Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22982 del 11/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/11/2016, (ud. 18/11/2015, dep. 11/11/2016), n.22982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19150/2014 proposto da:

G.M., B.F., B.L., C.R.,

D.P., F.V., L.G., M.D.,

S.M., SU.MI., T.A., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ACQUEDOTTO PAOLO 22, presso lo studio

dell’avvocato BIAGIO MARINELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato

ANNA RITA MOSCIONI, giuste procure speciali in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 194/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

10/06/2013, depositato il 28/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato ANNA RITA MOSCIONI, difensore dei ricorrenti, che

chiede l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.M., B.F., B.L., C.R., D.P., F.V., L.G., M.D., S.M., Su.Mi., T.A., con ricorso iscritto al RG 1131/10 a cui sono stati riuniti i procedimenti n. 3127/2011 e 6375/11 della Corte di Appello di Perugia, i ricorrenti chiedevano che fosse accertata e dichiarata la violazione da parte dello Stato Italiano dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali per l’irragionevole durata del processo dagli stessi promosso davanti al Tar del Lazio con ricorso del 26 marzo 1994 per ottenere il riconoscimento patrimoniale alla corresponsione delle differenze economiche dovute a titolo di arretrati in applicazione della L. n. 23 del 1993, art. 1, conclusosi con sentenza depositata il 19 febbraio 2010 che ha dichiarato la perenzione del ricorso.

LA Corte di Appello di Perugia con decreto n. 1131 del 2010 ha accertato l’ammissibilità del ricorso ed ha indicato un periodo di durata ragionevole del giudizio presupposto ai fini della liquidazione dell’indennizzo in tredici anni calcolati dalla data del deposito del ricorso (26 marzo 1994) alla data di deposito del decreto del Tar che dichiarava al perenzione del procedimento (19 febbraio 2010). Liquidava un indennizzo a ciascun ricorrente di Euro 2.600,00 in ragione di Euro 200,00 per ogni anno di ritardo e condannava l’amministrazione al pagamento delle spese giudiziali. Secondo la Corte distrettuale l’indennizzo andava calcolato nella misura di Euro 200,00 per ogni anno di ritardo atteso da un lato lo scarsissimo valore della controversia e dall’altro il disinteresse dimostrato nel corso del giudizio.

La cassazione di questo decreto è stata chiesta dai ricorrenti meglio indicati in epigrafe con ricorso affidato ad un motivo. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione in forma semplificata.

1.- Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti meglio indicati in epigrafe lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 98 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali nonchè degli artt. 1226 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo i ricorrenti, la Corte di Perugia nel quantificare il quantum dell’indennizzo non avrebbe tenuto conto dei parametri fissati dalla Corte EDU così come accolti da questa stessa Corte di cassazione, nè del principio espresso da questa Corte di Cassazione e secondo il quale il giudice di merito può discostarsi dai parametri CEDU oscillanti tra mille e millecinquecento euro per anno sia in senso migliorativo che peggiorativo purchè tale discostamento sia contenuto nei limiti di ragionevolezza e non determini un indennizzo puramente simbolico.

Per altro, sempre secondo i ricorrenti il decreto impugnato non sarebbe sorretto da adeguata motivazione logica giuridica, dato che non risulta che la Corte distrettuale abbia effettuato un giudizio di comparazione tra la situazione socio economica dell’istante e l’importanza della questione oggetto del giudizio presupposto che secondo la Corte di cassazione avrebbe dovuto effettuare.

1.1.- Il motivo è fondato.

La Corte d’appello, nel liquidare la somma di Euro 200,00 per anno di ritardo, si è discostata immotivatamente ai parametri Cedu che, come è noto prevedono una liquidazione oscillante tra i mille/00 ed i millecinquecento/00 Euro per anno. Invero, questa Corte di cassazione ha già precisato che l’interpretazione della CEDU è di competenza della Corte EDU sicchè alla giurisprudenza da questa elaborata il giudice nazionale deve fare riferimento, potendosene discostare, solo in presenza di particolari circostanze.(Cass. civ. SS.UU. 26.12.04 n. 1339).

Consegue che il giudice di merito per potersi ragionevolmente e motivatamente discostare dai parametri indennitari in questione, deve, al fine di determinare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche del richiedente e definire così il danno non patrimoniale, procedere sempre ad un giudizio di comparazione i cui termini sono costituiti fra l’altro, da un lato dalla natura e dall’entità della pretesa pecuniaria avanzata dal richiedente, c.d. “posta in gioco”, e dall’altro dalle condizioni socio – economiche del litigante, posto che solo tale comparazione può fornire la prova, sia pure presuntiva, dell’effettiva entità dello stress subito dall’attore, essendo ancorata ad elementi concreti e non a formule generiche e meramente astratte. La comparazione degli indicati elementi, da effettuarsi sulla base delle allegazione delle parti, costituisce valutazione di merito non sindacabile nel giudizio di legittimità se congruamente motivata. Corollario di quanto fin qui esposto è che il giudice di merito può discostarsi dai parametri indennitari CEDU (oscillanti mediamente tra i mille/00 ed i millecinquecento/00 Euro per anno) sia in senso migliorativo che peggiorativo solo sulla base delle allegazioni e delle prove fornite dalle parti.

Per altro, questa Corte ha già chiarito che in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata di un processo innanzi alle giurisdizioni amministrative, la dichiarazione di perenzione del giudizio da parte del giudice amministrativo non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse delle parti a coltivare il processo, in quanto, altrimenti, verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta – la dichiarazione di estinzione del giudizio – successiva rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo. E per altro, è semplicemente assertiva la ragione secondo la quale la domanda con la quale i ricorrenti chiedevano il pagamento delle differenze economiche dovute a titolo di arretrati maturati e non percepiti, sarebbe di scarsissimo valore, perchè non supportato da alcun dato reale sia pure relativo all’entità economica della richiesta giudiziale.

Sicchè, nella specie la Corte d’appello, pur in assenza di una prova certa sulla sussistenza di dati o circostanze che avrebbero determinato nei ricorrenti un minor paterna d’animo per la irragionevole durata del processo presupposto, e pur avendo accertato una durata complessiva del giudizio presupposto di 16 anni e quindi un’irragionevole durata di 13 anni, ha poi liquidato solo Euro 2.600,00 discostandosi notevolmente dai parametri della CEDU.(Cass. 21597/05).

In definitiva, il decreto impugnato va cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte decide nel merito e liquida a titolo di equo indennizzo la somma di Euro 6.500,00 oltre interessi dalla domanda al soddisfo, per ciascun ricorrente, condanna il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di merito. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito liquida per ciascun ricorrente la somma di Euro 6.500,00 per equo indennizzo oltre interessi dalla domanda al soddisfo; condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese giudiziali che liquida in Euro 564,00 oltre accessori di legge per il giudizio di merito ed Euro 700,00 oltre accessori come per legge per il giudizio di cassazione.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2016

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