Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22984 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8632-2015 proposto da:

P.O., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FERNANDO RIZZO;

– ricorrente principale –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

nonchè contro

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA POLICLINICO “GAETANO MARTINO”, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELE VILLA, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPE LOSI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

P.O.;

– controricorrente ai ricorsi incidentali –

avverso la sentenza n. 1596/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 29/10/2014 R.G.N. 1569/2011.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. nelle more di un giudizio, in ultimo deciso da Cass. 7 marzo 2014, n. 5325, che ha infine riconosciuto in favore di P.O. l’indennità perequativa di cui alla L. 200 del 1974, art. 1 e D.P.R. n. 761 del 1979, art 31 in misura comprensiva dell’indennità di posizione, fino al tutto l’ottobre 2002, il medesimo ha agito in giudizio, con ricorso del settembre 2008, nei confronti dell’Università di Messina e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria al fine di ottenerne la condanna anche per un periodo successivo a quello di cui al primo giudizio;

la Corte d’Appello, confermando solo parzialmente la pronuncia di primo grado, ha riconosciuto tale diritto, ma nei soli limiti della prescrizione quinquennale, escludendo quindi il periodo antecedente al settembre 2003;

2. avverso tale pronuncia il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui hanno resistito con autonomi controricorsi l’Azienza Ospedaliera e l’Università, proponendo altresì, la prima, tre motivi di ricorso incidentale e, la seconda, un motivo di ricorso incidentale condizionato;

il P. e l’Azienda Universitaria hanno altresì depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. va preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata in memoria dal lavoratore e volta a far constare l’irritualità del controricorso dell’Azienda Ospedaliera e del ricorso incidentale in esso contenuto, in quanto attività svolte mediante avvocato del libero foro e non con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato;

le questioni attinenti alla validità del mandato defensionale, incidendo sulla validità stessa dell’instaurazione del rapporto processuale, sono in effetti rilevabili d’ufficio e sono sanzionate con l’inammissibilità del ricorso (o del controricorso) indipendentemente dall’eccezione della parte interessata, il cui eventuale comportamento acquiescente rimane irrilevante (vedi, per tutte: Cass. 26 giugno 2007, n. 14843), sicchè è ininfluente che l’eccezione sul punto sia stata sollevata soltanto con la memoria;

in proposito, si rileva intanto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 75 c.p.c., come nel ricorso sia stata debitamente indicata la delibera autorizzatoria al ricorso per cassazione;

è poi vero che che “ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 come modificato dalla L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 11 – la facoltà per le Università statali di derogare, “in casi speciali” ai “patrocinio autorizzato” spettante per legge all’Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell’opera di liberi professionisti, è subordinata all’adozione di una specifica e motivata deliberazione dell’ente (ossia del rettore) da sottoporre agli organi di vigilanza (consiglio di amministrazione) per un controllo di legittimità”, la cui mancanza, in via generale, “determina la nullità del mandato alle liti” (Cass., S.U., 20 ottobre 2017, n. 24876);

ed è altresì noto che a tale regime sono assoggettate anche le aziende ospedaliere universitarie “in considerazione del rapporto di piena osmosi e di sostanziale cogestione che lega dette aziende alle università” (Cass. 24876/2017 cit.);

va tuttavia ricordato che, in presenza di un conflitto di interessi tra più enti pubblici che sono parti nel medesimo giudizio, il R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 come modificato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11 esplicitamente legittima l’ente ad avvalersi di un avvocato del libero foro;

è stato pertanto precisato che, in presenza di un simile conflitto di interessi, il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato diviene non ipotizzabile, sicchè non vi è alcuna ragione di richiedere una preventiva autorizzazione (Cass. 24876/2017 cit. e Cass. 10 maggio 206, n. 10700);

tale evenienza si verifica nel presente processo, stante l’interferenza degli interessi dell’Azienda ospedaliera e di quelli dell’Università (difesa dall’Avvocatura dello Stato);

pertanto, non vi era necessità di apposita delibera autorizzatoria con riferimento al ricorso a difensore del libero foro e l’eccezione proposta va complessivamente disattesa;

2. i motivi di ricorso per cassazione addotti dal P. attengono tutti al tema della prescrizione;

2.1 i primi tre riguardano l’asserito verificarsi di vicende interruttive/sospensive della decorrenza della prescrizione che sarebbero state mal apprezzate dalla Corte territoriale;

con primo essi si afferma (art. 360 c.p.c., n. 3) la violazione degli artt. 2943,2945 e 2935 c.c., sostenendosi che il processo svoltosi sul periodo precedente avrebbe avuto effetto sospensivo della prescrizione anche rispetto ai periodi successivi a quelli definiti nel merito in quel primo giudizio, in quanto il credito era stato riconosciuto senza alcun contenimento temporale e riguardava il diritto stipite alla base anche dei crediti poi vantati nel secondo giudizio, sostenendosi altresì che nelle more della prima pronuncia il ricorrente non avrebbe potuto agire per il secondo periodo;

il secondo motivo è addotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per l’omesso esame di atti interruttivi della prescrizione consistenti nell’istanza di conciliazione notificata all’Azienda il 19 ottobre 2007;

il terzo motivo invece addebita alla Corte territoriale di avere violato (art. 360 c.p.c., n. 3) l’art. 2944 c.c. per avere erroneamente omesso la rilevazione officiosa di un diverso fatto interruttivo della prescrizione, consistente nella dichiarazione ricognitiva del diritto rivendicato effettuata dall’Azienda in sede di conciliazione, secondo quanto risultante dal corrispondente verbale;

i predetti motivi sono inammissibili;

la questione in ordine all’effetto sospensivo del primo giudizio anche rispetto ai crediti poi azionati nel secondo processo non è assistita dalla trascrizione dei passaggi del ricorso introduttivo di quella prima causa da cui in ipotesi desumere che fossero stati azionati anche crediti ulteriori e indefinitamente futuri rispetto a quelli poi decisi in quella sede nel merito, con riferimento ai quali si possa anche solo ipotizzare R. G. un effetto sospensivo del primo processo, almeno fino a quando non vi è stata la delimitazione della pronuncia di condanna, per motivi di rito, ad opera del Tribunale, solo fino al momento del deposito del ricorso; così come, pur affermandosi nel motivo che l’accertamento del diritto operato dal Tribunale nel primo giudizio, tale assunto non è corredato dalla trascrizione dei passaggi specifici da cui ciò dovrebbe desumersi, tanto più necessari ove si consideri che dalla narrativa del ricorrente si evince che lo stesso Tribunale intese escludere dalla propria pronuncia di condanna proprio i diritti poi rivendicati nel secondo processo;

non diversamente, l’asserita sussistenza di atti di messa in mora idonei ad interrompere la prescrizione, di cui al secondo motivo, manca della trascrizione del tenore di tali atti, necessaria per consentire al ricorso per cassazione di assumere quei caratteri di specificità indispensabili per una sua disamina nel merito;

in particolare, poi, con riferimento al terzo motivo, il verbale della fase davanti al Collegio di Conciliazione è trascritto solo limitatamente ad una frase (“il diritto del Dott. P. è fondato”), singolarmente estrapolata, che non consente sufficiente contezza rispetto all’effettiva ricorrenza di un atto pienamente ricognitivo dei diritti altrui;

i tre motivi in esame sono dunque generici e si pongono in contrasto con le rigorose regole di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee a manifestare piena pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469);

2.2 con il quarto motivo è addotta la violazione dell’art. 346 c.p.c. per avere la Corte d’Appello riconosciuto anche in favore dell’Università la prescrizione quinquennale, sebbene la stessa non avesse riproposto, tra i motivi di gravame, l’eccezione di prescrizione;

deve essere intanto confermato, in assenza di argomenti che impongano un riesame della questione, il costante orientamento di questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass., S.U., 9 maggio 2016, n. 9279; Cass. 7 marzo 2014 n. 5325 e Cass. 24 maggio 2013 n. 12908) che, decidendo su fattispecie sostanzialmente sovrapponibili a quella in esame, ha ritenuto la sussistenza della legittimazione passiva sia dell’Università di Messina, sia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Gaetano Martino”;

legittimazione coesistente che, pur riconnettendosi a titoli parzialmente diversi di responsabilità, esprime nei riguardi del creditore un obbligo solidale, come da regola generale (art. 1294 c.c.), in assenza di contrarie previsioni di legge;

ciò posto, il motivo è ammissibile e fondato;

dalla stessa sentenza impugnata si evince che soltanto l’Azienda ha sollecitato in appello la riforma della pronuncia di primo grado in ragione della prescrizione dei crediti ed il dato appare incontestato anche nel controricorso dell’Università;

presupposto affinchè l’eccezione in senso stretto (quale è l’eccezione di prescrizione) di uno solo dei partecipi al processo plurisoggettivo è dato dal fatto che il giudizio presenti connotati di inscindibilità, tali da non ammettere che la pronuncia, per ragioni di coerenza dell’ordinamento, sia diversa per le diverse parti del processo stesso; quando infatti, per ragioni di litisconsorzio necessario iniziale o di litisconsorzio necessario c.d. processuale, è ineludibile che la pronuncia si formi contestualmente nei riguardi di tutte le parti del processo, è parimenti inevitabile che essa non possa avere contenuti diversi verso l’una o verso l’altra;

se viceversa le cause plurisoggettive siano scindibili e quindi risultino solo occasionalmente trattate e decise assieme, la sentenza tra due delle parti contrapposte è del tutto autonoma da quella verso le altre e quindi nulla osta alla diversità delle rispettive pronunce, pur se temporalmente contestuali;

rispetto alle obbligazioni solidali si è affermato che non sussiste litisconsorzio necessario iniziale tra il creditore ed i coobbligati, in coerenza con il fondamento ultimo di tale regime obbligatorio, da identificarsi in una posizione di salvaguardia del creditore, munito dal diritto sostanziale, a tal fine, di più debitori nei cui confronti azionare, anche separatamente, un medesimo diritto (Cass. 4 giugno 2020, n. 10596; Cass. 12 febbraio 2016, n. 2854);

conseguenza di ciò è che, se anche i due (o più) debitori in solido siano chiamati nel medesimo processo, nulla vieta che essi possano essere oggetto di pronunce tra loro divergenti per ragioni non soltanto di difformi assetti sostanziali degli obblighi coesistenti (evenienza che naturalmente comporta la possibilità di pronunce differenziate), ma anche per il diverso operare di preclusioni o attività processuali svolte o non svolte, tra cui ad esempio, il formarsi separato del giudicato, senza possibilità di applicare l’art. 1306 c.c. (Cass. 8 ottobre 2018, n. 24728; Cass. 30 settembre 2014, n. 20559) o l’operare solo in favore di chi l’ha dispiegata di una eccezione non sollevata dall’altra (Cass., S.U., 18 giugno 2000 n. 14700, che ha ritenuto nuova l’eccezione di giurisdizione sollevata per la prima volta col ricorso per cassazione, a nulla rilevando che tale questione fosse stata sollevata nei gradi precedenti da altro coobbligato);

in altre parole, così come pronunce diverse, in tali casi, potrebbero aversi ove i condebitori solidali fossero stati convenuti in diversi processi, nulla vieta che pronunce diverse si abbiano nonostante l’evocazione in un medesimo processo, in primo come anche nei gradi successivi di giudizio;

ipotesi diversa si avrebbe ove le cause riguardanti gli obblighi solidali, intentate unitariamente contro i coobbligati, fossero tra loro ulteriormente connesse;

ciò può accadere per la riproposizione in sede di impugnazione di temi comuni ai coobbligati in solido (v., in tema di fideiussione, Cass. 26 luglio 2019, n. 20313; Cass. 20 luglio 2016, n. 14829; Cass. 1 ottobre 2012, n. 16669), per il derivare della responsabilità dell’uno dei coobbligati dalla responsabilità dell’altro (in ambito risarcitorio, v. Cass. 21 agosto 2018, n. 20860; Cass. 14 luglio 2009, n. 16391), come anche – deve ritenersi – dalla contestuale ricorrenza di azioni di regresso, manleva (o, in senso lato, di garanzia) tra i coobbligati, comunque instaurate e dunque sia che derivino da chiamata in causa da parte del convenuto, sia che derivino da domande ritualmente incardinatesi nel corso del processo tra i coobbligati evocati in un unico giudizio dal comune creditore;

in tal caso le menzionate ragioni di coerenza dell’ordinamento non potrebbero consentire che una medesima pronuncia potesse, per sole ragioni processuali, dispiegare effetti diversi verso le medesime parti (i coobbligati) a seconda del rapporto, pur afferente alla medesima vicenda sostanziale, che le coinvolge, dovendosi affermare, in tali casi, il determinarsi di un litisconsorzio necessario c.d. processuale nelle fasi di impugnazione e, consequenzialmente, per quanto sopra detto, la necessità di un’unitaria pronuncia verso tutte le parti in causa;

tuttavia, nel caso di specie, per quanto si dirà a proposito del motivo di ricorso incidentale dell’Università, gli atti del giudizio di cassazione non consentono di affermare che sia stata ritualmente proposta azione di manleva tra i coobbligati e dunque non vi è luogo ad affermare l’unitarietà delle posizioni coinvolte;

ne deriva che le obbligazioni delle parti convenute si manifestano nel presente processo solo come debiti solidali tout court rispetto ai quali non vi è ragione di predicare l’esistenza di una inscindibilità di cause e quindi di necessaria univocità di pronunce, restando le singole posizioni debitorie soggette alle rispettive regole e preclusioni processuali; pertanto, la mancanza di appello sulla prescrizione da parte dell’Università impediva alla Corte d’Appello di estendere ad essa gli effetti dell’accoglimento del gravame viceversa formulato in tal senso dall’Azienda;

3. con il primo motivo di ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera è addotta la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 del D.I. 9 novembre 1982, nonchè dei CCNL del Comparto Università relativi ai quadrienni 1994/1997, 1998/2001 e 2002/2005 con riguarda al capo della sentenza impugnata con il quale è stato affermato il perdurante valore e l’efficacia della tabella di corrispondenza all D del citato D.I.;

il motivo è infondato, dovendosi dare continuità all’orientamento ampiamente consolidato di questa Corte (in progresso di tempo: Cass., S.U. 19 aprile 2012, n. 6104; Cass. 6 agosto 2015, n. 16515; Cass., S.U., 9 maggio 2016, n. 9279; Cass. 28 marzo 2018, n. 7737), secondo cui, per quanto qui interessa:

– il richiamo, contenuto nel decreto del 1982, alla ridefinizione delle qualifiche ed alla riforma del ruolo del personale tecnico-scientifico non comporta limiti di durata alla disposta equiparazione, ma ne prospetta la perdurante operatività nel tempo.

risulta irrilevante la sopravvenuta perdita di efficacia del D.I. 9 novembre 1982 cit. – con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale del personale medico-scientifico, posto che il nuovo contratto del personale USL succeduto all’accordo del personale ospedaliero cui si richiama il citato D.I. non può avere altro effetto se non quello di comportare l’adeguamento dell’indennità di perequazione in parola;

3.1 con il secondo motivo di ricorso incidentale l’Azienda denuncia la violazione delle norme della contrattazione collettiva, con riguardo alla parte della sentenza che ha riconosciuto il diritto alla equiparazione del trattamento dei collaboratori tecnici a quello dei dirigenti di primo livello del comparto sanità, con particolare riferimento, infine, all’attribuzione della retribuzione di posizione minima, parte fissa e variabile;

come precisato anche nel corpo del predetto motivo, la Corte territoriale ha fondato il rigetto delle corrispondenti difese svolte già nei gradi di merito, sull’esistenza di un giudicato con riferimento al periodo antecedente (fino all’ottobre 2002) a quello oggetto del presente giudizio (riguardante il periodo successivo dal 30.10.2002 al collocamento a riposo nel febbraio 2007), richiamando il passaggio della pronuncia della S.C. (Cass. 7 marzo 2014, n. 5325) con cui quel precedente processo fu definito e che riconobbe il diritto del P. alla perequazione secondo il trattamento del personale non medico di primo livello dirigenziale previsto dal c.c.n.l. del Comparto Sanità 1998-2001, secondo l’originaria corrispondenza di cui al D.I. 9 novembre 1982 “che si compone – ci cita dalla sentenza della S.C. quale richiamata dalla Corte d’Appello – di stipendio tabellare, indennità integrativa speciale, retribuzione individuale di anzianità e retribuzione di posizione minima”, quest’ultima fatta oggetto di uno specifico profilo di censura espressamente rigettato dalla pronuncia inter partes della S.C.;

nel proporre il ricorso per cassazione l’Azienda sostiene che quel giudicato non sarebbe preclusivo nel presente giudizio, in quanto attinente ad un periodo successivo, regolato anche da fonti collettive sopravvenute di diversa disciplina dell’equiparazione;

il motivo non è fondato;

vale infatti il consolidato principio per cui “in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento” (Cass. 17 agosto 2018, n. 20765; Cass. 23 luglio 2015, n. 15493);

mutamenti di fatto e di diritto in questo caso non ve ne sono stati ed anzi, come è noto, la contrattazione collettiva 2002-2005 “nello stabilire, all’art. 28, la tabella di equiparazione annunciata dai contratti precedenti, fece peraltro esplicitamente salve, al comma 6, “le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente c.c.n.l.””, così salvaguardando, rispetto ai rapporti pregressi, le regole di perequazione preesistenti (Cass. S.U., 29 maggio 2012, n. 8521 e poi, tra le molte Cass. 14 febbraio 2013, n. 3676; Cass. 21 aprile 2017, n. 10156; Cass. 28 marzo 2018, n. 7737); non può dunque essere condiviso l’assunto per cui con la nuova contrattazione si sarebbero avuti mutamenti rispetto alle regole di equiparazione da applicare;

3.2 con il terzo motivo l’Azienda Ospedaliera sostiene che la Corte d’Appello, avendo accolto in parte in gravame, avrebbe dovuto provvedere ex novo sulle spese di primo grado, in quanto la relativa pronuncia era da aversi per caducata ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 1, mentre, non provvedendo in tal senso, la Corte avrebbe violato gli artt. 91,92 e 112 c.p.c.;

anche tale motivo è infondato;

non è vero infatti che la Corte di merito non abbia regolato le spese di primo grado, in quanto essa, dopo avere ridotto l’importo di cui alla condanna per il credito sostanziale ed avere disposto sulle spese del secondo grado in favore del P., quale parte ritenuta comunque nel complesso vincitrice in causa, ha confermato “nel resto” la sentenza del Tribunale, con dizione evidentemente da riferirsi alla decisione di rimborso delle spese, sempre a favore del ricorrente originario, rispetto al giudizio di prime cure;

d’altra parte, la parziale riduzione della pretesa non imponeva necessariamente la compensazione delle spese dei due gradi, in tutto o in parte, trattandosi di apprezzamento discrezionale, che la Corte territoriale ha concluso ritenendo comunque di ravvisare come prevalente ed assorbente la soccombenza delle parti pubbliche, rispetto al quale, essendo stata accolta soltanto un’eccezione di prescrizione parziale, non emergono elementi di palese irrazionalità, sicchè esso non può essere efficacemente sindacato in questa sede;

4. l’unico motivo incidentale addotto dall’Università, tra l’altro in forma condizionata, riguarda la pretesa della medesima di essere manlevata dall’Azienda Ospedaliera di quanto eventualmente da corrispondere al ricorrente;

la condizione posta rispetto a tale motivo è data dall’accoglimento del ricorso principale, che effettivamente ha luogo, per quanto nei confronti della sola Università;

tuttavia, il punto decisivo è che il ricorrente lamenta ex art. 112 c.p.c. la mancata pronuncia sulla domanda di manleva che – afferma – era stata formulata nel ricorso in appello;

ciò tuttavia non basta ad incardinare il vizio del processo, in quanto il ricorso neppure afferma che la domanda, come avrebbe dovuto, fosse stata introdotta in primo grado, circostanza che non emerge dalla sentenza di appello, nè dalle narrative processuali delle parti;

vale in proposito il principio per cui “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito” (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);

d’altra parte, la domanda di manleva tra coobbligati, a parte la sua fondatezza, sarebbe sicuramente domanda nuova ed inammissibile se proposta solo in grado di appello e dunque il motivo, non precisando se e come essa fosse stata già proposta in primo grado, risulta ulteriormente carente ed inammissibile, in quanto non sufficientemente specifico rispetto ad un elemento essenziale al fine di configurare la necessaria decisività del vizio processuale denunciato;

5. in definitiva, è da accogliere soltanto il quarto motivo del ricorso principale, riguardante la prescrizione ed esclusivamente nei riguardi dell’Università, mentre nel resto i motivi di ricorso vanno disattesi;

ciò comporta, per un verso, la conferma della pronuncia di appello nei riguardi dell’Azienda, mentre, nei riguardi dell’Università, può procedersi a pronuncia nel merito, sul motivo accolto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c.;

tale pronuncia va assunta esprimendo condanna per l’intero periodo (ottobre 2002-febbraio 2007) oggetto di causa e nella medesima misura (Euro 27.367,26) che è stata appositamente quantificata mediante c.t.u. già in primo grado;

in particolare, per il periodo a decorrere dall’ottobre 2003, come già disposto dalla sentenza di appello, la condanna è da intendersi in via solidale con l’Azienda, mentre, per il periodo precedente, stanti le ragioni sopra ampiamente evidenziate, la condanna raggiunge solo l’Università;

6. quanto alle spese, stante la soccombenza delle parti convenute nei gradi di merito va confermato quanto disposto dalla Corte d’Appello di Messina, ovverosia la condanna a rifondere le spese del primo grado e del secondo grado in favore del P., nella stessa misura già liquidata dal Tribunale e dalla Corte d’Appello;

quanto al giudizio di legittimità, il contestuale accoglimento e rigetto di contrapposti motivi giustifica la compensazione tra il ricorrente principale e l’Azienda;

viceversa, la chiara soccombenza dell’Università quanto al giudizio di cassazione, impone la condanna della medesima al pagamento delle relative spese in favore del P..

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, dichiara inammissibili gli altri, rigetta il ricorso incidentale dell’Azienda e dichiara inammissibile quello dell’Università, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo in parte qua la causa nel merito, condanna l’Università di Messina al pagamento in favore di P.O. della complessiva somma di Euro 27.367,26, oltre interessi legali.

Conferma per il resto la sentenza di appello anche in relazione al regolamento delle spese processuali di primo e di secondo grado. Condanna l’Università a rifondere al ricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra il ricorrente e l’Azienda Ospedaliera.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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