Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22981 del 11/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/11/2016, (ud. 18/11/2015, dep. 11/11/2016), n.22981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15837/2014 proposto da:

C.M., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. 131/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

16/12/2013, depositato il 21/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.C., + ALTRI, con ricorso, con il quale veniva riassunto innanzi la Corte di Appello di Perugia il giudizio che era stato erroneamente instaurato davanti alla Corte di appello di Caltanissetta, nel marzo 2010, con separati ricorsi, successivamente riuniti, chiedevano che venisse accertata l’irragionevole durata del giudizio amministrativo da loro proposto innanzi al Tar del Lazio, avente ad oggetto la richiesta di riconoscimento del diritto al trattamento economico corrispondente al ruolo di vicebrigadiere dell’Arma dei Carabinieri, e per l’effetto venisse accertata la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e conseguentemente il diritto degli istanti a vedersi riconosciuto il diritto ad un’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole previsto dalla norma citata. I ricorrenti specificavano che avevano presentato ricorso al Tar del Lazio in data 23 giugno 1993, che in data 23 giugno 1993 avevano depositato istanza di fissazione di udienza e in data 1 luglio 1993 e successivamente in data 8 marzo 2010, istanza di prelievo; che il procedimento amministrativo si era concluso con decreto di perenzione in data 10 febbraio 2012 non avendo i ricorrenti provveduto a presentare istanza di fissazione nonostante fossero stati avvisati a seguito dell’entrata in vigore del codice amministrativo. Gli stessi quantificavano il danno non patrimoniale nella misura di Euro 27.500,00.

Si costituiva Il Ministero dell’Economia e delle Finanze contestando la domanda dei ricorrenti e deducendo la non indennizzabilità del ritardo dato che l’avvenuta perenzione del giudizio davanti al Tar del Lazio, evidenziava l’evidente mancanza di interesse dei ricorrenti al giudizio stesso.

La Corte di Appello di Perugia con decreto n. 131 del 2014 rigettava il ricorso e compensava le spese tra le parti. Secondo la Corte perugina risultava evidente da tutto il comportamento tenuto dai ricorrenti un’assoluta mancanza di interesse rispetto al procedimento in oggetto, e che ciò escludeva un qualsiasi patema d’animo e/o sofferenza per l’attesa di una decisione che tra l’altro era scontata, essendo i ricorrenti tutelati dalle rispettive organizzazioni sindacali ben consapevoli della situazione normativa presente. Infatti, per giurisprudenza pacifica e risalente nel tempo, l’azione in oggetto doveva ritenersi palesamene inammissibile per quanto in presenza del potere autoritativo dell’amministrazione di disporre in ordine alla posizione degli impiegati nell’ambito della propria struttura burocratica, la situazione soggettiva degli interessati era di mero interesse legittimo, che, inoltre, nel 1995 era intervenuta la Corte costituzionale che aveva ritenuta la piena legittimità costituzionale della normativa in oggetto (L. n. 216 del 1992).

La cassazione di questo decreto è stata chiesta da A.C., + ALTRI, con ricorso affidato ad un motivo. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza pubblica si costituivano gli avv. De Ponti e Clementi quali nuovi procuratori dei ricorrenti con procure allegate alla comparsa di costituzione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.

1.- Con l’unico motivo di ricorso, A.C., + ALTRI OMESSI

1.1.- Il motivo è fondato.

1.a) Come è affermato costantemente da questa Corte di cassazione (ex multis cfr Cass. n. 14386 del 09/07/2015), in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la dichiarazione di perenzione del giudizio da parte del giudice amministrativo non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse delle parte a coltivare il processo, in quanto in tal modo verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta – la dichiarazione di estinzione del giudizio – successiva rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo. Ne consegue che va riconosciuto il diritto all’equa riparazione con riferimento al superamento del termine di durata decorso il primo triennio. Tale principio non soffre deroga nell’ipotesi in cui l’istanza di prelievo sia stata presentata una sola volta e in epoca risalente rispetto alla conclusione del processo amministrativo. Infatti, come pure precisato da questa Corte, “(l)’istanza di prelievo assolve la funzione di manifestare il permanente interesse della parte alla definizione del giudizio e di accelerarne, pertanto, la definizione. Sebbene la persistenza dell’interesse alla sollecita decisione del ricorso amministrativo non sia cristallizzabile nel tempo una volta e per tutte, ma abbia senso solo se intesa diacronicamente (per i possibili mutamenti che può subire nel tempo il rapporto sostanziale fra il soggetto che esercita il potere amministrativo e colui che ne subisce gli effetti), nessuna norma e nessun principio processuale impongono la reiterazione dell’istanza di prelievo ad intervalli più o meno regolari. Ciò non casualmente, ove si consideri che la protrazione del giudizio nonostante la presentazione dell’istanza di prelievo ed oltre il limite di durata ragionevole costituisce una patologia del processo, che in quanto tale non può nè essere posta a carico della parte ricorrente, nè essere assunta quale causa efficiente, secondo il criterio della regolarità causale, della perdita di interesse della parte stessa. Escluso, dunque, che sia lecito inferire dalla mancata reiterazione dell’istanza di prelievo il venir meno o l’attenuazione dell’interesse ad agire, il lasso di tempo intercorso fra detta istanza e la definizione del giudizio non può essere assunto di per sè solo ad elemento significativo ai fini della riduzione dell’equo indennizzo ex L. n. 89 del 2001” (Cass. n. 11822/14 non massimata).

1.b) Nel caso in esame, per altro, non risulta, neppure, che il Ministero dell’Economia e delle Finanze abbia eccepito e/o, comunque, dato prova che i ricorrenti avevano promosso una lite temeraria, o avevano artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata. Sicchè, come ha già affermato questa stessa Corte in altre occasioni e che qui si intende (Ndr: testo originale non comprensibile) in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dall’importanza sociale della vicenda, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell’infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità; di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato danno, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa, e che non abbisogna di essere provato neppure a mezzo di elementi presuntivi.

In definitiva, il decreto impugnato va cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che nel decidere il merito si atterrà al seguente principio di diritto: “In materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la dichiarazione di perenzione del giudizio da parte del giudice amministrativo non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse delle parte a coltivare il processo, in quanto in tal modo verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta – la dichiarazione di estinzione del giudizio – successiva rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo. Tale principio non soffre deroga nell’ipotesi in cui l’istanza di prelievo sia stata presentata una sola volta e in epoca risalente rispetto alla conclusione del giudizio. Infatti, sebbene la persistenza dell’interesse alla sollecita decisione del ricorso amministrativo non sia cristallizzabile nel tempo una volta e per tutte, ma abbia senso solo se intesa diacronicamente, nessuna norma e nessun principio processuale impongono la reiterazione dell’istanza di prelievo ad intervalli più o meno regolari”.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di cassazione, il cui regolamento gli è rimesso ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte di Appello di Perugia in altra composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2016

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