Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2298 del 02/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 02/02/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 02/02/2021), n.2298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36525-2018 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato LUCIA PUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCA GAGGI;

– ricorrente –

contro

S.J.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

VIGNA MURATA, 1, presso lo studio dell’avvocato SABRINA CASUCCI, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6429/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con sentenza dell’8/7/2016 il Tribunale di Roma, a conclusione del procedimento per la cessazione degli effetti civili del matrimonio promosso da P.G. nei confronti di S.J.B., ha posto a carico dell’attore l’obbligo di corrispondere la somma di Euro 500,00, da rivalutarsi secondo indici Istat, a titolo di assegno divorzile, a spese compensate;

con sentenza del 12/10/2018 la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da P.G., condannandolo alle spese del grado; avverso la predetta sentenza, notificata il 17/10/2018, con atto notificato il 15/12/2018 ha proposto ricorso per cassazione P.G., svolgendo unico motivo, al quale ha resistito con controricorso notificato il 22/1/2019 S.J.B., chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

la controricorrente ha illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese.

Diritto

RITENUTO

che:

con il motivo il ricorrente lamenta violazione o errata applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè errata valutazione delle prove acquisite agli atti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

secondo il ricorrente la Corte di appello nel valutare la sostanziale indigenza della convenuta e l’agiatezza del P., aveva violato i criteri legali tenendo conto solo di una presunta disparità economica fra i coniugi, e trascurando una serie di rilevanti circostanze;

in particolare, non era stato considerato l’acquisto di due immobili in (OMISSIS) effettuati dal sig. P. a favore della moglie, il fatto che la sig.ra S. si era appropriata del 50% del conto corrente cointestato ove era confluito il prezzo della vendita di un bene personale del sig. P., il godimento da parte della donna del ricavato della vendita di beni acquistati dal P. con redditi suoi personali, caduti in comunione;

la capacità reddituale della sig.ra S. era stata inoltre valutata solo sulla base delle sue dichiarazioni, senza considerare il suo trasferimento in (OMISSIS), incidente sul costo della vita e sulle concrete possibilità di accertamenti, e i due appartamenti ricevuti dal marito e messi a reddito;

il motivo presenta indebita commistione di mezzi diversi perchè il ricorrente mescola effettivamente all’interno dello stesso motivo la doglianza di violazione di legge e la denuncia di vizio motivazionale;

un ampio indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, in tema di “motivi promiscui”, non ritiene consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez.3, 23/6/2017 n. 15651; Sez.6, 4/12/2014 n. 25722; Sez. 2, 31/1/2013 n. 2299; Sez.3, 29/5/2012 n. 8551; Sez.1, 23/9/2011 n. 19443; Sez.5, 29/2/2008 n. 5471);

appare infatti inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro;

infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Sez. 1, n. 19443 del 23/09/2011, Rv. 619790 01);

è pur vero che nella giurisprudenza di questa Corte si è anche ritenuto che l’inammissibilità in linea di principio della mescolanza e della sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, possa essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Sez.6, 09/08/2017 n. 19893; Sez. un. 6/5/2015, n. 9100).

in particolare, le Sezioni Unite con la sentenza n. 17931 del 24/7/2013 hanno ritenuto che, ove tale scindibilità sia possibile, debba ritenersi ammissibile la formulazione di unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure siano tenute distinte, alla luce dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, segnatamente a quello, tradizionale e millenario, iura novit curia, ed a quello, di derivazione sovranazionale, della c.d. “effettività” della tutela giurisdizionale, da ritenersi insito nel diritto al “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost., elaborato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile e segnatamente nell’attività di interpretazione delle norme processuali, corrispondere una effettiva ed esauriente risposta da parte degli organi statuali preposti all’esercizio della funzione giurisdizionale, senza eccessivi formalismi;

nella fattispecie, tuttavia, tale operazione di scissione non può essere compiuta nell’ambito delle deduzioni del ricorrente, che presentano una inestricabile sovrapposizione delle censure volte a denunciare una violazione di legge a quelle relative a un asserito vizio motivazionale;

v’è da rilevare, inoltre, che il motivo deduce il vizio motivazionale in forma non adeguata all’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134 (omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti);

il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486);

inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

infine il motivo è inammissibile sia perchè richiede alla Corte di legittimità di procedere direttamente all’esame e alla valutazione di asserite risultanze probatorie, solo genericamente richiamate, senza neppur dar conto delle fonti probatorie in forza delle quali esse risulterebbero acquisite, in violazione dei principi di autosufficienza e specificità; sia comunque per la mancata deduzione delle ragioni specifiche per cui la sentenza impugnata sarebbe incorsa in violazione di legge e in particolare per l’omessa specifica indicazione delle ragioni per cui non sarebbero stati rispettati in concreto i principi fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 dell’11/7/2018; ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.500,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

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