Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22971 del 10/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 10/11/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 10/11/2016), n.22971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22505 – 2015 R.G. proposto da:

D.M., – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa giusta

procura speciale in calce al ricorso per regolamento di competenza

dall’avvocato Paolo La Spina ed elettivamente domiciliata in Roma,

al viale Mazzini, n. 88, presso lo studio dell’avvocato Mauro

Amiconi;

– ricorrente –

contro

ISTITUZIONE PUBBLICA di ASSISTENZA e BENEFICENZA COLLEGIO SANTONOCETO

e CONSERVATORI RIUNITI, – c.f. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore. rappresentata e difesa congiuntamente e

disgiuntamente, giusta procura speciale in calce alla memoria ex

art. 47 c.p.c., u.c., dall’avvocato Mario Giudice e dall’avvocato

Odilia Daniele ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via

Giovanni Antonelli, n. 4, presso lo studio dell’avvocato Danilo

Lombardo;

– resistente –

Avverso la sentenza del tribunale di Catania n. 3368 dei 3/4.8.2015;

Udita la relazione all’udienza in camera di consiglio del 19 luglio

2016 del consigliere dott. Luigi Abete;

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, che ha chiesto

rigettarsi il ricorso, con conseguente conferma della competenza

dell’organo arbitrale.

Fatto

MOTIVI IN FATTO E DIRITTO

Con ricorso al tribunale di Catania depositato il 4.4.2013 ingegner D.M. esponeva che in virtù di disciplinare d’incarico sottoscritto in data (OMISSIS) aveva svolto attività professionale per conto dell”Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza Collegio Santonoceto e Conservatori Riuniti”; che il compenso dovutole, pari ad Euro 84.512,53, nonostante i ripetuti solleciti, non le era stato corrisposto.

Chiedeva ingiungersi al medesimo ente il pagamento della somma anzidetta oltre interessi.

Con decreto del 22.5.2013 il tribunale di Catania pronunciava l’ingiunzione siccome domandata.

Con atto di citazione ritualmente notificato l'”I.P.A.B.” proponeva opposizione.

Chiedeva, preliminarmente, dichiararsi improponibile ovvero improcedibile la domanda ex adverso esperita in via monitoria alla stregua della clausola arbitrale pattuita all’art. 18 del disciplinare d’incarico; nel merito, revocarsi l’opposto decreto.

Costituitesi, la ricorrente instava per il rigetto dell’opposizione.

Con sentenza n. 3368 dei 3/4.8.2015 il tribunale di Catania dichiarava la nullità del decreto opposto e la propria incompetenza attesa la competenza del collegio arbitrale; condannava l’opposta alle spese di lite.

Esplicitava il tribunale che la clausola compromissoria doveva reputarsi adeguatamente sottoscritta, giacchè nella fattispecie non si era al cospetto di condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente dall’istituzione opponente.

Esplicitava altresì che, in dipendenza della generica formula di cui all’art. 18 del disciplinare – “tutte le controversie che possono sorgere relativamente alla liquidazione dei compensi previsti dalla presente convenzione e non definite in via amministrativa saranno, nel termine di 30 giorni da quello in cui fu notificato il provvedimento amministrativo, deferite ad un collegio arbitrale” – necessariamente comprensiva delle “eventuali controversie concernenti la possibilità di procedere alla liquidazione e, poi, quelle relative alla quantificazione” (così sentenza impugnata, pag. 3), la res litigiosa oggetto della sua delibazione senza dubbio non ne fuoriusciva e vi era ricompresa.

Esplicitava inoltre, “quanto alla presenza della clausola sospensiva nel disciplinare” (così sentenza impugnata, pag. 3), clausola con la quale si era inteso subordinare il pagamento delle prestazioni professionali all’ottenimento del finanziamento pubblico delle opere, che l’art. 1 del disciplinare faceva espresso riferimento alla delibera del c.d.a. n. 54 del 19.9.2008, siccome “formante parte integrante della presente” convenzione, sicchè tale esplicito richiamo faceva sì “che le condizioni inserite nella delibera devono ritenersi parte integrante del contratto medesimo” (così sentenza impugnata, pag. 3); che al contempo era priva di significato la circostanza che la data in calce al disciplinare fosse anteriore, di un giorno, rispetto a quella della delibera del c.d.a.; che invero ben poteva trattarsi di un mero errore di scrittura.

Esplicitava ancora che era da escludere che vi fosse stata implicita rinuncia alla clausola compromissoria, atteso che le missive in data 16.4.2012 e 27.2.2013 costituivano non già atti amministrativi ma mere comunicazioni in risposta alle avverse richieste di pagamento.

Esplicitava infine che. quantunque l'”I.P.A.B.” avesse concluso per la declaratoria di improcedibilità della domanda ex adverso azionata in via monitoria, siffatta circostanza nondimeno non inficiava la validità dell’exceptio compronsi, giacchè occorreva aver riguardo all’aspetto sostanziale della richiesta formulata” (così sentenza impugnata, pag. 3).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per regolamento necessario di competenza D.M.; ne ha chiesto, sulla scorta di sette motivi, l’annullamento e, quindi, ha chiesto dichiararsi la competenza del tribunale di Catania con ogni conseguente statuizione ai fini della prosecuzione del giudizio; in ogni caso con il favore delle spese.

L'”Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza Collegio Santonoceto e Conservatori Riuniti” ha depositato scrittura difensiva ai sensi dell’art. 47 c.p.c., u.c.; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Il pubblico ministero, giusta la previsione dell’art. 380 ter c.p.c., ha formulato conclusioni scritte.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c., comma 2.

La ricorrente denuncia in primo luogo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1360 c.c. e ss. in relazione all’art. 18 del disciplinare d’incarico.

Deduce che mercè l’art. 18 si è inteso demandare al giudice ordinario “la trattazione di tutte le questioni di diritto che potenzialmente potevano insorgere tra le parti, fatta eccezione per quelle riferite alla liquidazione degli onorari del professionista incaricato” (così ricorso, pag. 9); che, propriamente, sia alla stregua del letterale tenore dell’art. 18, sia alla stregua del complessivo testo del disciplinare d’incarico, la clausola compromissoria è da interpretare non già in termini generici sibbene restrittivamente, sicchè vi sono ricomprese le controversie attinenti alla determinazione dell’onorario e ne fuoriescono, viceversa, le controversie attinenti al pagamento dell’onorario.

Deduce altresì che, pur a “condividere la presunta formulazione generica dell’art. 18 del disciplinare d’incarico – (così ricorso, pag. 10), si addiviene comunque ad escludere dal concetto di liquidazione quello di pagamento, giacchè la lite riguarda la validità giuridica o meno della condizione sospensiva di pagamento dei compensi (…), non essendovi contestazione alcuna sul quantum (così ricorso, pag. 9).

Deduce ulteriormente che nella fattispecie è pacifico che il disciplinare d’incarico è stato predisposto esclusivamente dall'”I.P.A.B. -, sicchè in ossequio al disposto dell’art. 1370 c.c. il tribunale nel dubbio avrebbe dovuto interpretare l’art. 18 in favore di ella ricorrente.

La ricorrente denuncia in secondo luogo l’erronea e falsa lettura del disciplinare d’incarico.

Deduce, subordinatamente a quanto dedotto in primo luogo, che indiscutibilmente il disciplinare d’incarico non contempla la condizione sospensiva, condizione che figura unicamente nel testo della Delib. n. 54 del 2008 del c.d.a. dell'”I.P.A.B.”; che, propriamente, la semplice menzione della delibera del c.d.a., “in assenza di allegazione al disciplinare d’incarico e di sottoscrizione da parte” (così ricorso, pag. 14) sua, fa sì che la medesima delibera non può produrre alcun effetto nei suoi confronti; che, conseguentemente e contrariamente all’assunto del tribunale. “l’assenza della condizione sospensiva di pagamento determina, per logica, che la clausola compromissi non può essere applicata al caso in esame” (così ricorso, pag. 14).

La ricorrente denuncia in terzo luogo “la nullità della sentenza ex art. 360, nn. 4 e 5 per omessa valutazione di un punto decisivo dell’intera controversia e quindi della stessa clausola compromissoria – (così ricorso, pag. 17).

Deduce, subordinatamente a quanto dedotto in primo ed in secondo luogo, che di già con la comparsa di costituzione aveva provveduto ad eccepire la nullità della clausola contenente la condizione sospensiva, segnatamente per violazione dell’art. 92, comma 1 codice degli appalti; che tuttavia il tribunale ha omesso qualsivoglia pronuncia in ordine “alla esistenza e/o validità giuridica della clausola contenente la condizione sospensiva del pagamento di cui alla Delib. n. 54 del 2008” (così ricorso, pag. 17); che se il tribunale “avesse deciso sulla nullità della condizione sospensiva avrebbe risolto anche la questione del Collegio arbitrale” (così ricorso, pag. 18).

La ricorrente denuncia in quarto luogo “rinuncia implicita agli atti amministrativi. Violazione sulle norme del procedimento amministrativo” (così ricorso, pag. 18).

Deduce, subordinatamente a quanto dedotto in primo, in secondo ed in terzo luogo, che del tutto ingiustificata è la statuizione impugnata nella parte in cui ha escluso che l'”I.P.A.B.” abbia implicitamente rinunciato ad avvalersi della clausola compromissoria e, segnatamente, nella parte in cui, a tal riguardo, ha escluso che le missive in data 16.4.2012 e 27.2.2013 si configurino quali atti amministrativi.

Deduce, in particolare, che con la richiesta di pagamento dei propri compensi rivolta all’ente committente ha dato avvio al procedimento amministrativo prefigurato nel testo dell’art. 18 del disciplinare, sicchè, disattesa con le missive del 16.4.2012 e del 27.2.2013, veri e propri provvedimenti amministrativi, la sua richiesta, 1′ “I.P.A.B.” non ha provveduto ad attivare, siccome avrebbe dovuto, il procedimento arbitrale nel termine di trenta giorni dalla notifica dei provvedimenti amministrativi di diniego ed in tal guisa ha sostanzialmente rinunciato ad avvalersi della clausola compromissoria; che, in pari tempo e contrariamente all’assunto del tribunale, le missive in data 16.4.2012 e 27.2.2013 le sono state validamente ed efficacemente notificate a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

La ricorrente denuncia in quinto luogo la “violazione del principio del chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. in relazione all’eccezione di improcedibilità e/o inammissibilità” (così ricorso, pag. 22).

Deduce, in via ulteriormente subordinata, che pur in sede di precisazione delle conclusioni e pur con la comparsa conclusionale parte avversa ha ribadito la propria eccezione sub specie non già di incompetenza del tribunale adito sibbene di “improcedibilità e/o inammissibilità della domanda” (così ricorso, pag. 23); che, pertanto. del tutto ingiustificata è l’affermazione del tribunale secondo cui si tratta di un mero errore materiale.

La ricorrente denuncia in sesto luogo la “violazione del principio del chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., in relazione all’omessa trattazione della vessatorietà della condizione sospensiva di pagamento” (così ricorso, pag. 27).

Deduce, in via ancora più subordinata, che la condizione sospensiva è nulla per omessa sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c.; che, sebbene la nullità sia stata eccepita in comparsa e ribadita in conclusionale, il tribunale al riguardo ha del tutto omesso di pronunciarsi; e ciò tanto più che “la difesa dell'”I.P.A.B. ha omesso di contestare tempestivamente l’eccezione” (così ricorso, pag. 28).

La ricorrente denuncia in settimo luogo “l’erronea decisione sulle spese del giudizio” (così ricorso, pag. 27).

Deduce che “la fondatezza dell’istanza di regolamento di competenza proposta determinerà altresì la riforma del capo di sentenza riguardante la condanna dell’ing. Di Stefano al pagamento delle spese di giustizia della fase afferente la declaratoria di incompetenza del Giudice del merito” (così ricorso, pag. 28).

I motivi addotti a fondamento dell’esperito regolamento di competenza sono, in vario modo, strettamente connessi.

Se ne giustifica, dunque, la disamina contestuale.

I motivi tutti comunque sono immeritevoli di seguito.

Si rappresenta previamente che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), (al riguardo cfr. Cass. 20.1.2006, n. 1113, secondo cui il ricorso per cassazione – in forza del principio di cosiddetta “autosufficienza — deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito), ben avrebbe dovuto la ricorrente riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso il testo del disciplinare di incarico sottoscritto dalle parti in data (OMISSIS), il testo della delibera del consiglio di amministrazione dell'”I.P.A.B.” 19 settembre 2008, n. 54 ed il testo delle missive datate 16.4.2012 e 27.2.2013, onde consentire a questa Corte il compiuto vaglio dei suoi assunti.

Si tenga conto che anche al regolamento di competenza è applicabile il principio della cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione, avendo la parte istante l’onere di indicare, in tale sede, in modo adeguato e specifico le ragioni del proprio dissenso rispetto alla decisione impugnata, non potendo invero limitarsi a fare riferimento alle stesse difese svolte in sede di merito, asseritamente non valutate o scorrettamente valutate dal giudice “a quo”, ma dovendo eventualmente trascrivere in ricorso il loro contenuto, allo scopo di porre la Corte di Cassazione nelle condizioni di apprezzarne la rilevanza e pertinenza ai fini del decidere, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. (ord.) 21.7.2006, n. 16752; cfr. Cass. 13.11.2000, n. 14699).

Si rappresenta, con riferimento al quarto motivo, che evidentemente (in dipendenza dell’asserita rinuncia alla clausola arbitrale) ha un rilievo del tutto preliminare, che il motivo de quo si risolve nella censura della qualificazione – interpretazione, quale operata dal tribunale siciliano. delle missive datate 16.4.2012 e 27.3.2012.

In questi termini si evidenzia che l’interpretazione del contratto, degli atti di autonomia privata e degli atti amministrativi costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; Cass. 2.5.2006, n. 10131; e, con precipuo riferimento agli atti amministrativi, Cass. sez. lav. 23.7.2010, n. 17367, secondo cui l’interpretazione di un atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., ovverosia di una realtà fenomenica e obiettiva, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione di quelle norme – in particolare, l’art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1363 e 1366 c.c. – che, dettate per l’interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo peraltro conto della natura dei medesimi nonchè dell’esigenza della certezza dei rapporti e del buon andamento della pubblica amministrazione).

Su tale scorta si evidenzia ulteriormente che nè la censura ex n. 3) nè la censura ex n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1 possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto (o – si aggiunge – all’atto) non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Si evidenzia in ogni caso che, per un verso, la motivazione che, in parte qua, sorregge il dictum del tribunale di Catania, risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congrua ed esaustiva sul piano logico – formale: per altro verso, che è da escludere recisamente che il termine di trenta giorni di cui all’art. 18 del disciplinare, ai fini del “deferimento- al collegio arbitrale, sia stato prefigurato a pena di decadenza: si tratta di una previsione che assolve al più una funzione acceleratoria, giacchè, appunto, non è stabilita alcuna decadenza correlata al suo vano decorso.

Si rappresenta, con riferimento al quinto motivo, che del pari riveste un rilievo preliminare rispetto agli altri motivi (in dipendenza dell’asserita erronea formulazione dell’exceptio compromissi), che indubbiamente l’attività degli arbitri (rituali), anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicchè lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza (cfr. Cass. sez. un. 25.10.2013, n. 24153) (si veda ovviamente l’art. 819 ter c.p.c.).

E nondimeno questa Corte spiega che l’interpretazione della domanda e dell’eccezione spetta al giudice del merito per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda ovvero una certa eccezione erano state avanzate – ed erano compresa nel thema decidendum – tale statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea; in tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo. ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali, pertanto detto errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. Cass. 18.4.2006, n. 8953).

In questi termini non può non rimarcarsi che con il quinto motivo la ricorrente ha unicamente censurato la violazione del principio della corrispondenza del chiesto e del pronunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

In ogni caso, pur a prescindere da tale aspetto, l’affermazione del tribunale di Catania, secondo cui occorreva far riferimento all’aspetto sostanziale della richiesta formulata ed, in tale prospettiva, secondo cui l’ “I.P.A.B.” aveva comunque rappresentato che “la richiesta di liquidazione di compensi non poteva essere sottoposta al giudice ordinario” (così sentenza impugnata, pag. 4), si risolve in un postulato supportato da motivazione del tutto legittima e congrua.

Invero questo Giudice del diritto spiega che il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (cfr. Cass. 10.2.2010, n. 3012).

E ciò tanto più se si tiene conto che con il medesimo insegnamento testè menzionato questa Corte ha debitamente soggiunto che, in particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi Cass. 10.2.2010, n. 3012).

Si rappresenta, con riferimento al primo motivo. che le censure che il medesimo motivo veicola, si risolvono parimenti in una quaestio ermeneutica, specificamente afferente alla determinazione della portata della clausola compromissoria di cui all’art. 18 del disciplinare.

Intese in tal guisa (in linea del resto con le prospettazioni della ricorrente “la sentenza ora impugnata (…) merita di essere censurata, perchè frutto di una falsa ed errata lettura dell’art. 18 del disciplinare d’incarico”: così ricorso, pag. 9), non possono che esplicar valenza gli insegnamenti di questo Giudice del diritto dapprima menzionati (il riferimento è a Cass. 22.2.2007, n. 4178; Cass. 2.5.2006, n. 10131; cfr. anche Cass. (ord.) 27.3.2012, n. 4919, secondo cui, in tema di interpretazione di una clausola arbitrale, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito,. ne consegue che detto accertamento censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’ iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche).

Si evidenzia, conseguentemente, da un canto, che pur in parte qua la motivazione cui è ancorata la statuizione catanese risulta ineccepibile, congrua ed esaustiva (il tribunale, tra l’altro, ha debitamente puntualizzato che dal contenuto delle clausole si desumeva che “il disciplinare non era un contratto tipo destinato a disciplinare una serie indefinita di rapporti, ma un contratto redatto con riferimento allo specifico incarico -: così sentenza, pag. 3); dall’altro, che le censure che il motivo in esame veicola, si traducono innegabilmente nella mera contrapposizione di una differente interpretazione all’interpretazione data dal giudice del merito (“l’errore commesso dal Giudice Unico consiste nell’aver inteso il concetto della liquidazione espresso nella prima parte del citato articolo del disciplinare d’incarico con quello di pagamento: così ricorso, pag. 9).

Si rappresenta, con riferimento al secondo, al terzo ed al sesto motivo, che riveste valenza concludente il rilievo del Pubblico Ministero, appieno da condividere e recepire.

Ovvero il rilievo per cui. “se al Collegio Arbitrale va devoluta ogni questione riguardante il compenso del professionista, sarà il predetto Collegio a valutare la validità ed efficacia della clausola sospensiva e, innanzitutto, a stabilire se essa sia stata validamente inserita nel reticolo del Disciplinare, attraverso il richiamo della delibera del c.d.a. del 19 settembre 2008, n. 54 – (così conclusioni del P.M., pag. 3).

Si rappresenta, con riferimento al settimo motivo, che il tribunale di Catania ha correttamente statuito per la competenza del collegio arbitrale.

Conseguentemente ha fatto legittima applicazione della regola della soccombenza (cfr. Cass.18.10.2001, n. 12758, secondo cui al pagamento delle spese processuali è una conseguenza legale della soccombenza).

Ovviamente riveste valenza l’insegnamento di questo Giudice del diritto secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (cfr. Cass. 9.10.2015, n. 20289; Cass. 4.7.2011, n. 14542, secondo cui la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 18.9.2015.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013). si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso per regolamento di competenza; condanna la ricorrente, D.M., a rimborsare alla resistente, “Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza Collegio Santonoceto e Conservatori Riuniti”, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. sesta civ. – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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