Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22961 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 21/10/2020), n.22961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8612/2019 proposto da:

Z.R.S., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

CANCELLERIA civile della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE e rappresentato

e difeso dagli avvocati Vincenzo Megna, e Vincenzo Zahora, in forza

di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 14/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/09/2020 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli, con decreto n. cronol. 965/2019, depositato in data 11/2/2019, ha respinto la richiesta di Z.R.S., cittadino del (OMISSIS), a seguito di diniego della competente Commissione Territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, il Tribunale, all’esito dell’udienza di comparizione delle parti (nella quale era comparso di persona anche il richiedente) ha osservato che la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine essendo stato minacciato dagli assassini di un suo zio, che egli aveva denunciato) era del tutto inverosimile, in quanto intrisa di molteplici contraddizioni, e quindi non credibile; quanto alla protezione sussidiaria, il Paese di provenienza del richiedente (il Bangladesh) non era interessato da conflitti armati interni (come riferito dai Report 2017 di EASO, Refworld.org, Human Rights); nè ricorrevano i presupposti per la chiesta protezione umanitaria, in difetto di profili di vulnerabilità personale, essendo il richiedente persona di età adulta e non affetta da stati patologici di rilievo, cosicchè, pur a fronte di un’integrazione sociale ed economica in Italia (conoscenza della lingua e svolgimento di attività lavorativa), difettava uno dei parametri necessari per la comparazione tra il contesto di vita nel Pese d’origine e quello raggiunto in Italia.

Avverso il suddetto decreto, Z.R.S. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo U.G. il 12/3/2019, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e 2, lamentando la mancata corretta valutazione, ai fini della chiesta protezione umanitaria, della condizione di estrema vulnerabilità correlata alla situazione politico-sociale del Bangladesh; con il secondo motivo, si lamenta poi, sempre in relazione al diniego di protezione umanitaria, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e 2, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dalla condizione di estrema povertà in cui versa la famiglia del ricorrente e dalla condizione di instabilità politica del Paese d’origine.

2. La prima censura è inammissibile.

Anzitutto, il richiedente è stato ritenuto, argomentatamente, non credibile.

In materia di protezione internazionale questa Corte ha da tempo chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

L’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340).

Il Tribunale ha poi considerato le asserite condizioni di povertà del ricorrente, e quelle attinenti alla sua sicurezza, ed ha ritenuto che esse neppure giustificassero l’accoglimento della domanda spiegata.

Invero, sulla base di fonti informative ufficiali, specificamente individuate, il Tribunale ha ritenuto che nel Paese d’origine non ricorresse una situazione di violenza generalizzata o di assoluta insicurezza dei civili.

La censura tende a rimettere in discussione siffatto giudizio di merito che è invece insindacabile in questa sede di legittimità.

3. La seconda censura è fondata nei sensi di cui in motivazione.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che tra i motivi per i quali è possibile accordare la protezione umanitaria non rientrano di per sè l’integrazione sociale e lavorativa in Italia (Cass. n. 25075/2017), nè il versare in condizioni di indigenza o con problemi di salute, “necessitando, invece, che tale condizione sia l’effetto del/a grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza, in conformità al disposto degli artt. 2, 3 e 4 della CEDU” (Cass. n. 28015/2017; Cass. n. 2664/12016).

In tale prospettiva, è stato ulteriormente chiarito che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Il diritto alla protezione umanitaria è in ogni caso collegato alla sussistenza di “seri motivi”, non tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore (prima della Novella di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018), cosicchè essi costituiscono un catalogo aperto, tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità individuale attuali o pronosticate in dipendenza del rimpatrio: non può essere in nessun caso elusa la verifica della sussistenza di una condizione personale di vulnerabilità, occorrendo dunque una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio: i seri motivi di carattere umanitario possono allora positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti non soltanto un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente, “perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al cit. D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

In conclusione, la sproporzione tra i due contesti di vita non possiede di per sè alcun rilievo, salvo emerga che essa ha determinato specifiche ricadute individuali, distinte da quelle destinate a prodursi sulla generalità delle persone provenienti dal medesimo ambito territoriale.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nelle recenti sentenze nn. 29459 e 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Il Tribunale ha ritenuto che le generiche condizioni di povertà del soggetto, rapportate alla situazione di povertà del paese di provenienza, non rientrano nel numero delle circostanze che giustificano la protezione umanitaria, in assenza delle condizioni di vulnerabilità, quali contemplate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

Tuttavia alcun esame e motivazione risulta essere presente (e viene dedotto anche un vizio motivazionale nel motivo) nel provvedimento impugnato in ordine allo stato psicologico del richiedente (affetto da stress psico-fisiologico con tendenza ad uno stato depressivo su base reattiva, da ricollegare agli episodi che avevano segnato l’infanzia e l’adolescenza), dedotto in ricorso, risultante da una relazione redatta da psicologo del centro di accoglienza, che il richiedente assume essere stato posto all’attenzione del Tribunale.

Ora, questa Corte, di recente, ha già precisato (Cass. 18541/2019) che “in materia di concessione della protezione umanitaria, il giudice deve valutare il grave pregiudizio alla salute che può derivare al richiedente in caso di rientro nel Paese di origine, quando egli sia un soggetto vulnerabile, tra questi rientrando, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 11, lett. h-bis, anche le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali” (nella specie, la Corte ha cassato con rinvio perchè il Tribunale non aveva valutato il rischio di danno alla salute del ricorrente, cittadino ghanese affetto da depressione cronicizzata, nel caso di rientro nel Paese di origine, nè aveva accertato se la terapia farmacologica e psicologica necessaria potesse essergli somministrata nel paese di origine).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va accolto, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso, inammissibile il primo, e va cassato il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Napoli in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso, inammissibile il primo, cassa il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Napoli in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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