Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22974 del 02/10/2017

Cassazione civile, sez. II, 02/10/2017, (ud. 28/04/2017, dep.02/10/2017),  n. 22974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 854-2016 proposto da:

S.F., Z.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLE BELLI ARTI 8, presso lo studio

dell’avvocato ANTONINO PELLICANO’, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositato il

28/04/2015, procedimento R.G.V.G.n. 768/2014, Rep.n. 684/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RILEVATO

che con ricorso depositato il 21.11.2014 S.F. e Z.F. proponevano opposizione avverso il decreto 20.10.2014 del consigliere delegato della corte di appello di Catanzaro che, accogliendo la domanda di equa riparazione per eccessiva durata di un giudizio da loro proposta ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere al sig. Z. la somma di Euro 900,00 ed al sig. S. la somma di Euro 250,00, oltre al pagamento delle spese del giudizio;

che la corte d’appello di Catanzaro, con decreto reso inter partes in data 28.04.2015, accogliendo l’opposizione solo in punto di spese, ha riliquidato gli esborsi da riconoscere ai ricorrenti da Euro 8 a Euro 27 ed ha compensato le spese del giudizio di opposizione;

che i sigg. S. e Z. hanno impugnato tale decreto con ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di censura;

che il Ministero ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo i ricorrenti, precisato che nel giudizio presupposto la loro domanda (di adeguamento dell’indennità di disoccupazione agricola) era stata rigettata, lamentano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, in cui la corte d’appello sarebbe incorsa ritenendo applicabile il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3 (che impedisce che di riconoscere un indennizzo superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto riconosciuto dal giudice) anche qualora nel giudizio presupposto il diritto non sia stato riconosciuto dal giudice; casi nei quali, secondo i ricorrenti, non dovrebbe farsi applicazione della suddetta disposizione (da riferire, a loro avviso, solo alle ipotesi di in cui il diritto sia stato riconosciuto nel giudizio presupposto), ma dell’ordinario criterio tabellare;

che tale motivo va rigettato, perchè, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 124/2014, il valore cui si fa riferimento nella L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3 “è quello del diritto fatto valere dalla parte attrice, valore che costituisce un dato oggettivo, che non muta in ragione della posizione che la parte che chiede l’indennizzo aveva nel processo presupposto” (cfr. Cass. 25711/15);

che con il secondo motivo si lamenta la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, in cui la corte d’appello di Catanzaro sarebbe incorsa nel determinare il valore della lite, al fine della liquidazione dell’indennità, senza comprendere in tale valore la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sui crediti azionati dai ricorrenti nel giudizio presupposto, quali risultanti dal conteggio prodotto in sede di merito;

che tale motivo va disatteso, perchè, per un verso, non attinge l’affermazione dell’impugnato decreto secondo cui gli importi considerati ai fini del valore del giudizio presupposto (Euro 926,00 per Z. ed Euro 250,26 per S.) erano già comprensivi, nei conteggi prodotti dai ricorrenti, della rivalutazione maturata al 15.3.13, data di deposito della sentenza di appello nel giudizio presupposto; per altro verso si fonda su un assunto erroneo, ossia che, ai fini del valore del giudizio

presupposto, si dovrebbe tenere conto degli interessi e della rivalutazione maturati dopo la presentazione della domanda; là dove, come questa Corte ha già chiarito (sent. n. 19302/06) dall’art. 10 c.p.c., comma 2 emerge il principio per cui, ai fini della determinazione del valore della causa, gli interessi e la rivalutazione si sommano al capitale richiesto solo per gli importi già maturati alla data della domanda;

che con il terzo motivo si lamenta la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, nonchè carenza di motivazione, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che il limite del valore della lite o del diritto accertato si riferisca all’importo complessivo dell’indennizzo e non a quello spettante per ogni anno di eccessiva durata del processo;

che tale motivo va rigettato, avendo questa Corte ha già chiarito, con la sentenza 25804/15, che in tema di equa riparazione il limite L. n. 89 del 2001, ex art. 2 bis, comma 3, (nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012) va riferito all’indennizzo globale per l’ingiusta durata del processo presupposto e non a quello annuo, come emerge dall’interpretazione letterale e teleologica della norma che, in deroga espressa al comma 1, ancora l’indennizzo al valore della causa, onde evitare sovracompensazioni o arricchimenti occasionali, se non insperati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;

che, alla luce del principio sopra enunciato, va giudicato manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale L. n. 89 del 2001, suddetto art. 2 bis, comma 3, prospettato dal ricorrente con riferimento agli artt. 3 e 117 Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU) (in senso conforme, Cass. 14047/16);

che con il quarto motivo si lamenta la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in combinato disposto con l’art. 6, comma 1, artt. 13 e 41 CEDU e con gli artt. 2056 e 1226 c.c., nonchè il vizio di carenza di motivazione, in cui la corte si distrettuale sarebbe incorsa liquidando l’indennizzo senza tenere in considerazione la soglia minima, elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU di Euro 750 all’anno, per i primi tre anni di eccessiva durata, e Euro di 1.000 all’anno per gli anni successivi;

che tale motivo va disatteso perchè, per un verso, non considera che il limite alla misura dell’indennizzo costituito dal valore della causa è normativamente imposto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3 e, per altro verso, ignora l’orientamento di questa Corte secondo cui il giudice ha il potere di discostarsi, in misura ragionevole, dai criteri di liquidazione dell’equa riparazione elaborati dalla Corte EDU qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (sentt. nn. 18617/10, 17922/10, 12937/12, 22044/15);

che con il quinto ed ultimo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2009, artt. 2 e 3, in combinato disposto con l’art. 1173 c.c., nonchè il vizio di motivazione illogica e contraddittoria, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa rigettando il motivo di opposizione riguardante l’obbligo dell’amministrazione convenuta di corrispondere gli interessi sulla somma liquidata a titolo di indennità dalla data della domanda;

che, secondo la corte territoriale, avendo la L. n. 134 del 2012 strutturato il procedimento per la liquidazione dell’equa riparazione sulla falsariga del procedimento monitorio, la decorrenza degli interessi dovrebbe essere ancorata non alla data del deposito del ricorso ma alla data della notifica del medesimo, in una con il conseguente decreto;

che il motivo è fondato, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la modifica delle modalità procedurali con le quali si fa valere in giudizio il diritto all’equa riparazione del danno conseguente alla irragionevole durata del processo non incide sulla decorrenza del diritto agli interessi sulle somme a tal titolo liquidate, giacchè tale decorrenza va in ogni caso ancorata alla data della domanda giudiziale (e quindi, in concreto, alla data di deposito del ricorso) in ragione della natura indennitaria del credito dell’attore; come infatti questa Corte ha più volte chiarito (da ultimo, cfr. 26206/16) l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione si configura, non già come obbligazione “ex delicto”, ma come obbligazione “ex lege”, riconducibile, giusta l’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico; cosicchè, dal suo carattere indennitario discende che gli interessi legali decorrono, semprechè richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere d’incertezza ed illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria;

che quindi in definitiva il ricorso va accolto limitatamente al quinto motivo;

che peraltro, in relazione motivo accolto, è possibile decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, condannando il Ministero della giustizia a pagare gli interessi sulle somme liquidate a titolo di equa riparazione con decorrenza dalla data di deposito del ricorso;

che le spese del giudizio di legittimità si compensano in considerazione della parziale soccombenza reciproca delle parti.

PQM

accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa il decreto gravato in relazione motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a pagare gli interessi sulle somme liquidate a titolo di equa riparazione con decorrenza dalla data di deposito del ricorso introduttivo;

compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2017

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