Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2297 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. II, 26/01/2022, (ud. 27/10/2021, dep. 26/01/2022), n.2297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27184-2016 proposto da:

G.L., B.A.M., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA MAGLIANO SABINA 24, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

PETTINARI, rappresentate e difese dagli avvocati ALBERTO LUCCHETTI,

ALESSANDRO LUCCHETTI;

– ricorrenti –

contro

P.F., D.A.M., rappresentate e difese

dall’avv. ANDREA VINCENZO SPECIALE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 695/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2021 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

udito l’Avvocato PAOLETTI FRANCESCA, con delega che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. SPECIALE ANDREA, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

CERONI FRANCESCA, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.F. e D.A.M. ebbero ad evocare in giudizio, avanti il Tribunale di Ancona, le cognate B.A. e G.L. al fine di sentir accertare che anche loro erano contitolari delle parti comuni dell’edificio, in cui era sito il loro alloggio in signoria esclusiva, consistenti negli appartamenti al piano terreno, nei vani nello scantinato e nei portici, nonché chiedevano la rimozione di rete collocata a recinzione delle parti rivendicate come comuni. Resistevano le consorti B.- G. – mogli dei germani del P. -, contestando la pretesa attorea e proponevano, a loro volta, domanda riconvenzionale tesa ad accertare la nullità del contratto per difetto di forma solenne, con il quale gli attori avevano acquistato l’alloggio sito nello stabile di causa, in quanto dissimulante donazione.

Il Tribunale di Ancona ebbe ad accogliere la domanda svolta dagli attori ed a rigettare la domanda proposta in via riconvenzionale dalle consorti B.- G. ed avverso detta sentenza queste proposero gravame avanti la Corte d’Appello di Ancona.

La Corte dorica, resistendo i consorti D.- P., rigettò l’impugnazione osservando come non v’era prova della dedotta simulazione del contratto di acquisto dell’alloggio da parte degli appellati e come stante il concreto utilizzo, protratto nel tempo dei beni rivendicati come comuni, ed il silenzio del titolo al riguardo effettivamente concorreva la natura condominiale dei vani al piano terra e nel seminterrato nonché dei portici, con conseguente eliminazione della rete a loro chiusura.

Avverso detta decisione le consorti B.- G. hanno proposto ricorso per cassazione articolato su 12 motivi, illustrato anche con nota difensiva.

Resistono con controricorso i consorti D.- P., illustrato anche con nota difensiva.

All’odierna pubblica udienza, sentite le conclusioni del P.G. – inammissibilità o rigetto del ricorso – e dei difensori delle parti, questa Corte ha adottato soluzione siccome illustrato nella presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto da B.A.M. e G.L. s’appalesa privo di fondamento e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione le ricorrenti lamentano nullità della sentenza impugnata per violazione della norma ex artt. 112 c.p.c. in quanto la Corte dorica ebbe a pronunziare d’ufficio su questione riservata ad eccezione di parte mai proposta, ossia la simulazione relativa – quanto alla persona del soggetto acquirente – del contratto di compera-vendita del 1972, mediante il quale esse impugnanti erano divenute proprietarie del fondo, sul quale è eretto lo stabile di causa.

Difatti ad opinione delle ricorrenti la Corte marchigiana malamente ha ritenuto solo formalmente a loro intestato il terreno de quo poiché in effetti pagato dal padre dei germani P. e ritenuto, altresì, indispensabile detto accertamento in ragione della loro domanda riconvenzionale, la quale invece afferiva tutt’altro contratto.

Con la seconda ragione d’impugnazione le consorti B.- G. lamentano violazione delle norme ex artt. 1414 e 1415 c.c., posto che la Corte dorica non aveva rilevato il difetto di legittimazione dei consorti P.- D. nel proporre azione od eccezione di simulazione relativa del contratto di compera vendita del 1972, in quanto soggetti estranei al rapporto contrattuale che nemmeno ebbero ad allegare il loro diritto pregiudicato in dipendenza della simulazione ritenuta.

Difatti gli originari attori – odierni resistenti – avevano azionato in causa il solo contratto del 1978, con il quale acquistarono da esse ricorrenti un alloggio sito nello stabile eretto sul fondo oggetto del contratto di vendita del 1972, ritenuto dissimulato soggettivamente.

Con il terzo mezzo d’impugnazione le consorti B.- G. rilevano violazione delle norme portate negli artt. 1414,1415 e 1417 c.c., poiché la Corte dorica ebbe a ritenere la simulazione relativa del contratto del 1972 in difetto di allegazione e di prova degli elementi fattuali a comprova della dedotta volontà simulatoria delle parti contrattuali.

Con la quarta ragione di doglianza le consorti B.- G. deducono violazione del disposto ex art. 2733 c.c. e ex art. 116 c.p.c. posto che la Corte dorica non ha rilevato l’inefficacia probatorio delle dichiarazioni testimoniali de relato, assunte in causa, in difetto di un riscontro fondato su altri elementi di prova ed ha assegnato valenza ad illazioni di parte prive di riscontro alcuno.

Con la quinta ragione di impugnazione le ricorrenti lamentano omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dagli elementi in atti – documentazione ed ammissione di P.F. – che tutti i componenti della famiglia, eccetto il resistente ed il germano marito della B., erano coltivatori diretti e, non già, le sole due odierne ricorrenti, operando invece riferimento ad illazioni non fondate su dato fattuale alcuno.

Inoltre la Corte dorica non avrebbe adeguatamente valutato le risultanze dell’interrogatorio formale reso da P.F. e della moglie D. ai fini della decisione sulla domanda di simulazione del contratto di loro acquisto dell’alloggio nel 1978, nullo poiché dissimulante donazione priva di forma.

Le sucennate censure, in quanto afferenti alla medesima questione, possono esser esaminate unitariamente e sono prive di pregio giuridico.

Difatti l’argomento critico sotteso alle stesse si fondo sull’asserzione che la Corte dorica avrebbe esaminato eccezione o domanda di simulazione del contratto con il quale le consorti B.- G., nel 1972, acquistarono la proprietà del terreno sul quale, poi, fu eretto lo stabile in relazione al quale le originarie parti attrici rivendicano la contitolarità delle parti ritenute comuni.

In realtà la ratio decidendi espressa nella sentenza impugnata non risulta afferente a detta domanda od eccezione, come ritenuto dalle impugnanti, poiché la Corte marchigiana esaminò, bensì, la questione ma solo allo scopo di trarne elemento di valutazione ai fini della domanda di simulazione del contratto con il quale i consorti D.- P. acquistarono l’alloggio nel 1978, proposta dalle ricorrenti in via riconvenzionale.

Quindi la Corte dorico non esaminò né una domanda né un’eccezione con relazione a dedotta simulazione relativa del contratto di acquisto del fondo nel 1972, bensì utilizzò detto elemento per escludere che, in causa, le ricorrenti avessero fornito adeguata prova a sostegno della loro domanda riconvenzionale – unica ed effettiva ratio decidendi reggente la decisione -.

La valutazione di detto elemento – intestazione solo formale in capo alle odierne ricorrenti del terreno in realtà acquistato con denaro fornito dal padre dei P. – appare poi inscindibilmente connessa con la domanda di dissimulazione proposta in via riconvenzionale, posto che le consorti B.- G. sostenevano che i consorti P.- D. avessero, non già, acquistato mediante compera vendita il loro alloggio, bensì che questo fu a loro donato.

Quindi era strettamente connaturata alla questione la dimostrazione, fornita dai resistenti con il richiamo alla circostanza che il terreno fu acquistato con denaro fornito dal padre dei germani P. gestore anche dei risparmi del figlio F., che l’intestazione alle mogli degli altri due fratelli P. era dipesa dalla loro qualità di coltivatrici dirette e perciò in grado di godere delle agevolazioni fiscali, poiché in tale modo era dato corpo alla precisazione – presente nel contratto – che il prezzo era stato pagato in precedenza.

La Corte dorica, poi, non già ha fondato la sua decisione sul punto esclusivamente sulle dichiarazioni della teste de relato – madre della D. – bensì sull’insieme dei dati probatori utili all’uopo raccolti in causa, sia documentali che testimoniali, oltre che sull’ammissione della G. – questione oggetto di altro motivo di censura -.

Inoltre la contestazione mossa circa la ritenuta verosimilianza della tesi di parte resistente – il fondo fu alle ricorrenti intestato solo perché uniche persone coltivatrici dirette – appare apodittica, posto che non si confronta con l’affermazione della Corte marchigiana che in causa non è stato versato elemento probatorio attestante che anche altri scomponenti della famiglia P. nel 1972 erano coltivatori diretti, limitandosi a sostenere apoditticamente che invece prova al riguardo era stata fornita, senza anche indicare specificatamente in qual modo.

Con il sesto mezzo d’impugnazione le ricorrenti rilevano violazione degli artt. 112,113,115,116 e 257 c.p.c. nonché artt. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la Corte anconetana non avrebbe proceduto ad esaminare adeguatamente le sue difese ai fini della statuizione adottata.

La censura appare inammissibile poiché l’argomento critico svolto si limita ad apoditticamente affermare che i Giudici d’appello non esaminarono adeguatamente le argomentazioni difensive dalle ricorrenti svolte senza anche meglio dettagliare, ai fini della specificità del mezzo d’impugnazione, la propria affermazione.

Con la settima ragione di doglianza le consorti G.- B. lamentano violazione del disposto ex art. 934 c.c. posto che la Corte dorica, nella sua motivazione non affronta la problematica correlata all’accessione dello stabile al terreno di loro proprietà.

La censura appare inammissibile non solo perché sostanzialmente apodittica, ma soprattutto perché non specifica come e quando la questione, oggi agitata, fu sottoposta alla Corte di merito, nonché la sua rilevanza in ordine all’acquisto dei beni condominiali in forza del contratto di compera vendita del 1978, sicché la questione appare novità – inammissibile – di questo giudizio di legittimità.

Con l’ottava ragione di doglianza le ricorrenti deducono violazione del disposto ex art. 1117 c.c., comma 1 e 2 e delle norme ex legge urbanistica, posto che il Collegio marchigiano ha ritenuto concorrere la natura condominiale dei beni rivendicati dagli originari attori senza valorizzare il titolo del loro acquisto, che portava invece specifica elencazione dei beni condominiali ceduti con l’alloggio. Inoltre le ricorrenti contestano la valenza degli elementi, dai quali la Corte dorica ha ricavato la condominialità dei vani siti al piano terra – oggi destinati ad alloggio – sulla scorta della loro destinazione al servizio dell’attività agricola e dell’effettivo uso fattone dai condomini, poiché condotte anodine correlate al mero momento di stasi dell’esecuzione delle opere di finitura dei vani.

Ancora le ricorrenti segnalano come il riconosciuto diritto d’uso dei beni destinati all’attività agricola lumeggiava l’esclusione della natura condominiale degli stessi. L’argomentazione critica si risolve nella mera contrapposizione della propria tesi valutativa dei dati fattuali acquisiti in causa e relativi alla domanda originaria proposta dagli attori, rispetto alla statuizione elaborata dal Collegio dorico.

Difatti la Corte territoriale ebbe a puntualmente valutare il cenno operato nel titolo – contrato di compera vendita del 1978 – circa i beni comuni ceduti e mettere in rilievo come detta elencazione aveva natura esemplificativa senza valenza di esclusione degli altri beni, per loro destinazione, adibiti all’uso comune.

Inoltre la Corte di merito ha precisato come la destinazione urbanistica dei vani al piano terra – sino alla variazione intervenuta successivamente al contratto del 1978 – li correlava all’uso agricolo ed a garage-deposito, ossia proprio l’utilizzo concretamente fattone dai condomini compresi gli odierni resistenti per lungo tempo, siccome accertato dai Giudici di merito.

La critica portata si limita a prospettare una ricostruzione fattuale e giuridica diversa dei medesimi dati probatori, senza nemmeno operare puntuale confronto con la precisazione, operata dalla Corte, alla variazione urbanistica della destinazione dei vani al pianoterra intervenuta successivamente al contratto di vendita dell’alloggio agli originari attori.

Con il nono mezzo d’impugnazione le ricorrenti rilevano omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, individuato nella mancata valutazione dei dati documentali e testimoniali assunti in causa circa la pertinenzialità condominiale dei beni rivendicati.

La censura appare inammissibile posto che il vizio denunziato, secondo l’attuale formulazione della norma invocata a supporto del dedotto vizio di legittimità, prevede che omessa sia la valutazione di un fatto storico e, non già, la mala valutazione del compendio probatorio acquisito in atti.

Per giunta la Corte dorica ha dato puntuale atto della valutazione di tutti i dati probatori assunti in atti al fine della soluzione adottata circa la domanda degli originari attori, sicché v’e’ stata la puntuale valutazione del compendio probatorio eppertanto la lamentela riguarda il risultato di detta valutazione rimesso dalla legge processuale al prudente apprezzamento del Giudice di merito.

Con il decimo mezzo d’impugnazione le consorti B.- G. lamentano violazione delle norme ex artt. 1414,1415,1417,2697 e 782 c.c., poiché il Collegio marchigiano non ha rilevato come gli odierni resistenti non avevano data prova del versamento del pezzo pattuito per l’acquisto del loro appartamento a fronte di elementi presuntivi da esse forniti che, invece, lumeggiavano la dedotta dissimulazione di donazione.

Con l’undecima ragione di doglianza le ricorrenti deducono omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, individuato nella valutazione operata dalla Corte dorica del termine “acquistato” utilizzato dalla ricorrente G. nell’indicare la relazione tra i resistenti e l’alloggio da loro goduto dal 1978.

Le due censure dianzi sunteggiate possono esser trattate unitariamente, stante la loro connessione, e sono prive di pregio giuridico.

Difatti la dedotta violazione di norme giuridiche – decima doglianza – si risolve nella riproduzione di tesi alternativa rispetto a quella esposta dalla Corte territoriale circa la domanda di simulazione del contratto del 1978, con il quale i coniugi D.- P. acquistarono l’alloggio nello stabile comune.

La Corte dorica ha puntualmente motivato, con specifico richiamo ai dati probatori in atti, circa la carenza di prova a sostegno della domanda, avanzata in via riconvenzionale dalle ricorrenti, e circa il fondamento probatorio della circostanza che il P. ebbe a concorrere con denaro e proprio lavoro all’erezione del fabbricato, sicché ha ritenuto accertato che il prezzo dell’alloggio era stato – così – versato prima del contratto, come nello stesso specificato.

La mera opzione alternativa circa l’interpretazione del risultato probatorio proposta dalle ricorrenti non configura il vizio denunziato.

Quanto poi all’omesso esame, all’evidenza, lo stesso nemmeno concorre, posto che la Corte dorica ha specificatamente esaminato la risposta della G. ed appositamente apprezzato la valenza del termine ” acquistato ” come riconoscimento che tra le parti contraenti intercorse compera vendita e non già donazione.

Con la duodecima ed ultima doglianza le consorti G.- B. denunziano ancora omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, individuato nell’omessa valutazione dei documenti lumeggianti la titolarità esclusiva dell’area delimitata con la recinzione, di cui è stata loro ordinata la rimozione, non ostante non ostacolasse l’accesso al prato cortile del quale i resistenti avevano diritto d’uso, sicché ne era esclusa la contitolarità.

La censura s’appalesa priva di fondamento posto che la Corte dorica ha ritenuto che l’uso del cortile in questione, previsto nel contratto di compera vendita, lumeggiava proprio la natura condominiale del bene, in quanto tra gli accessori elencati come tali nel patto.

La critica si compendia nella prospettazione di interpretazione alternativa del termine ” uso ” fatto nel contratto, in quanto lumeggiante l’esclusione della natura condominiale, nella enfatizzazione dello scopo per cui fu apposta la recinzione e la sua non interferenza con la possibilità d’uso del cortile. Correttamente la Corte marchigiana ha ritenuto irrilevanti detti aspetti fattuali rispetto alla dedotta domanda di libertà dei beni comuni, siccome richiesto da alcuni comunisti.

Al rigetto dell’impugnazione segue la condanna solidale delle consorti B.- G. alla rifusione delle spese di questo procedimento di legittimità in favore dei consorti P.- D., che sono tassate in Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura indicata in dispositivo.

Concorrono in capo alle ricorrenti le condizioni per il pagamento dell’ulteriore somma pari al contributo unificato, ove dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido fra loro, a rifondere ai consorti P.- D., in solido fra loro, le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

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