Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22973 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 04/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 04/11/2011), n.22973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21811/2010 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO rappresentato e difeso dagli

avvocati LANZETTA Elisabetta, ENRICO MITTONI giusta mandato speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIOVANNI BATTISTA TIEPOLO N 21, presso lo studio

dell’avvocato MICHIENZI Pasquale, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MICHIENZI PIETRO, ACQUAVIVA ANGELO giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.M.C., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1175/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

17/11/09, depositata il 29/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato Ricci Mauro (delega Elisabetta Lenzetta) difensore

del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ELISABETTA CESQUI che nulla

osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto dall’Inps avverso la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato che gli odierni intimati non erano tenuti a versare all’Inps il contributo di solidarietà del 2%, di cui alla L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5, sulle retribuzioni di servizio per il periodo successivo al 1.10.1999; a sostegno del decisum la Corte territoriale ha richiamato, condividendolo, il principio di diritto formulato al riguardo con la sentenza di questa Corte di Cassazione n. 11732/2009.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale l’Inps ha proposto ricorso fondato su un unico motivo, sostenendo una diversa interpretazione della normativa di riferimento in base alla quale il contributo di solidarietà sarebbe dovuto essere corrisposto, anche dai dipendenti in attività di servizio, sulle prestazioni integrative maturate dai medesimi all’atto della soppressione del relativo Fondo per la previdenza integrativa.

L’intimato C.A. ha resistito con controricorso.

Gli intimati B.M.A., + ALTRI OMESSI non hanno svolto attività difensiva.

A seguito di relazione e previo deposito di memoria da parte del ricorrente, la causa è stata decisa in Camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c..

2. Giova precisare che la L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 2, ha disposto, a decorrere dal 1.10.99, la soppressione dei fondi per la previdenza integrativa dell’assicurazione generale obbligatoria per i dipendenti degli enti di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70 (ossia gli enti pubblici come Inps ed Inail, facenti parte del c.d. parastato) con contestuale cessazione delle corrispondenti all’quote contributive previste per il finanziamento dei fondi medesimi; il successivo comma 3 ha poi riconosciuto agli iscritti ai fondi soppressi “…il diritto all’importo del trattamento pensionistico integrativo calcolato sulla base delle normative regolamentari in vigore presso i predetti fondi che restano a tal fine confermate anche ai fini di quiescenza e delle anzianità contributive maturate alla data del 1 ottobre 1999”.

Attraverso questa disposizione, anche coloro che – alla data della soppressione (1 ottobre 1999) – non avevano ancora conseguito i requisiti prescritti dalla normativa del Fondo e, quindi, non avrebbero avuto alcun diritto nei suoi confronti, finiscono con l’acquisire comunque la prestazione integrativa; in altri termini “tutti” i dipendenti di questi enti “maturano” la pensione integrativa nella misura conseguita al 1 ottobre 1999, ancorchè la sua concreta erogazione competa poi solo a coloro che hanno già acquisito la pensione obbligatoria, secondo la regola ormai generalizzata, L. n. 449 del 1997, ex art. 59, comma 3, per cui la pensione integrativa si consegue solo in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti per l’assicurazione generale obbligatoria di appartenenza.

Inoltre, come previsto dalla parte finale del suddetto comma 3, gli importi maturati al 1 ottobre 1999 vengono rivalutati annualmente sulla base degli indici Istat, di talchè, al momento del conseguimento della pensione obbligatoria, i dipendenti in servizio avranno diritto alla pensione integrativa nel maturato al 1 ottobre 1999, incrementato della rivalutazione per ciascuno degli anni che li separano dalla pensione.

Infine il comma 5, dell’art. 64 introduce, dalla medesima data del 1 ottobre 1999, un contributo di solidarietà del 2% “…sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria erogate o maturate presso i fondi e la gestione speciale di cui al comma 2”.

3. La questione che si pone è pertanto la seguente: se detto contributo di solidarietà del 2% debba gravare solo su coloro che percepiscono la pensione integrativa, oppure anche (attraverso ritenute sulla retribuzione) sui dipendenti in servizio, i quali, pur non ricevendola concretamente, la abbiano già maturata.

4. Il combinato disposto di queste norme aveva indotto alcuni giudici di merito ad accogliere la tesi dell’Inps, ritenendo che la formula legislativa “prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria erogate o maturate presso i fondi….” doveva essere intesa con riferimento non solo ai trattamenti integrativi in atto, ma anche con riferimento alla somma maturata (sempre a titolo di trattamento pensionistico integrativo) dai dipendenti in servizio sulla base degli accantonamenti effettuati fino al 30.9.1999, trattenendo la relativa somma sulle retribuzioni; si privilegiava in tal senso il riferimento fatto dalla legge al “maturato” e si considerava anche la peculiarità del sistema, per cui anche le pensioni “maturate” al 1 ottobre 1999 dai dipendenti in servizio, ma non liquidate, si rivalutavano annualmente in base agli indici Istat (in deroga al principio generale per cui si rivaluta solo la pensione liquidata), di talchè costoro avrebbero percepito il maturato all’ottobre 1999 incrementato dalle rivalutazioni annuali a partire da quella data fino al pensionamento (decorrente anche molti anni dopo) senza pagare alcunchè, con la conseguenza che, mentre per i pensionati detta rivalutazione trovava copertura nel contributo di solidarietà, per coloro che erano ancora in servizio, ove ritenuti esenti dal contributo di solidarietà, la rivalutazione non avrebbe trovato alcuna forma di copertura, con conseguente squilibrio finanziario.

La giurisprudenza di legittimità era però orientata concordemente (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 11732/2009; 12735/2009; 12905/2009) a ritenere che il contributo di solidarietà non dovesse gravare sulle retribuzioni dei dipendenti in servizio, dando preminente rilievo al fatto che la legge lo impone sulle “prestazioni integrative”, cioè sui trattamenti pensionistici contemplati dal Fondo, e non già sulle retribuzioni percepite dai dipendenti ancora in attività di servizio, ancorchè anche costoro avessero indubbiamente già “maturato” la pensione integrativa ed ancorchè la legge lo estendesse non solo a quelle “erogate” ma anche a quelle “maturate”.

5. Con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in L. 15 luglio 2011, n. 111, all’art. 18, comma 19, è stato previsto che “Le disposizioni di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, comma 5, si interpretano nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio. In questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa”.

6. La verifica della conformità a Costituzione di questa norma va compiuta alla luce dei principi enunciati dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 257/2011 in tema di legge interpretativa, concernente anche in quel caso la materia pensionistica (si trattava della L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 153, che interpretava autenticamente la L. n. 457 del 1972, art. 3, in tema di pensioni degli operai agricoli a tempo determinato).

La Corte Costituzionale – dopo avere ribadito, come nelle sue precedenti pronunzie, non essere decisiva a verifica sul carattere effettivamente interpretativo oppure innovativo con efficacia retroattiva della norma, perchè il divieto di retroattività della legge non è stato elevato a dignità costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione dell’art. 25 Cost., per cui il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di interpretazione autentica, che determinano la portata precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti – ha confermato altresì che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica non può dirsi irragionevole qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario.

Ha poi negato la Corte la fondatezza della questione di legittimità costituzionale di quella disposizione interpretativa, sollevata con riferimento all’art. 111 Cost. (interpretato alla luce dell’art. 6 CEDU, in quanto la previsione della sua applicabilità ai giudizi in corso violerebbe i principio del giusto processo, in particolare sotto il profilo della parità delle parti, da ritenere leso a causa di un intervento del legislatore diretto ad imporre una determinata soluzione ad una circoscritta e specifica categoria di controversie) e art. 117 Cost., comma 1 (per violazione degli obblighi internazionali dello Stato e, in particolare, dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo).

La Corte ha così deciso: In premessa, si deve ricordare che questa Corte, con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007, ha chiarito i rapporti tra il citato art. 117 Cost., comma 1, e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. I principi illustrati nelle menzionate sentenze devono ritenersi in questa sede richiamati. Alla luce di essi si deve, dunque, verificare: a) se vi sia contrasto, non suscettibile di essere risolto in via interpretativa, tra la disciplina censurata e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed assunte quali fonti integrarci dell’indicato parametro costituzionale; b) se le norme della CEDU, invocate come integrazione del parametro (cosiddette norme interposte), nell’interpretazione ad esse data dalla medesima Corte, siano compatibili con l’ordinamento costituzionale italiano (sentenza n. 348 del 2007, citata). Orbene, con riguardo all’art. 6 della CEDU, si deve osservare che la Corte di Strasburgo, pur censurando in numerose occasioni indebite ingerenze del potere legislativo degli Stati sull’amministrazione della giustizia (per una ricognizione dei casi trattati, sentenza di questa Corte n. 311 del 2009), non ha inteso enunciare un divieto assoluto d’ingerenza del legislatore, da momento che in varie occasioni ha ritenuto non contrari al menzionato art. 6 particolari interventi retroattivi dei legislatori nazionali. La regola di diritto, affermata anche di recente con sentenza della seconda sezione in data 7 giugno 2011, in causa Agrati ed altri c/ Italia, è che “Se, in linea di principio, il legislatore può regolamentare in materia civile, mediante nuove disposizioni retroattive, i diritti derivanti da leggi già vigenti, il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo sancito dall’art. 6 ostano, salvo che per ragioni imperative d’interesse generale, all’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia. L’esigenza della parità delle armi comporta l’obbligo di offrire ad ogni parte una ragionevole possibilità di presentare il suo caso, in condizioni che non comportino un sostanziale svantaggio rispetto alla controparte”.

Anche secondo la detta regola, dunque, sussiste lo spazio per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.). Diversamente, se ogni intervento del genere fosse considerato come indebita ingerenza allo scopo d’influenzare la risoluzione di una controversia, la regola stessa sarebbe destinata a rimanere una mera enunciazione priva di significato concreto”.

7. Nel caso in esame – sulla base di questi principi – il D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 19, convertito in L. n. 111 del 2011, sopra riportato, non suscita dubbi di contrarietà a Costituzione, perchè esso:

ha enucleato una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo;

ha superato una situazione di oggettiva incertezza derivante dal suo ambiguo tenore, evidenziata dai diversi indirizzi interpretativi (tra la giurisprudenza di merito e quella di legittimità di cui sopra si è dato conto);

non ha inciso su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisagli in mancanza di una consolidata giurisprudenza dei giudici nazionali.

Non è dunque sostenibile che la disposizione de qua abbia inteso realizzare una illecita ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia, allo scopo d’influenzare la risoluzione di controversie; essa, in realtà, ha fatto propria una soluzione già adottata da molti giudici di merito nell’esercizio di un potere discrezionale in via di principio spettante ai legislatore e nel quale non è dato ravvisare profili di irragionevolezza;

infatti la finalità di superare un conclamato contrasto di giurisprudenza, destinato peraltro a riproporsi in un gran numero di giudizi, essendo diretta a perseguire un obiettivo d’indubbio interesse generale quale è la certezza del diritto, è configurabile come ragione idonea a giustificare l’intervento interpretativo del legislatore.

8. Avendo la Corte territoriale seguito un orientamento ermeneutico difforme da quello statuito dalla ricordata disposizione interpretativa sopravvenuta, il ricorso va accolto siccome manifestamente fondato. La sentenza impugnata va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda svolta dagli odierni intimati.

La decisione della controversia sulla base dello ius superveniens consiglia la compensazione delle spese afferenti all’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo ne merito, rigetta la domanda; compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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