Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22963 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 21/10/2020), n.22963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13256/2019 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato presso l’avv. Daniela

Gasparin, che lo rappres. e difende, con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/07/2020 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

B.A., cittadino del (OMISSIS), propose ricorso avverso il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale, di diniego della

domanda di protezione internazionale, innanzi al Tribunale di Milano che, con decreto emesso il 15.3.19, l’ha rigettato, osservando che: il ricorrente aveva reso un racconto non credibile ed implausibile circa il motivo del suo viaggio in Italia (avendo narrato innanzi alla Commissione territoriale di aver avuto rapporti omosessuali con un coetaneo, frequentando un internet-cafè dopo le lezioni coraniche-riguardanti anche l’educazione sessuale- e di essere stato scoperto dallo zio il quale aveva poi informato di tale sua situazione le persone che frequentavano la moschea che, poi, si erano mosse armate verso la sua casa, costringendolo a fuggire dal Ghana); non ricorrevano i presupposti della protezione sussidiaria, essendo esclusi il rischio di pene o trattamenti degradanti o inumani, per l’inattendibilità del ricorrente, ovvero una situazione di generalizzata violenza derivante da conflitto armato, come desumibile dai report internazionali acquisiti; non ricorrevano i presupposti del riconoscimento della protezione umanitaria, in mancanza di condizioni individuali di vulnerabilità, non avendo il ricorrente allegato che le ragioni della sua migrazione in Italia fossero da ricondurre alla necessità di sottrarsi a condizioni di vita intollerabili, non essendo a tal fine sufficiente lo svolgimento di attività lavorativa.

B.A. ricorre in cassazione con tre motivi.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Il Procuratore Generale ha depositato relazione, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RITENUTO

Che:

Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), artt. 2 3, 14,

D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, in riferimento agli artt. 6 e 13 Conv. EDU, art. 47 Carta dei diritti fondamentali UE, art. 46 direttiva Europea n. 2013/32, nonchè omesso esame di fatti decisivi.

Al riguardo, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria per l’inattendibilità del racconto del ricorrente, senza considerare la situazione generale del paese di provenienza e il trattamento violento e discriminatorio riservato agli omosessuali.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14, lett. a e b, nonchè omesso esame di un fatto decisivo in ordine al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, atteso il grave pericolo per la vita del ricorrente dovuto alla sua qualità di omosessuale.

Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 2, art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7,14,16,17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,32, artt. 112,132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6, nonchè omesso esame di fatti decisivi e apparente motivazione circa la condizione di vulnerabilità del ricorrente, ai fini della protezione umanitaria.

Al riguardo, il ricorrente lamenta che in caso di rimpatrio verserebbe in condizioni di estrema vulnerabilità per l’assenza di una rete sociale a lui favorevole e per il rischio di persecuzione da parte dello Stato per il fatto di essere omosessuale, considerando altresì il suo percorso d’integrazione in Italia attraverso la frequentazione di un corso d’italiano e di formazione scolastica presso un CPIA.

I tre motivi, esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi, sono fondati. Il Tribunale ha ritenuto inattendibile il ricorrente circa la sua condizione di omosessuale, ritenendo inverosimili i fatti raccontati.

Al riguardo, va osservato che, in tema di protezione internazionale, l’orientamento sessuale del richiedente (nella specie, cittadino gambiano omosessuale) costituisce fattore di individuazione del “particolare gruppo sociale” la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d), integra una situazione oggettiva di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello status di rifugiato, sussistendo tale situazione quando le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del loro Paese e ad esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, ciò che costituisce una grave ingerenza nella vita privata di dette persone che ne compromette la libertà personale e le pone in una situazione di oggettivo pericolo che deve essere verificata, anche d’ufficio, dal giudice di merito (Cass., n. 7438/2020. E’ stato altresì affermato che, in tema di protezione internazionale, l’allegazione da parte dello straniero di una condizione personale di omosessualità impone che il giudice si ponga in una prospettiva dinamica e non statica, vale a dire che verifichi la sua concreta esposizione a rischio, sia in relazione alla rilevazione di un vero e proprio atto persecutorio, ove nel paese di origine l’omosessualità sia punita come reato e sia prevista una pena detentiva sproporzionata o discriminatoria, sia in relazione alla configurabilità della protezione sussidiaria, che può verificarsi anche in mancanza di una legislazione esplicitamente omofoba ove il soggetto sia esposto a gravissime minacce da agenti privati e lo Stato non sia in grado di proteggerlo, dovendosi evidenziare che tra i trattamenti inumani e degradanti lesivi dei diritti fondamentali della persona omosessuale non vi è solo il carcere ma vi sono anche gli abusi medici, gli stupri ed i matrimoni forzati, tenuto conto che non è lecito pretendere che la persona tenga un comportamento riservato e nasconda la propria omosessualità (Cass., n. 9815/2020; CGUE 7/11/2013 C-199/2012 e C-201/2012).

Inoltre, in tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale” (cfr. Cass. 19716 del 2018; n. 26969/18).

Ora, nella fattispecie, come lamentato dal ricorrente, il giudice di merito ha escluso i presupposti delle varie forme di protezione invocate esclusivamente sulla base dell’esame delle dichiarazioni del

Ricorrente – in quanto considerate incoerenti e inattendibili.

Intrinsecamente – senza però confrontare le stesse al contesto politico-religioso del paese di provenienza, non accertando se nelle moschee possano essere anche imparte lezioni di educazione sessuale, e le relative modalità, e se nei locali commerciali aperti al pubblico sia possibile, di fatto, vedere film illegali sugli omosessuali – come dichiarato dal ricorrente – non tenendo altresì conto della relativa normativa in materia di omosessualità. Infatti, il Tribunale ha omesso di espletare l’obbligo di cooperazione istruttoria circa la dimensione di tale questione in Ghana – anche alla stregua di quanto dichiarato dal ricorrente – e la relativa normativa sanzionatoria, senza esaminare dunque il fatto decisivo della condizione di vulnerabilità allegata nella domanda dell’istante.

Per quanto esposto, il decreto impugnato va cassato, con rinvio al Tribunale di Milano che si dovrà conformare ai principi sopra addotti, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Il Tribunale accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato, rinviando al Tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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