Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22982 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/10/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 21/10/2020), n.22982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23343-2014 proposto da:

N.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO FROSINI;

– ricorrente – principale –

contro

AMC ITALIA ALFA METALCRAFT CORPORATION S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

HERNANDEZ, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ISABELLA BECCARIA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 441/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/05/2014 R.G.N. 514/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e il rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO SCARINGELLA, per delega verbale

Avvocato PAOLO FROSINI;

udito l’Avvocato FEDERICO HERNANDEZ.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Firenze, in parziale accoglimento dell’appello di AMC Italia Metalcraft Corporation s.p.a. (da ora AMC), in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato N.A., agente della società, alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, pari a 38.809,89, ed a corrispondere alla società, per il medesimo titolo, la somma di Euro 32.341,50, oltre interessi, dalla cessazione del rapporto di agenzia al saldo; ha dichiarato il diritto di N.A. a percepire oltre al FIRR accantonato presso l’ENASARCO, le indennità suppletive di clientela e meritocratica secondo le previsioni dell’Accordo economico collettivo agenti imprese commerciali (da ora AEC), quantificate rispettivamente in Euro 49.363,94 e in Euro 926,94, somme da compensarsi fino a concorrenza di quelle dovute alla società; ha condannato N.A. alla restituzione in favore della controparte della somma di Euro 50.000,99 percepita in virtù della sentenza di primo grado a titolo di indennità ex art. 1751 c.c., con interessi dalla riscossione al saldo; ha dichiarato che N.A. aveva già ottenuto al momento della decisione di primo grado, la restituzione delle cauzioni per Euro 2.500,00 ed annullato sul punto la decisione di prime cure.

1.1. La Corte di merito ha ritenuto che il recesso del N. dal rapporto di agenzia era stato determinato dall’inadempimento “di non lieve importanza agli obblighi contrattuali specifici” da parte della preponente, inadempimento concretatosi: a) nella esclusione dell’agente, in violazione delle regole aziendali stabilite dalla preponente medesima, dal prestigioso Club Management; b) in valutazioni negative sulla persona dell’agente rimaste prive di motivazione; c) nel mancato riconoscimento di incrementi provvigionali e di altri trattamenti di particolare privilegio. La circostanza che le dimissioni fossero intervenute a cinque mesi di distanza dalla esclusione dal Club Management non consentiva di configurare la esistenza di una giusta causa di recesso e tanto escludeva il diritto dell’agente all’indennità sostitutiva del preavviso e comportava l’obbligo dello stesso di corresponsione alla preponente della relativa indennità.

Quanto alle indennità di fine rapporto il giudice di appello, premesso che la risoluzione contrattuale doveva essere fatta risalire a “circostanze attribuibili al preponente”, ha ritenuto non spettare all’agente la indennità ex art. 1751 c.c. in difetto di prova dei sostanziali vantaggi connessi all’attività dell’agente conservati da AMC Italia s.p.a. al momento della richiesta del pagamento da parte del N.. Ha riconosciuto dovute la indennità contrattuale di risoluzione del rapporto accantonata presso ENASARCO (spettante in ogni caso) nonchè la indennità di clientela e meritocratica; la prima, per essere la risoluzione del rapporto imputabile alla preponente, e la seconda in quanto determinata solo sulla base dell’incremento di fatturato (ex art. 10 AEC).

Ha escluso il diritto alle differenze provvigionali conseguenti all’esclusione del N. dal Club Management “poichè tali somme spettano a titolo risarcitorio derivante dalla illegittimità di tale esclusione”.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso N.A. sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e proposto ricorso incidentale affidato a due motivi, illustrati con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso principale N.A., deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto, censura la sentenza impugnata per avere escluso il diritto all’indennità ex art. 1751, pur riconoscendo che la risoluzione del contratto tra le parti doveva farsi risalire a circostanze attribuibili alla preponente.

Assume, inoltre, che, una volta cessato il rapporto, esso agente non aveva, in concreto, la possibilità giuridica di ottenere informazioni commerciali e deduce di avere in prime cure tempestivamente allegato i fatti giustificativi del diritto alla indennità ex art. 1751 c.c.; il giudice di appello aveva errato laddove aveva posto a carico di esso agente l’onere della prova di “un quid pluris rispetto a quanto previsto nel primo punto del comma 1 della norma suddetta, ovvero l’aumento duraturo della clientela”.

2. Con il primo motivo di ricorso incidentale la società AMC deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455,2119 e 1751 c.c. nonchè omessa motivazione circa un punto determinante e controverso della causa, censurando, in sintesi, la decisione di appello per avere qualificato come inadempiente agli obblighi contrattuali assunti la condotta della società preponente.

Sotto il profilo dell’errore di diritto, richiamata la disciplina in tema di contratti a prestazioni corrispettive, si duole che la Corte non avesse verificato se l’inadempimento della preponente era tale da giustificare, da un punto di vista oggettivo e soggettivo, la risoluzione del contratto da parte del N.. Sostiene, infatti, che la disciplina del recesso dal contratto di agenzia dettata dall’art. 1751 c.c. non escludeva l’applicabilità delle norme sul contratto a prestazioni corrispettive, alla stregua delle quali l’inadempimento che consente la risoluzione nei rapporti di durata si specifica secondo il paradigma dell’art. 1564 c.c. in relazione alla notevole importanza dell’inadempimento ed all’attitudine dello stesso a menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti. Sostiene, inoltre, che nella verifica della esistenza di “circostanze attribuibili” al preponente quale condizione alla quale ex art. 1751 è subordinato il pagamento della indennità di cessazione del rapporto, la gravità dell’inadempimento doveva essere verificata tenendo conto della sua incidenza sul complessivo sinallagma contrattuale, operazione non effettuata dal giudice di merito.

Sotto il profilo del vizio motivazionale lamenta la omessa considerazione:

a) del potere discrezionale di AMC di escludere il N. dal Club Management;

b) della sostanziale irrilevanza economica di tale esclusione; c) della permanenza, comunque, del N. in club esclusivi all’interno di AMC; d) dell’art. 2 AEC Agenti imprese commerciali, vincolante contrattualmente le parti in quanto richiamato dal ccnl, che consentiva alla preponente la facoltà di modifica anche unilaterale delle provvigioni con possibilità di decurtarle fino al 5% senza preavviso, nonchè di modificarle dal 6 al 29% con obbligo di preavviso; e) la intempestività del recesso dell’agente.

3. con il secondo motivo di ricorso incidentale AMC deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e dell’art. 1419 c.c., comma 2, nonchè omessa motivazione su un punto determinante e controverso. Premesso di avere sollevato sin dal primo grado la questione relativa alla nullità delle clausole dell’AEC relative all’indennità di cessazione del rapporto si duole della omessa motivazione sul punto da parte del giudice di appello.

4. Il motivo di ricorso principale è infondato.

4.1. La sentenza impugnata, la quale pur avendo accertato che il recesso dell’agente è stato determinato dall’inadempimento di non lieve importanza della preponente, ha negato al N. il diritto all’indennità di cessazione del rapporto di cui all’art. 1751 c.c. per assenza di “sostanziali vantaggi” residuati dall’attività dell’agente alla società AMC, è coerente con la consolidata giurisprudenza di questa Corte che non ha mai dubitato che il permanere di tali “sostanziali vantaggi” dai clienti nuovi procurati dall’agente ovvero dall’incremento di affari con i preesistenti si configuri quale elemento costitutivo del diritto all’indennità di cui all’art. 1751 c.c., unitamente al fatto della cessazione del rapporto (Cass. n. 21602 del 2019, Cass. n. 20047 del 2016, Cass. n. 4708 del 2011).

Consequenziale a tale configurazione è che l’onere di allegazione e prova in ordine al persistere di tali “sostanziali vantaggi” derivati dall’attività dell’agente alla società preponente non può che gravare sul primo (Cass. n. 4708/2011 cit., Cass. n. 17992 del 2002) ed in questa prospettiva è da escludere il dedotto errore di diritto del giudice di appello per avere posto a carico dell’agente l’onere della prova dell’aumento duraturo della clientela o del fatturato al momento del verificarsi della cessazione del rapporto di agenzia.

5. Il primo motivo di ricorso incidentale è da respingere in entrambi i profili articolati.

5.1. In relazione al denunziato errore di diritto, la deduzione di violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., che disciplinano la risoluzione per inadempimento nei contratti a prestazioni corrispettive, non risulta pertinente al thema decidendum quale delineatosi nelle fasi di merito essendo pacifico che il rapporto di agenzia si è estinto per effetto del recesso intimato dall’agente, come consentito dall’art. 1750 c.c. il quale nell’ipotesi di contratto di agenzia a tempo indeterminato riconosce a ciascuna parte la possibilità di recedere dal contratto stesso dandone preavviso all’altra entro un termine stabilito secondo un meccanismo di norma riferito ai rapporti contrattuali a tempo indeterminato.

Parimenti inammissibile la deduzione di violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c.. Premesso, infatti, che nella regolamentazione del rapporto di agenzia la giusta causa di recesso assume rilievo al fine del diritto all’indennità di preavviso ai sensi dell’art. 2119 c.c., ritenuto applicabile anche a tale tipologia contrattuale (v., tra le altre,Cass. n. 29290 del 2019, Cass. n. 11728 del 2014, Cass. n. 14771 del 2008), alcun interesse ad impugnare sotto tale profilo è configurabile in capo alla ricorrente incidentale stante il difetto di soccombenza della stessa in relazione a tale profilo. La sentenza di appello, con statuizione non investita dall’impugnazione del N. e, quindi, divenuta definitiva, ha, infatti, escluso il diritto dell’agente all’indennità di preavviso e condannato questi al pagamento della detta indennità in favore della preponente.

La sussistenza dell’interesse ad impugnare è da escludere anche in relazione alla denunzia di violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. avendo il giudice di appello, con statuizione divenuta definitiva (stante il rigetto del ricorso per cassazione sul punto articolato dal N.), negato il diritto dell’agente alla indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c., per insussistenza dei prescritti presupposti fattuali.

5.2. Alla luce delle considerazioni sopra svolte il dedotto vizio motivazionale assume rilievo in relazione al solo diritto all’indennità di clientela il cui riconoscimento è stato fondato dalla Corte di merito sulla imputabilità del recesso dell’agente all’inadempimento della preponente.

Tanto premesso, ricordato che in base al testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, il vizio motivazionale può essere dedotto solo sub specie di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, richiedendosi la specifica indicazione di tale fatto, del dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, del come e del quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, della decisività del fatto stesso (Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053), si osserva quanto segue. La denunzia di omesso esame riferita alla circostanza relativa alla esistenza di una facoltà discrezionale di AMC di escludere l’agente dal Club Management è inammissibile in quanto, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 non è trascritto il contenuto dei documenti indicati (v., ricorso a pag. 64) asseritamente dimostrativi della esistenza di tale facoltà; la denunzia di omesso esame della sostanziale irrilevanza economica della esclusione dal Club Management, così come della permanenza del N. in altri club esclusivi all’interno di AMC, è da respingere; tali circostanze, infatti, oltre ad essere evocate, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, senza la trascrizione della risultanza processuale dalla quale emergerebbero, sono prive di decisività per essere la riconosciuta imputabilità del recesso dell’agente all’inadempimento della preponente frutto della valutazione di un complesso di elementi nell’ambito dei quali un ruolo preminente è conferito all’esclusione dal Club Management dell’agente tant’ è che l’epoca di tale esclusione è assunta quale parametro temporale di riferimento nella verifica della sussistenza o meno della giusta causa di recesso (sentenza, pag. 3, primo cpv); analoghe considerazioni valgono in ordine alla facoltà, prevista dall’AEC in favore del soggetto preponente, di riduzione unilaterale degli importi provvigionali, non dirimente nell’inficiare la valutazione circa la imputabilità del recesso che riposa su profili ulteriori rispetto alla perdita di incrementi provvigionali; infine è inammissibile la deduzione di omesso esame riferita al tempo decorso tra le dimissioni e la esclusione dell’agente dal Club Management per la dirimente considerazione che si tratta di circostanza espressamente presa in considerazione della Corte di merito che sulla stessa ha fondato la esclusione della giusta causa di recesso pur ritenendola idonea a giustificare il recesso dell’agente.

6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

6.1. Premesso che pur denunziando un vizio formalmente riconducibile all’ambito della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, secondo quanto si evince dalla relativa illustrazione la società ricorrente con il motivo in esame ha inteso denunziare, in realtà, l’omessa pronunzia sulla dedotta nullità dell’art. 10 AEC, questione effettivamente non affrontata dalla Corte di merito, si rileva che la modalità di articolazione della doglianza non è idonea alla valida censura della decisione.

6.2. Secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367 del 2014, Cass. n. 6361 del 2007).

6.3 La società ricorrente non ha osservato tali prescrizioni in quanto il controricorso, pur dando atto della avvenuta deduzione, in prime cure, della questione di nullità delle clausole AEC in tema di indennità di clientela (v. pag. 26 e 27, controricorso con ricorso incidentale), con riferimento al ricorso in appello si limita ad un generico e complessivo rinvio per relationem agli atti della fase di merito (v. controricorso con ricorso incidentale, pag. 56 e sg.), rinvio intrinsecamente inidoneo a dare contezza sia del fatto che tra le questioni devolute al giudice del gravame vi fosse anche quella attinente alla nullità delle previsioni dell’AEC sia dei termini con i quali era stato formulato il motivo di censura a riguardo.

7. Da tutto quanto sopra consegue il rigetto di entrambi i ricorsi; la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite.

8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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