Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22983 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. I, 04/11/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 04/11/2011), n.22983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, e

QUESTURA DI BELLUNO, in persona Questore pro tempore, domiciliati in

Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello

Stato, che li rappresenta e difende per legge;

– ricorrenti –

contro

B.M.B.;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di appello di Venezia in data 22

aprile 2009 nel procedimento n. 638/08 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25

maggio 2011 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero dell’Interno e la Questura di Belluno ricorrono per cassazione, sulla base di un motivo, avverso il decreto del 22 aprile 2009, con il quale la Corte di appello di Venezia ha rigettato il reclamo proposto dal Ministero dell’Interno avverso il decreto del Tribunale di Belluno in data 14 aprile 2008, che aveva annullato il provvedimento del 13 dicembre 2007, con il quale il Questore di Belluno aveva rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari formulata da B.M.B.. A fondamento del decreto impugnato la Corte di merito – premesso che in base al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, lo straniero che ha richiesto il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 dello stesso D.Lgs., non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato – ha affermato che “l’accezione di ordine pubblico che interessa è quella superiore, che si riferisce alle funzioni statali e non a quelle esecutive di polizia e di sicurezza pubblica” e che pertanto non poteva essere accolta la tesi del Ministero reclamante, secondo cui la nozione di ordine pubblico doveva interpretarsi nel senso di ricomprendere le esigenze di prevenzione e di repressione di reati, a cui faceva riferimento la nozione di sicurezza pubblica, ponendosi la prima in rapporto da genus a species rispetto alla seconda.

Lo straniero intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va dichiarato il difetto di legittimazione attiva della Questura di Belluno, con conseguente inammissibilità del relativo ricorso per cassazione, in quanto nel giudizio di cassazione avverso il provvedimento reso in sede di reclamo nelle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti del questore in materia di permesso di soggiorno per motivi familiari la legittimazione processuale compete in via esclusiva al Ministero dell’Interno, quale soggetto con personalità giuridica sovraordinato, e non anche al questore, privo di autonoma capacità giuridica e di personalità (Cass. 2004/6938; 2004/11325). Nulla deve però disporsi in ordine alle spese processuali, non avendo l’intimato svolto difese.

2. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia error in iudicando per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, e si deduce che la nozione di ordine pubblico presa in considerazione dalla norma richiamata “si sostanzia nella pericolosità del soggetto rispetto alla sicurezza pubblica quale pace economico-sociale interna allo Stato e non come qualcosa attinente alle superiori funzioni statali”.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, ultimo periodo, dispone che lo straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento familiare non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

La Corte di appello di Venezia ha ritenuto che per ordine pubblico, ai sensi della disposizione richiamata, debba intendersi l’insieme di principi e regole che attengono alle superiori funzioni dello Stato e non anche a quelle specifiche di polizia e di sicurezza pubblica.

Osserva tuttavia il collegio che, come già più volte affermato dalla Corte costituzionale, la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi, quali, ad esempio, l’ordine e la sicurezza pubblica (Corte cost. 1994/62; 2006/206).

Di conseguenza la pericolosità sociale dello straniero, in relazione alla sicurezza fisica o anche soltanto morale dei cittadini, ben può costituire ostacolo al rinnovo del permesso di soggiorno, tenuto anche conto che le ragioni della solidarietà umana non possono essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco e che le regole stabilite in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno rispettate, essendo poste a difesa della collettività nazionale (Corte cost. 1997/353).

2.1. Va altresì considerato che l’assenza di pericolosità sociale costituisce un requisito necessario per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel nostro territorio nazionale, come si evince dal disposto della L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 bis (nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis), in base al quale la pericolosità dello straniero va valutata tenendo conto di eventuali condanne, oltre che per reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui all’art. 12, commi 1 e 3 della citata legge, anche per i reati elencati nell’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), tra i quali sono ricompresi delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato, come, ad esempio, associazione sovversiva, banda armata, devastazione, saccheggio e strage, guerra civile – fattispecie delittuose la cui consumazione costituisce comunque un vulnus anche per la sicurezza dei cittadini – ma anche delitti contro l’incolumità pubblica, contro l’ordine pubblico, inteso in tale contesto come buon assetto e regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono, nella collettività, l’opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza (cfr. Cass. pen. 2010/16553;

2010/22633), contro la personalità individuale (riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, tratta di persone, violenza sessuale), in materia di armi e di stupefacenti, nonchè altri delitti contro la vita o contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone, quali l’omicidio, la rapina, l’estorsione e il sequestro di persona a scopo di estorsione.

La L. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, terzo periodo, nel testo vigente ratione temporis, dispone che non è ammesso in Italia lo straniero che, tra l’altro, sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o che risulti condannato per reati previsti dall’art. 380 c.p.p., commi 1 e 2 (tra i quali sono ricompresi, ancora una volta, delitti contro l’ordine pubblico, nel senso sopra precisato, contro l’incolumità pubblica, contro la personalità individuale, contro il patrimonio, in materia di armi e stupefacenti).

Le esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica sono alla base anche dei provvedimenti di espulsione da disporsi, ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. c) – anch’esso nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis -, nei confronti dello straniero che appartenga a talune delle categorie di soggetti pericolosi indicate nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, e nella L. n. 575 del 1965, art. 1 (v. Cass. 2003/5661; 2005/27068; 2010/17585).

3. Dal quadro normativo delineato discende che la nozione di ordine pubblico a cui fa riferimento la L. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, ultimo periodo, se da un lato attiene ai principi fondamentali e di interesse generale su cui poggia l’ordinamento giuridico dello Stato, inteso questo come diritto cogente, da osservarsi inderogabilmente da tutti perchè consta di norme imperative o proibitive sanzionatore, certamente ricomprende il più specifico concetto di sicurezza pubblica – la quale costituisce anch’essa un settore di interesse generale dell’ordinamento giuridico dello Stato – e mira anche a soddisfare le esigenze di prevenzione e di repressione dei reati e a contrastare ogni minaccia per la sicurezza della collettività e per la tranquilla e ordinata convivenza delle persone.

La diversa interpretazione della nozione di ordine pubblico seguita dalla Corte di appello di Venezia con riferimento al disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, ultimo periodo, e riferita “alle superiori funzioni statali e non a quelle esecutive di polizia e di sicurezza pubblica”, oltre a non tener conto che proprio la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica di fronte alla pericolosità sociale dello straniero costituisce un possibile strumento di regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero stesso nel territorio nazionale, conduce alla inaccettabile conclusione che l’attività di sicurezza pubblica preventiva e quella di repressione di condotte che integrano gli estremi di reati anche gravi non costituirebbero espressione delle “superiori funzioni statali” a cui il giudice del merito ha inteso ricollegare in via esclusiva la nozione di ordine pubblico. Ciò in disarmonia anche con quanto previsto dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare incontra un limite nell’adozione da parte dello Stato di misure che siano necessarie per la difesa dell’ordine pubblico, per la prevenzione dei reati e per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Le considerazioni che precedono conducono all’accoglimento del ricorso proposto dal Ministero dell’Interno e all’annullamento del decreto impugnato. Poichè sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va rinviata ad altro giudice, che si individua nella Corte di appello di Venezia in diversa composizione, che riesaminerà il reclamo alla stregua della nozione di ordine pubblico in precedenza enunciata e provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso della Questura di Belluno.

Accoglie il ricorso del Ministero dell’Interno. Cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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