Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22979 del 16/09/2019

Cassazione civile sez. I, 16/09/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 16/09/2019), n.22979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15521/2018 R.G. proposto da:

K.K.J., elettivamente domiciliato in Roma Via Federico

Cesi, 72, presso lo studio dell’avvocato Sciarrillo Andrea e

rappresentato e difeso all’avvocato Sgarbi Pietro per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/06/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 5284/2018 depositato il 26-4-2018 e comunicato a mezzo pec nella stessa data il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso di K.K.J., cittadino della Costa d’Avorio, avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria. Il richiedente, nel riferire la propria vicenda personale, dichiarava di essere fuggito, su consiglio delle Forze di Polizia, in quanto era appartenente alla FESCI (Federazione Studentesca della Costa d’Avorio) e di seguito al partito FPI, che si era schierato contro il partito del Presidente Ouattara. Il Tribunale ha ritenuto che fossero solo in parte credibili i fatti narrati dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto riguardo anche alla situazione generale e politico-economica della Costa d’Avorio, descritta nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare il ricorrente chiede di sollevare questione di

illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), in relazione ai seguenti profili: 1) l’adozione del rito camerale e l’eliminazione del grado d’appello, per la violazione degli artt. 3,24,111,117 Cost., nonchè in relazione all’art. 46, par. 3 della direttiva 32/2013 ed agli artt. 6 e 13CEDU; 2) la previsione del termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione a decorrere dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado, per la violazione degli artt. 3,24,111 Cost.; 3) la previsione relativa alle modalità di rilascio della procura alle liti in relazione al medesimo procedimento, per la violazione degli artt. 3,24,111 Cost..

2. Con le ordinanze n. 17717/2018 e n. 28119/2018 questa Corte ha ritenuto manifestamente infondate tutte le questioni di illegittimità costituzionale che il ricorrente ripropone. Le argomentazioni di cui alle citate ordinanze, da intendersi, per brevità, richiamate, sono integralmente condivise dal Collegio.

3. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1 Convenzione di Ginevra 28-7-1951 (definizione del termine di rifugiato) e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. E)”. Deduce che il suo racconto era stato dettagliato e puntuale in quanto le elezioni che portarono al governo il Presidente O. e l’inizio della guerra civile risalgono al 2010, e non al 20042005. Il ricorrente per quattro anni era riuscito a cambiare zona del Paese per non farsi trovare, fino a quando nel 2015 iniziò a subire in prima persona minacce e violenze. Lamenta pertanto che erroneamente il Tribunale abbia ritenuto non credibili le vicende personali narrate, affermando che il ricorrente per 11 anni non avesse ricevuto minacce.

4. Con il secondo motivo lamenta “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 (esame dei fatti e delle circostanze) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis”. Ad avviso del ricorrente il Tribunale non si è attenuto ai criteri legali di valutazione di credibilità soggettiva delle dichiarazioni del richiedente. Ribadisce di essere fuggito in ragione della persecuzione subita ad opera del nuovo presidente O., insediatosi nel 2010, rimarca nuovamente l’errore nella collocazione temporale dei fatti in cui è incorso il Tribunale e assume che la motivazione del decreto impugnato sia meramente apparente.

5. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione in quanto attinenti alla ricostruzione fattuale della vicenda personale del ricorrente, sono inammissibili.

5.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019).

5.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità, difforme da quella accertata nel giudizio di merito.

Il Tribunale ha espresso la valutazione di non credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente con adeguata motivazione ed attenendosi ai criteri legali, precisando in dettaglio le incongruenze riscontrate nel racconto ed esprimendo un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell'”anomalia motivazionale”, nel senso precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, o dell’omessa valutazione di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante Cass. ord.. 3340/2019 citata).

Nel caso in esame non ricorre l'”anomalia motivazionale” e i fatti allegati dal ricorrente sono stati esaminati dal Giudice di merito.

Il dedotto errore nella collocazione temporale di vicende di natura storico-politica, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, non può ritenersi relativo a fatto controverso in causa, sicchè si configura come mera svista o errore percettivo desumibile dagli atti e, quindi, in quanto tale, non è censurabile con il ricorso per cassazione, ma, se del caso, come vizio revocatorio.

6. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B) e C) (protezione sussidiaria) anche in relazione all’art. 3 Cost.”. Lamenta la sottovalutazione della vicenda personale narrata ed il travisamento della situazione socio-politica della Costa d’Avorio, come risultante dal rapporto Amnesty International 2017-2018. Denuncia la violazione dell’art. 122 c.p.c., perchè nel decreto impugnato sono riportate informazioni in lingua inglese e si tratta di elementi necessari per la formazione del convincimento che ha condotto al rigetto delle domande. Deduce che le medesime fonti citate dal Tribunale (report Coi del 24-11-2017), il cui testo riporta nel ricorso, attestano che la situazione del Paese è tutt’altro che sicura, anche con particolare riguardo ai sostenitori di Gagbo, e come risulta anche dal report di Amnesty International 2017/2018, ugualmente riportato integralmente nel ricorso. Richiama i provvedimenti emessi da altri giudici di merito in fattispecie identiche, lamentando la violazione dell’art. 3 Cost..

7. Con il quarto motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (criteri applicabili all’esame delle domande)”. Ribadisce che sono trascritti nel decreto impugnato in lingua italiana il report Coi del 24-11-2017, che assume riportato nel decreto omettendo parti di notevole rilevanza, e un comunicato di Amnesty International, mentre, circa le altre fonti, non solo non ne è indicata la provenienza ma il testo è stato scritto in lingua inglese e non è comprensibile a chi legge. Lamenta in ogni caso il travisamento dei contenuti delle fonti di conoscenza citate nel decreto impugnato, avendo il Tribunale erroneamente esaminato la situazione oggettiva del Paese di origine (Costa d’Avorio), e rileva che neppure la Commissione Territoriale aveva indicato l’eventuale istruttoria esperita sulle condizioni di detto Paese.

8. I motivi terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

8.1. Sono infondate le censure concernenti le frasi della motivazione del decreto impugnato espresse in lingua straniera, atteso che si tratta di citazioni di testi, in lingua inglese, di facile comprensibilità. Neppure il ricorrente deduce specificatamente che dall’utilizzo, nei contenuti limiti di cui si è detto, della lingua straniera sia derivato pregiudizio al suo diritto di difesa (in tal senso Cass. n. 6093/2013, seppure in fattispecie concernente la consulenza tecnica d’ufficio).

Non si ravvisa, dunque, sussistente la lamentata violazione del principio dell’obbligatorietà della lingua italiana ai sensi dell’art. 122 c.p.c..

8.2. Sono inammissibili le doglianze concernenti il travisamento dei contenuti delle fonti di conoscenza citate nel decreto impugnato.

Anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Il Tribunale ha diffusamente esaminato, con indicazione delle fonti (oltre al report Coi del 24-11-2017, anche quello aggiornato al 28 marzo 2018 reperibile sul sito internet refworld, e altre fonti citate alle pag. n. 6, 7 e 8 del decreto) la situazione generale della Costa d’Avorio sotto ogni aspetto di rilevanza. Il Tribunale ha quindi escluso l’esistenza di situazioni di violenza indiscriminata in conflitto armato nel Paese di provenienza del richiedente, compiutamente esercitando il potere-dovere di cooperazione istruttoria e così effettuando, un accertamento di merito insindacabile, se non sotto i profili evidenziati nel p. 5.2., non ricorrenti nella specie.

9. Con il quinto motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (protezione umanitaria) – art. 10 Cost. (diritto di asilo) – art. 3 Cost. – nullità della sentenza”. Lamenta il ricorrente, in punto di diritto, che non sia necessaria, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la contestuale sussistenza sia di condizioni soggettive che di condizioni oggettive di vulnerabilità. La motivazione del decreto impugnato è meramente apparente, ad avviso del ricorrente, atteso che il Tribunale ha fatto automaticamente discendere il rigetto del riconoscimento della protezione umanitaria dal rigetto delle due domande principali.

10. Il motivo è infondato.

10.1. In ordine alla protezione umanitaria, questa Corte ha precisato che “La protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. ord. n. 3681/2019). La valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).

10.2. Nel caso di specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono circa le condizioni soggettive ed oggettive di rilevanza, nonchè facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità del ricorrente, valutando le allegazioni dello stesso e le informazioni sul Paese di origine, e ritenendo recessivo, in comparazione, il percorso di integrazione in Italia.

11. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

12. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

13. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.100, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2019

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