Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22983 del 16/09/2019

Cassazione civile sez. I, 16/09/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 16/09/2019), n.22983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23673/2018 r.g. proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in Roma Via Federico Cesi,

72 presso lo studio dell’avvocato Sciarrillo Andrea e rappresentato

e difeso dall’avvocato Sgarbi Pietro per procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 16/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 9042/2018 depositato il 16-7-2018 e comunicato a mezzo pec il 17-7-2018 il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso di S.F., cittadino del Pakistan, avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria. Esaminando nel merito le domande, il Tribunale ha ritenuto che fossero credibili i fatti narrati dal richiedente, il quale, professante la religione musulmana sunnita, riferiva di essere stato accusato dell’uccisione della propria fidanzata, di religione sciita, in realtà uccisa dai membri della famiglia della stessa. Il Tribunale ha in ogni caso ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, potendo ricevere il richiedente protezione nel suo Paese, considerato anche il lungo periodo trascorso dai fatti (2008) e dalla fuga (2009), nonchè avuto riguardo alla situazione generale e politico-economica del Pakistan e della regione del (OMISSIS), descritta nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si costituisce al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.In via preliminare il ricorrente chiede di sollevare questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) in relazione ai seguenti profili: 1) l’adozione del rito camerale e l’eliminazione del grado d’appello, per la violazione degli artt. 3,24,111,117 Cost. nonchè in relazione all’art. 46, par. 3 della direttiva 32/2013 ed agli artt. 6 e 13CEDU; 2) la previsione del termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione a decorrere dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado, per la violazione degli artt. 3,24,111 Cost.; 3) la previsione relativa alle modalità di rilascio della procura alle liti in relazione al medesimo procedimento, per la violazione degli artt. 3,24,111 Cost..

2. Con le ordinanze n. 17717/2018 e n. 28119/2018 questa Corte ha ritenuto manifestamente infondate tutte le questioni di illegittimità costituzionale che il ricorrente ripropone. Le argomentazioni di cui alle citate ordinanze, da intendersi, per brevità, richiamate, sono integralmente condivise dal Collegio.

3.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1 Convenzione di Ginevra 28-7-1951 (definizione del termine di rifugiato) e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. E)”. Deduce il ricorrente che in modo contraddittorio il Tribunale, pur dando atto dell’inefficienza del sistema giudiziaria per essere i giudici influenzabili da pressioni di politici e religiosi, ha di seguito affermato che il richiedente avrebbe potuto ottenere protezione nel suo Paese.

4. Con il secondo motivo lamenta “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 (esame dei fatti e delle circostanze) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, (procedure di esame)”. Ad avviso del ricorrente il Tribunale non si è attenuto ai criteri legali di valutazione di credibilità soggettiva delle dichiarazioni del richiedente, che aveva riferito fatti precisi e circostanziati.

5. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

Entrambe le censure sono estranee alla ratio decidendi, poichè il Tribunale ha affermato, in base alle fonti, che per i contenziosi penali, a cui potrebbe essere sottoposto il ricorrente, è assicurato un processo imparziale, con garanzie difensive (pag. 7 del decreto impugnato), e che le vicende personali narrate sono credibili.

6. Con il terzo motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B) e C) (protezione sussidiaria) anche in relazione all’art. 3 Cost.”. Lamenta la sottovalutazione della vicenda personale narrata ed il travisamento della situazione sociopolitica del Pakistan e del (OMISSIS), come risultante dal Report EASO dell’agosto 2017, citato anche nel decreto impugnato e tuttavia mal interpretato nel contenuto. Da dette fonti risulta che, seppure lo Stato pakistano ha posto in essere operazioni per contrastare il terrorismo islamico, la situazione non è sicura e sussiste il rischio per i civili di essere coinvolti in scontri e operazioni belliche. Denuncia la violazione dell’art. 122 c.p.c. perchè nel decreto impugnato sono riportate informazioni in lingua inglese e si tratta di elementi necessari per la formazione del convincimento che ha condotto al rigetto delle domande. Richiama i provvedimenti emessi da altri giudici di merito in fattispecie identiche, lamentando la violazione dell’art. 3 Cost.. Sottolinea che per il reato di omicidio di cui era stato falsamente accusato era prevista la pena capitale.

7. Con il quarto motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (criteri applicabili all’esame delle domande)”. Ribadisce il travisamento dei contenuti delle fonti di conoscenza citate nel decreto impugnato, avendo il Tribunale erroneamente esaminato la situazione oggettiva del Paese di origine, e rileva che neppure la Commissione Territoriale aveva indicato l’eventuale istruttoria esperita sulle condizioni di detto Paese.

8. I motivi terzo e quarto sono in parte infondati e in parte inammissibili.

8.1. Sono infondate le censure concernenti le frasi della motivazione del decreto impugnato espresse in lingua straniera, atteso che si tratta di citazioni di testi, in lingua inglese, di facile comprensibilità. Neppure il ricorrente deduce specificatamente che il suo diritto di difesa sia stato pregiudicato dall’utilizzo, nei limitati termini suesposti, della lingua inglese (in tal senso Cass. n. 6093/2013, seppure in fattispecie concernente la consulenza tecnica d’ufficio).

Non si ravvisa, dunque, sussistente la lamentata violazione del principio dell’obbligatorietà della lingua italiana ai sensi dell’art. 122 c.p.c..

8.2. Sono inammissibili le doglianze concernenti il travisamento dei contenuti delle fonti di conoscenza citate nel decreto impugnato.

Anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Il Tribunale ha diffusamente esaminato, con indicazione delle fonti (report UNHCR del maggio 2017, report Easo dell’agosto 2017 e altre fonti citate alle pag. n. 4, 5, 6 e 7 del decreto) la situazione generale del Pakistan sotto ogni aspetto di rilevanza, compresa la situazione dell’amministrazione della giustizia. Il Tribunale ha quindi escluso l’esistenza di situazioni di violenza indiscriminata in conflitto armato nel Paese di provenienza del richiedente, compiutamente esercitando il potere-dovere di cooperazione istruttoria e così effettuando, un accertamento di merito insindacabile, se non sotto il profilo dell'”anomalia motivazionale”, nel senso precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, o dell’omessa valutazione di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante Cass. ord.. 3340/2019 citata).

Nel caso in esame non ricorre l'”anomalia motivazionale” e i fatti allegati dal ricorrente sono stati esaminati dal Giudice di merito.

9. Con il quinto motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (protezione umanitaria) – art. 10 Cost. (diritto di asilo) – art. 3 Cost. – nullità della sentenza”. Lamenta il ricorrente, in punto di diritto, che non sia necessaria, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la contestuale sussistenza sia di condizioni soggettive che di condizioni oggettive di vulnerabilità. La motivazione del decreto impugnato è meramente apparente, ad avviso del ricorrente, atteso che il Tribunale ha fatto automaticamente discendere il rigetto del riconoscimento della protezione umanitaria dal rigetto delle due domande principali. Rimarca che nel Paese di origine, che ha lasciato dal 2009, non possiede alcuna fonte di sussistenza e diventerebbe il bersaglio di una violenta persecuzione. Inoltre sottolinea, quanto al percorso di integrazione in Italia, che nel decreto impugnato si fa riferimento ad una documentazione non relativa al ricorrente, il quale dall’ottobre 2017 ha intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, come documentato in primo grado (doc. n. 6), e denuncia l’omesso esame di detta documentazione da parte del Tribunale.

10. L’ultimo motivo è inammissibile.

Nel caso di specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono circa le condizioni soggettive ed oggettive di rilevanza, l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità del ricorrente, valutando le allegazioni dello stesso e le informazioni sul Paese di origine e ritenendo recessivo, in comparazione, il percorso di integrazione, al quale si riferiscono i documenti il cui esame si assume omesso e che, pertanto, non rivestono affatto carattere di decisività.

Le doglianze, oltre che genericamente formulate, si risolvono, inammissibilmente, in una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dal giudice di merito.

11. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

12. Nulla deve disporsi sulle spese del presente giudizio, atteso che il Ministero si è costituito oltre il termine di legge e al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

13. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2019

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