Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22971 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 21/10/2020), n.22971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11529/2019 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliato in Cagli (PU), località

Acquaviva, via Serra, n. 50, rappresentato e difeso dall’Avv.

Giuseppe Briganti, del Foro di Urbino, giusta procura speciale in

calce al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di ANCONA n. 2555/2019 del 26

febbraio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 26 febbraio 2019, il Tribunale di Ancona ha rigettato il ricorso proposto da O.M., cittadino proveniente dalla (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il Tribunale, ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente – il quale aveva dichiarato di essere fuggito dal suo Paese per avere provocato la morte di un pedone in seguito ad un incidente stradale e di essere stato minacciato dai fratelli della vittima – e ha affermato la sussistenza di una causa ostativa al riconoscimento della protezione richiesta, avendo il richiedente commesso un reato grave; che non erano emersi elementi da cui desumere la sussistenza di una grave ed individuale minaccia nei confronti del richiedente e che la sola presenza dei civili nell’area di provenienza non costituiva un pericolo per la vita e la loro incolumità; che non si ravvisavano condizioni individuali di elevata vulnerabilità, nè il richiedente aveva dato prova di avere seriamente intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa.

3. O.M. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a cinque motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità del decreto impugnato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 1 e 11, lett. a) e art. 13; artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2 e dell’art. 111 Cost., comma 6, stante le lacune motivazionali in esso presenti.

In particolare, il Tribunale non avrebbe compiutamente argomentato in merito alle ragioni dell’asserita contraddittorietà delle dichiarazioni del richiedente, limitandosi al richiamo generico della decisione della Commissione, senza effettuare un compiuto ed autonomo vaglio critico, alla luce dei rilievi formulati e documentati in sede di ricorso, e senza svolgere i necessari approfondimenti istruttori; la motivazione era apparente e contraddittoria laddove in alcune parti del provvedimento aveva ritenuto credibili le dichiarazioni del ricorrente (così con riferimento al “timore persecutorio dallo stesso rappresentato” e alla protezione umanitaria); mancava inoltre il riferimento a fonti internazionali attuali indicate nel ricorso e alle condizioni sociali e politiche generali del Paese di origine, nonchè alle ragioni che avevano indotto il Tribunale a ritenere esistente in Nigeria una adeguata ed effettiva tutela da parte delle autorità statali; quanto alla protezione umanitaria non era dato rinvenire le ragioni logico-giuridiche della valutazione comparativa e del perchè era stato ritenuto irrilevante il percorso migratorio del richiedente in rapporto al suo percorso di integrazione in Italia e alla sua vicenda personale, avuto riguardo alla vicenda narrata e alla situazione del Paese d’origine; il Tribunale non aveva potuto apprezzare i risvolti paraverbali e non verbali della narrazione del richiedente, che era stato sentito dal GOT delegato dal giudice relatore.

1.1 Il motivo è inammissibile.

Ed invero, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la motivazione apparente ricorre quando la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente, esistente, come parte del documento in cui consiste la sentenza o altro provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).

Con orientamento ormai consolidato e ribadito anche di recente, quindi, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).

In particolare, in tema di valutazione delle prove, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la motivazione assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass., 30 maggio 2019, n. 14762).

1.2 Tanto premesso, nel caso in esame, non sussiste il vizio lamentato sia per quel che riguarda la domanda di protezione internazionale, sia per quanto concerne la domanda di protezione umanitaria perchè entrambe le statuizioni risultano sostenute da una chiara motivazione che delinea il percorso logico – argomentativo che ha portato il Tribunale a rigettare le tesi dell’odierno ricorrente.

1.3 Nel primo caso il Tribunale ha affermato che le dichiarazioni del richiedente non erano credibili e che il ricorrente non era in stato in grado di circostanziare la vicenda su fatti essenziali e determinanti l’espatrio e che gli altri elementi dallo stesso prodotti non erano risolutivi.

Inoltre, il Tribunale ha evidenziato la sussistenza di una causa ostativa al riconoscimento sia dello status di rifugiato, che della protezione sussidiaria, avendo il ricorrente commesso un omicidio.

1.4 Nel secondo caso è chiaro che il rigetto della protezione umanitaria è stato disposto per mancanza di elementi da cui desumere che l’interessato versi in una delle ipotesi di vulnerabilità rilevanti per la suddetta forma di protezione, non essendo stata neanche dimostrata in modo specifico l’avvenuta integrazione e stabilizzazione in Italia.

1.5 Nella descritta situazione la motivazione esiste e non corrisponde affatto alla nozione di motivazione apparente, nozione alla quale il ricorrente fa riferimento nel tentativo di ottenere in questa sede una diversa valutazione delle risultanze processuali effettuata dal Tribunale sulla condizione personale del ricorrente, senza contestare in modo specifico le ragioni del decidere poste a fondamento della ritenuta carenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale e di quella umanitaria.

Non sussiste, pertanto, alcuna contraddizione, poichè il Tribunale ha operato una valutazione delle dichiarazioni del ricorrente, alla luce di fonti di informazioni indicate e attuali e ha evidenziato la non credibilità del ricorrente, con la subordinata considerazione che anche se i fatti narrati fossero veri, comunque non ricorrerebbero i presupposti per il riconoscimento della protezione.

1.6 Risulta impropria anche l’invocazione dell’attivazione dei poteri istruttori officiosi, dato che il richiedente, in materia di protezione internazionale, è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794). In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività.

Il ricorrente non solo, non indica quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sulle condizioni sociali e politiche del paese di provenienza senza spiegare neppure l’incidenza di tali fatti nella fattispecie in esame.

1.7 Risultano parimenti irrilevanti le censure relative alla mancata audizione del richiedente da parte del Tribunale, che non tiene conto della giurisprudenza di questa Corte secondo cui nell’ipotesi di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, salvo che il ricorrente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio, ma non comporta il dovere di disporre nuovamente l’audizione del ricorrente (Cass., 23 maggio 2019, n. 14148; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5973).

Ciò fatte salve le ipotesi, nella specie non sussistenti, in cui nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.

1.8 Anche la censura relativa alla comparizione del ricorrente dinanzi al GOT è inammissibile, avendo questa Corte già affermato che il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di Tribunale abbia svolto attività processuali e abbia poi rimesso la causa per la decisione al collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione non è affetto da nullità in quanto l’estraneità di detto giudice al collegio non assume rilievo a norma dell’art. 276 c.p.c., dato che, con riguardo ai procedimenti camerali, il principio di immutabilità del giudice non opera con riferimento alle attività svolte in diverse fasi processuali (Cass., 16 aprile 2020, n. 7880) e che il D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, recante la riforma organica della magistratura onoraria, consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, compresa l’assunzione di testimoni, mentre l’art. 11 del medesimo D.Lgs., esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari solo per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non rientrano quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis (Cass., 24 febbraio 2020, n. 4887).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento all’art. 3 CEDU, all’art. 10 Cost., comma 4 e art. 27 Cost., comma 2; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27 e 32 e all’art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7,10,14,16.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e specificamente dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost.; L. n. 881 del 1997, art. 11; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32, art. 35 bis, comma 11, lett. a) e dell’art. 16 della Direttiva Europea n. 2013/32, nonchè degli artt. 2, 3, anche in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6,7 e 14 e del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

Il ricorrente, oltre a ribadire profili di censura in precedenza illustrati, afferma che il Tribunale doveva prendere in considerazione tutte le dichiarazioni del ricorrente, anche alla luce della documentazione prodotta nel rispetto del dovere di cooperazione istruttoria e che, con motivazione contraddittoria dapprima aveva ritenuto non credibile il richiedente e poi aveva affermato la sussistenza di una causa di esclusione ritenendo vere le sue affermazioni.

3.1 I due motivi vanno trattati congiuntamente perchè sono inammissibili per la stessa ragione, poichè in essi vengono richiamate le norme menzionate in rubrica, ma non viene in alcun modo spiegato come il Tribunale le avrebbe violate, risolvendosi peraltro i motivi in un richiamo alle argomentazioni già svolte.

3.2 Nello specifico secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass., 26 giugno 2013, n. 16038).

3.3 Nel caso in esame, gli ampi e articolati presentano profili di inammissibilità in quanto viene dedotta la violazione di una pluralità di disposizioni normative, omettendo di precisare le affermazioni in diritto della sentenza che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità), genericamente richiamate nella intestazione del motivo, e senza ricondurre una specifica statuizione della sentenza alla violazione di una determinata norma, impedendo così alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Specificamente il ricorrente ribadisce le medesime censure sollevate dinanzi al Tribunale, sovrapponendo alle argomentazioni del Tribunale le proprie senza prospettare differenti profili argomentativi.

Ciò che sarebbe stato necessario a fronte delle motivazioni contenute nel decreto impugnato che, peraltro, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto all’uopo richiamati.

Non sussiste, infine, alcuna contraddizione, poichè il Tribunale valutando le dichiarazioni del ricorrente ha evidenziato la non credibilità del ricorrente, con la subordinata considerazione che anche se i fatti narrati fossero veri, avrebbe operato la causa ostativa al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria. 4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, in particolare, degli artt. 6 e 13 della convenzione EDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32.

In particolare, il ricorrente afferma che non può ritenersi rispettato il principio di effettività del ricorso in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

4.1 Il motivo è inammissibile, perchè oltre a ribadire ancora una volta le argomentazioni già svolte, è irrilevante, laddove denuncia la violazione del principio di effettività del ricorso derivante dall’asserita mancata utilizzazione da parte del Giudice dei poteri istruttori officiosi.

Al riguardo, va ricordato che secondo la Corte di Strasburgo, requisito essenziale per il rispetto del diritto al ricorso effettivo al giudice è quello della garanzia in favore dell’interessato dell’effettiva conoscenza della facoltà di esercitare il proprio diritto a prendere parte al procedimento e, di conseguenza, ad un equo processo (Corte EDU, 27 aprile 2017, Schmidt c. Lettonia; Cass., 4 febbraio 2020, n. 2555).

Nel caso in esame, il ricorrente non deduce di non avere potuto esercitare tale diritto, quanto piuttosto che il Giudice non abbia utilizzato i poteri istruttori officiosi di cui si è già detto.

5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 1 e 13 e degli artt. 737,135 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6; in subordine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in ulteriore subordine violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

Ad avviso del ricorrente il Tribunale nulla motiva in merito al percorso migratorio e al periodo di permanenza in Libia.

5.1 Il motivo è inammissibile, poichè la censura cumula una denuncia di nullità del provvedimento impugnato, un omesso esame di un fatto decisivo e controverso e una violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 .

Al riguardo questa Corte ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi di fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 31 marzo 2020, n. 7628; Cass., 9 maggio 2018, n. 11222; Cass., 20 novembre 2017, n. 27458; Cass., 28 settembre 2016, n. 19133).

Nel caso in esame, il ricorrente sottopone all’esame di questa Corte una serie di aspetti diversi, alcuni prospettati in diritto, altri in fatto, alcuni riguardanti la protezione sussidiaria, altri la protezione umanitaria con riguardo a profili differenti, con la conseguenza che viene riversato nel ricorso, l’intero contenuto delle fasi di merito devolvendo alla Corte di cassazione l’individuazione degli eventuali vizi invalidanti la decisione impugnata.

5.2 Con specifico riferimento al percorso migratorio e al periodo di permanenza in Libia va, in ogni caso, il motivo è inammissibile per difetto di specificità, difettando l’indicazione delle ragioni per le quali la valutazione dovesse estendersi anche alla condizione di tale Paese. Al riguardo, va evidenziato che l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide, potendo il paese di transito rilevare, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva UE n. 115/2008, solo nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass.,6 dicembre 2018, n. 31676).

6. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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