Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22981 del 02/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 02/10/2017, (ud. 12/07/2017, dep.02/10/2017),  n. 22981

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20659-2013 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA

44, presso lo Studio Legale MONTICELLI, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO FAVAZZO, FERDINANDO AMATA;

– ricorrente –

contro

F.G. e F.F. e F.N.: nella

qualità di eredi ed aventi causa di P.A.;

V.R.: in proprio e quale erede di V.V. e quale

procuratore dei signori V.C. e V.E. (entrambi

quali eredi ed aventi causa di V.G.);

V.S.: quale erede ed avente causa di V.V.;

V. GIOVANNA AUSILIA: in proprio e quale procuratrice di

V.N.;

C.A.M.: quale erede ed avente causa di V.G.;

tutti quali eredi ed aventi causa di P.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI GIACOBBE, che li rappresenta e difende;

– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

CO.CA.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 24/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 15/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ALBERTO CARDINO che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato FERDINANDO AMATA, difensore del ricorrente, che ha

chiesto di riportarsi alle conclusioni in atti depositate;

udito l’Avvocato ANTONIO GIUFFRIDA, con delega dell’Avvocato GIOVANNI

GIACOBBE difensore dei controricorrente e ricorrenti incidentali,

che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento

del ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Messina, con sentenza depositata il 15.1.2013, in parziale accoglimento del gravame proposto da R.G. contro la sentenza del locale Tribunale (n. 2475/04) ha respinto le domande degli eredi di P.G. tendenti ad ottenere l’annullamento, per incapacità del rappresentato, della procura speciale rilasciata dal loro dante causa a Co.Ca. in data 12.2.1984, nonchè del contratto di vendita del 18.4.1984 intercorso tra il predetto procuratore speciale e il compratore R.G.; ha confermato invece la pronuncia di primo grado nella parte relativa all’accoglimento della domanda di annullamento del medesimo contratto per conflitto di interessi del rappresentante ai sensi dell’art. 1394 c.c..

Per giungere a tale soluzione, la Corte di merito, superata la censura di natura procedurale sollevata dagli appellanti incidentali (nullità della notifica dell’appello eseguita nei confronti di alcuni soggetti defunti e non nei confronti dei rispettivi eredi), ha osservato;

– che le precarie condizioni di salute del P. e il fatto che fosse allettato non erano sufficienti a dimostrare una incidenza sulle sue facoltà intellettive e volitive tale da diminuirle in modo da impedire e ostacolare la seria valutazione del rilascio della procura;

– che la mancanza di prova dello stato di incapacità del P. aveva carattere assorbente rispetto alla censure volte a contestare la ricorrenza dei presupposti per l’annullamento del contratto di compravendita ai sensi dell’art. 428 c.c. e dell’art. 1389 c.c.;

– che si giustificava invece l’annullamento del contratto per conflitto di interessi, comprovato da una serie di elementi convergenti in ordine alla assenza di una adeguata tutela degli interessi del rappresentato (prezzo di vendita di Lire 110.000.000 ritenuto irrisorio rispetto al valore di mercato dell’immobile accertato a mezzo CTU, circostanza senz’altro nota ai contraenti in considerazione delle loro rispettive qualità personali; frettolosità nella stipula del rogito in assenza di preliminare, di preventivo frazionamento e di indagini catastali; modalità di pagamento del prezzo attraverso dilazione di una rilevante somma con rinunzia all’ipoteca, in uno all’accettazione di assegni in bianco e senza quindi nessuna garanzia di adeguata provvista; persistente inadempimento del compratore nel versamento del residuo prezzo).

2. Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il R. sulla base di tre motivi a cui resistono con controricorso gli eredi del P. in epigrafe meglio indicati, i quali hanno proposto altresì ricorso incidentale articolato in quattro motivi e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Evidenti ragioni di priorità logica consigliano di partire dall’esame del primo motivo di ricorso incidentale che denunzia un error in procedendo. Deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 164,299,286,300 e 328 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) i ricorrenti incidentali si dolgono del rigetto dell’eccezione di nullità dell’impugnazione nei confronti degli eredi di A. ( V.G. e V.V.), degli eredi di V.V. ( V.R. e V.S.) e degli eredi di V.G. ( V.C. e V.E. nonchè C.M.). Osservano che la morte non venne dichiarata in giudizio, ma che comunque sarebbe stato onere del notificante accertarsi dell’esistenza in vita delle parti a cui notificare l’impugnazione, non trovando spazio condizioni interne di buna fede. Osservano che la sentenza di primo grado venne notificata al R. ad istanza degli eredi delle parti decedute ed anche se la notifica della sentenza avvenne dopo quella dell’impugnazione, il R. aveva l’onere di integrare la notificazione nei confronti degli eredi, non trovando spazio neppure la sanatoria a seguito della costituzione degli stessi.

Il motivo è infondato in base alla regola dell’ultrattività del mandato, enunciata dalle sezioni unite e a cui il Collegio intende senz’altro uniformarsi. E’ stato affermato che la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore; qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale – in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza “aliunde” di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante (v. S.U. Sez. U, Sentenza n. 15295 del 04/07/2014 Rv. 631467).

Nel caso di specie, la morte non venne dichiarata, come affermano gli stessi ricorrenti incidentali a pag. 11 e pertanto, sulla scorta del citato principio di ultrattività del mandato e di stabilità processuale della posizione della parte colpita dall’evento, ben poteva il difensore del soccombente notificare l’impugnazione al difensore dei soggetti defunti, aggiungendosi – ma solo per completezza – che, come riscontrato dalla Corte d’Appello, al momento della notifica dell’impugnazione la notifica della sentenza di primo grado ad istanza degli eredi (con l’indicazione degli eventi interruttivi) non era ancora avvenuta.

1 bis – 2 Passando adesso all’esame del ricorso principale del R., con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1394 e 2697 c.c. circa la sussistenza del conflitto di interessi. Si lamenta altresì la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..

Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 1703,1708 e 1711 c.c. circa l’efficacia del mandato conferito al geom. Co., nonchè la violazione degli artt. 1362 e 1363 cc.. Si critica la Corte d’Appello per avere desunto il conflitto di interessi dal prezzo della vendita e dalle modalità di versamento concordate, svolgendo una serie di considerazioni sul contratto di mandato e sulla ratifica tacita.

Le due censure – che per il comune riferimento al tema del conflitto di interessi si prestano ad esame unitario, -sono prive di fondamento ed in parte anche inammissibili.

Sono inammissibili laddove prospettano la violazione di norme di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e 1363 c.c.) senza precisare quali principi in particolare siano stati violati e in qual modo.

Lo sono altresì nella parte in cui prospettano questioni di diritto di cui non risulta la pregressa devoluzione ai giudici di merito (natura del mandato, possibilità di ratifica): il ricorso è silente e la sentenza impugnata non affronta tali tematiche.

Questa Corte ha sempre affermato che qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le varie, sez. 1, Sentenza n. 25546 del 30/11/2006 Rv. 593077; Sez. 3, Sentenza n. 15422 del 22/07/2005 Rv. 584872 Sez. 3, Sentenza n. 5070 del 03/03/2009 Rv. 606945).

Per il resto le censure sono infondate.

Va premesso che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010 Rv. 612745).

Nel caso in esame, si è completamente fuori dalla deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta, perchè lo stesso ricorso (v. pagg. 16 e 17) dà atto alla Corte di Appello di avere compiuto una corretta premessa in diritto sull’istituto del conflitto di interessi in linea con la giurisprudenza di legittimità mentre la critica è tutta sulla conclusione a cui è pervenuta la Corte di merito.

Si versa allora nella allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e quindi si ricade nel vizio di motivazione che, però oggi non è più neppure censurabile in cassazione, come si desume dal chiaro tenore dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile alla fattispecie). E la riprova si trae non solo dalla struttura dei motivi, tutti incentrati sulla erronea ricognizione della fattispecie concreta e non già su un errore di interpretazione della legge, ma dai continui ed espressi riferimenti proprio al vizio motivazionale (v. ricorso pagg. 21, 24, 28, 29, 31, 32, 33), come sottolineato anche nel controricorso.

Quanto alla censura sull’omesso rilievo, da parte della Corte di merito, della corrispondenza della attività posta in essere dal rappresentante rispetto ai poteri conferiti con la procura speciale (prezzo di vendita, possibilità di accordare dilazioni, rinunzia all’ipoteca legale), va osservato che la Corte di merito ha operato una valutazione non già atomistica, ma globale dell’operato del rappresentante evidenziando anche una serie di elementi di fatto non aventi alcuna attinenza con la procura speciale (la fretta di concludere il contratto senza alcuna stipula di un preliminare, senza procedere ai preventivi frazionamenti o alle indagini catastali, la dilazione nel pagamento accordata dietro consegna di assegni in bianco e senza garanzia di adeguata provvista presso la banca trattaria, considerata anche l’attività professionale rischiosa dell’acquirente: v. pagg. 16 e 17 sentenza impugnata).

Ed è noto che l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. tra le varie, Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016 Rv. 641328; Sez. L, Sentenza n. 17097 del 21/07/2010 Rv. 614797; Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006 Rv. 589595).

Le due censure, pertanto, tipicamente fattuali, non possono trovare ingresso in questa sede.

3. Col terzo motivo il R. deduCe, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Omesso esame delle risultanze delle prove orali in relazione all’al’art. 1394 c.c.: sostiene che la Corte d’Appello nel motivare sull’esistenza del conflitto di interessi, ha omesso di considerare l’esito della prova orale assunta nel corso del giudizio di primo grado ed evidenzia che le risultanze probatorie erano state invece utilizzate per respingere la domanda di annullamento della procura ex art. 428 c.c. e quella di annullamento del contratto ex art. 1389 c.c..

Anche tale motivo è infondato.

In tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 24434 del 30/11/2016 Rv. 642202).

E’ stato altresì affermato che la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013 Rv. 627523).

Nel caso di specie, per espressa scelta del legislatore, il vizio di motivazione non è più consentito, trovando applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

4 Restano a questo punto da affrontare gli ulteriori motivi proposti dai ricorrenti incidentali.

Col secondo di essi denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 428 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: dolendosi del rigetto della domanda di annullamento della procura speciale, i ricorrenti incidentali rimproverano alla Corte d’Appello di non avere valorizzato gli elementi da essi forniti per dimostrare l’incapacità di intendere e di volere del P..

Col terzo motivo si denunzia l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis). Ad avviso dei ricorrenti incidentali, la Corte d’Appello avrebbe dovuto esaminare, quale elemento di prova dello stato di incapacità della parte ai fini dell’annullamento del contratto di vendita, l’elemento della sproporzione del prezzo (circostanza peraltro opportunamente valorizzata ai fini della conferma dell’esistenza del conflitto di interessi del rappresentante).

Col quarto ed ultimo motivo di ricorso incidentale, sempre con riferimento alla domanda di annullamento della procura, si deduce infine violazione e falsa applicazione degli artt. 61,62 e 194 c.p.c. nonchè 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; criticando il passaggio ove la Corte di merito afferma di non avere cognizioni tecniche per stabilire se determinate patologie emerse al momento dell’ultimo ricovero del P. fossero conseguenza di uno stato confusionale e/o disorientamento spazio-temporale, i ricorrenti incidentali rilevano che in tal caso, per colmare le lacune cognitive del giudice, sarebbe stata necessaria la nomina di un consulente tecnico, non giustificandosi quindi la conclusione di negare rilievo probatorio agli elementi forniti.

Il secondo e quarto motivo, entrambi attinenti al rigetto della domanda di annullamento della procura speciale per incapacità del rappresentato, sono inammissibili per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.).

Secondo una regola generale più volte affermata da questa Corte, infatti, l’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 15353 del 25/06/2010 Rv. 613939; Sez. L, Sentenza n. 13373 del 23/05/2008 Rv. 603196; Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006 Rv. 589392).

Nel caso di specie, posto che il ricorso incidentale non è stato condizionato all’accoglimento di quello principale, i ricorrenti incidentali avrebbero dovuto chiarire quale possa essere l’interesse che li spinge ad insistere nel sostenere la tesi dell’annullabilità della procura speciale per notaio A. del 12.2.1984, posto che in caso di morte del rappresentato il potere rappresentativo comunque si estingue (v. art. 1722 c.c., n. 4).

Il terzo motivo è invece infondato perchè, così come articolato, esula dalla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nuova versione.

Le sezioni unite hanno chiarito che….. l’art. 360 c.p.c., nuovo testo n. 5) introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà quindi indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. S.U. n. 8053/14, Cass. S.U. 22 settembre 2014 n. 19881).

Nel caso in esame, il fatto storico decisivo era lo stato di capacità del P. (e la Corte d’Appello lo ha esaminato adeguatamente) e non già la sproporzione del prezzo di vendita dell’immobile (che invece costituiva un mero elemento indiziario).

L’omesso esame circa un fatto decisivo, dunque, non ricorre.

In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti con compensazione delle spese del presente giudizio.

Considerato inoltre che i ricorsi (principale e incidentale) sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono stati rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti (principale e incidentali), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta i ricorsi e compensa e spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti (principale e incidentali), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2017

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