Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22964 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 29/09/2017, (ud. 20/07/2017, dep.29/09/2017),  n. 22964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28962-2015 proposto da:

F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, V. VENTI SETTEMBRE

3, presso lo studio dell’avvocato DONATELLA ROSSI, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO AVAGNINA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELE IZZO che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati RUGGERO MERONI ED IRMA MARINELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2442/01/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, depositata il 05/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/07/2017 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e che entrambe le parti hanno depositato memoria, osserva quanto segue:

La CTR della Lombardia, con sentenza n. 2442/01/2015, depositata il 5 giugno 2015, non notificata, rigettò il ricorso per revocazione proposto dal dott. F.D. nei confronti del Comune di Milano avverso la sentenza n. 3344/50/14 resa tra le parti medesime dalla stessa CTR della Lombardia, che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dal F. avverso la sentenza di primo grado della CTP di Milano, che, pronunciando su ricorsi riuniti dello stesso ricorrente avverso avvisi di accertamento e cartella di pagamento per TARSU riguardanti due distinti immobili, aveva rigettato i ricorsi del contribuente.

Avverso la pronuncia n. 2442/01/2015 della CTR della Lombardia il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Il Comune di Milano resiste con controricorso.

Con il primo motivo il contribuente denuncia falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deducendo che, nell’escludere la ricorrenza di qualsivoglia motivo di revocazione in relazione alle ipotesi previste dall’art. 395 c.p.c. riguardo alla prima pronuncia resa dalla CTR della Lombardia, il giudice tributario lombardo, nella sentenza in questa sede impugnata, non si è avveduto della espressa menzione, nel ricorso dinanzi ad esso proposto, del riferimento da parte del ricorrente alla presenza della sottoscrizione da parte del contribuente del ricorso in appello, fatto che avrebbe dovuto essere evidenziato dalla lettura degli atti processuali e viceversa escluso dalla sentenza, che ha dichiarato inammissibile l’appello, successivamente impugnata dal contribuente dinanzi alla stessa CTR per revocazione.

Il ricorso deve essere ritenuto inammissibile in relazione ad un duplice ordine di profili.

Quanto alla tecnica redazionale adottata (c.d. ricorso farcito di svariati atti), in relazione alla quale il controricorrente Comune ha eccepito l’inammissibilità dell’avverso ricorso richiamando ampia giurisprudenza di questa Corte in materia (oltre alla quale cfr. anche, più di recente, Cass. sez. 5, 25 marzo 2015, n. 5947; Cass. sez. 6-1, ord. 30 ottobre 2015, n. 22185 e, da ultimo, Cass. sez. unite 31 maggio 2017, n. 13722), non v’è dubbio che essa si ponga in contrasto con il rispetto dei principi ivi indicati sul virtuoso flash – back processuale, avendo questa Corte già ivi avuto modo di chiarire che “una seria e intelligente osservanza dei principi di specificità, completezza e autosufficienza vuole che il ricorso, in sede di legittimità, rappresenti le questioni tuttora rilevanti con la tecnica del cd. flash – back processuale (…), ossia mediante riproposizione in chiave retrospettiva di come e perchè le questioni oggetto di censura siano state affrontate nel giudizio di merito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15180 del 23/06/2010, Rv. 613814-01), senza incorrere nel deprecabile e inammissibile assemblaggio degli atri di causa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012, Rv. 621813-01) e ferma restando l’indicazione dei dati per il reperimento di atti e documenti salienti”.

In ogni caso risulta, per altro profilo, assorbente il rilievo dell’inammissibilità del motivo per carente esposizione dei fatti rilevanti di causa.

Si rileva, infatti, che la sentenza con la quale la CTR dichiarò inammissibile l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado, era basata su di una duplice ratio decidendi: l’una, quella effettivamente censurata con il ricorso per revocazione, adducente la pretesa mancanza di sottoscrizione da parte del ricorso in appello, l’altra inerente al difetto di specificità dei motivi in relazione al disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53.

Il ricorrente ha omesso d’indicare, nella pur cospicua produzione documentale allegata al ricorso, di avere proposto, oltre al ricorso per revocazione dinanzi alla stessa CTR, che poteva limitarsi alla sola deduzione dell’errore di fatto circa il ritenuto difetto di sottoscrizione del ricorso in appello, ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, al fine di censurare la concorrente ed autonoma ratio decidendi relativa alla mancanza di specificità dei motivi.

Ne consegue che il ricorso in questa sede proposto, nei limiti della sua formulazione, potrebbe al più elidere una sola delle due rationes decidendi sulle quali poggia la sentenza impugnata per revocazione, senza che quindi possa derivarne un esito concreto favorevole per il ricorrente, anche ove si accerti che effettivamente il ricorso in appello conteneva la sottoscrizione del contribuente e che pertanto, nell’escludere la ricorrenza di qualsiasi ipotesi di revocazione, la sentenza in questa sede impugnata con ricorso per cassazione sia da censurare come erronea, come richiesto dal contribuente (sull’interesse all’impugnazione in relazione al vizio di violazione di legge cfr., più di recente, Cass. sez. 1, 13 ottobre 2016, n. 20689).

Le ragioni sopra esposte comportano l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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