitamente lucrativa ma ad ogni modo) satisfattiva del pregiudizio subito, e sostanzialmente conforme, pur nella diversità dei criteri di calcolo della legge nazionale, agli standard di liquidazione della Corte EDU, tenendo conto, altresì, della natura individuale e non già collettiva dell’azione intrapresa dall’odierno ricorrente innanzi al giudice contabile.

2. – Il motivo è infondato in ciascuna delle sue due censure, da esaminare congiuntamente (quanto esposto sub c) del paragrafo che precede non integra una censura al provvedimento impugnato – poichè in esso è rimasta assorbita ogni questione sul quantum debeatur – ma si limita a prefigurare i criteri di liquidazione adottabili nel caso di cassazione sostitutiva ex art. 384 c.p.c., comma 2, seconda ipotesi).

Come questa Corte ha già avuto modo di osservare, “(s)ebbene sia consolidato il principio secondo cui il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, compete a tutte le parti del processo, indipendentemente dall’esito del giudizio presupposto, deve tuttavia osservarsi che il patema da ritardo nella definizione del processo è da escludersi allorchè la parte rimasta soccombente, consapevole dell’inconsistenza delle proprie istanze, abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza e, dunque, elidendosi il presupposto dello stato di disagio e sofferenza (cfr. Cass. nn. 10500/11, 25595/08 e 17650/02). Una situazione soggettiva scevra da ogni ansia derivante dall’incertezza dell’esito della lite può essere originaria o sopravvenuta, secondo che la consapevolezza del proprio torto da parte dell’attore preesista alla causa ovvero intervenga nel corso questa, per effetto di circostanze nuove che rendano manifesto il futuro esito negativo del giudizio. In quest’ultimo caso, pur non potendosi configurare una fattispecie di lite propriamente temeraria, per l’iniziale buona fede della parte attrice, la reazione ansiogena su cui si fonda il diritto all’equa riparazione ai sensi della Legge c.d. Pinto è da escludersi a decorrere dal momento in cui la parte stessa acquisisce tale consapevolezza, facendo venir meno da allora in poi il diritto all’indennizzo per la successiva irragionevole durata della causa” (così in motivazione, Cass. n. 4890/15).

2.1. – Nella specie, la Corte territoriale ha motivato il diniego dell’indennizzo in considerazione del fatto che dopo iniziali oscillazioni della giurisprudenza contabile di primo grado, quella d’appello si era decisamente e costantemente assestata a partire dal 2003 (con decisioni nn. 314/03, 315/03 e 336/03) in senso sfavorevole alla pretesa azionata dall’odierno ricorrente. Pertanto, quanto meno dal mese di novembre del 2003 (epoca cui risaliva la pubblicazione della terza sentenza sopra richiamata), era venuta meno ogni possibilità di accoglimento della pretesa azionata dall’odierno ricorrente. Di conseguenza, doveva ritenersi che da allora questi avesse acquisito consapevolezza del fatto che la sua domanda sarebbe stata resphitz, per cui la pendenza del giudizio non poteva più comportare per lui alcun turbamento legato all’incertezza dell’esito della lite. Pertanto, il pregiudizio rilevante ai fini della L. n. 89 del 2001, si era concentrato nel solo periodo compreso tra il mese di luglio 2002 (epoca d’inizio del processo) e il mese di novembre 2003 (momento di cessazione del paterna d’animo), che però era interamente ricompreso nel triennio di durata ragionevole, mentre nel periodo successivo il ricorrente, ormai certo dell’esito sfavorevole del giudizio, non aveva subito alcun pregiudizio.

Detta giustificazione del decreto (peraltro del tutto comprensibile e logica) non è (più) censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, essendo venuto meno il controllo di legittimità sulla motivazione in seguito alla modifica che a detta norma è stata apportata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 e che ha reso denunciabile soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, restando così esclusa ogni censura sull’insufficienza motivazionale (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14). E tale modifica legislativa è applicabile al caso di specie essendo stato pubblicato il decreto impugnato in epoca successiva all’11.9.2012 (data di efficacia del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

6. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2016

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