Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22960 del 10/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 10/11/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 10/11/2016), n.22960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 18186 – 2015 R.G. proposto da:

I.P., – c.f. CMNPNI601-170B735Y – elettivamente domiciliata

in Roma, alla Circonvallazione Clodia, n. 80, presso lo studio

dell’avvocato Alberto Prosperini che la rappresenta e difende in

virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

Avverso il decreto n. 1/2015 della corte d’appello di Perugia;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 19

luglio 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Alberto Prosperini per la ricorrente.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla corte d’appello di Perugia depositato in data 29.4.2014 I.P. si doleva per l’eccessiva durata del giudizio introdotto, con atto di citazione notificato il 23.11.2005, innanzi al giudice di pace di Roma, giudizio definito con sentenza n. 36826/2012 del medesimo giudice.

Chiedeva che si ingiungesse al Ministero della Giustizia di corrisponderle un equo indennizzo, da determinarsi nell’importo di Euro 1.500,00, a ristoro dei danni tutti subiti, oltre interessi e spese.

Con decreto n. 1042/2014 la corte d’appello di Perugia, in persona del giudice designato, rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto I.P. proponeva opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter.

Resisteva il Ministero.

Con decreto n. 1/2015 la corte d’appello di Perugia accoglieva l’opposizione, annullava il decreto opposto e condannava per l’irragionevole durata del giudizio presupposto il Ministero della Giustizia a pagare alla ricorrente la somma di Euro 1.500.00, oltre interessi; altresì condannava il Ministero opposto a rimborsare al difensore anticipatario della ricorrente le spese del procedimento liquidate in Euro 200,00 per compensi, oltre esborsi e accessori di legge.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso sulla scorta di tre motivi I.P.; ha chiesto che questa Corte ne disponga la parziale cassazione con il favore delle spese – da attribuirsi al difensore antistatario – del giudizio di legittimità.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 1 e art. 4, commi 1 e 5, del D.Lgs. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2, e L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6, nonchè delle tabelle nn. 8 e 12 annesse al D.M. n. 55 del 2014.

Deduce che la corte d’appello, “avendo parlato genericamente di spese del procedimento” (così ricorso, pag. 5). ha liquidato l’importo di Euro 200.00 per ambedue le fasi del procedimento di equa riparazione, ovvero per quella monitoria e per quella di opposizione; che, nondimeno, siffatta globale liquidazione è illegittima, giacchè “impedisce di sapere quanto riconosciuto per ciascuna di esse e di denunciare conseguentemente eventuali trasgressioni normative” (così ricorso, pag. 6).

Deduce, altresì, che la prefigurata illegittimità si prospetta anche in relazione al “nuovo sistema dei parametri i quali (…) a partire dal precedente decreto del 2012 hanno sostituito le tariffe abrogate” (così ricorso, pag. 7): che, invero, l’unitarietà della liquidazione in ogni caso “va rapportata ai singoli gradi in cui si può svolgere il giudizio” (così ricorso, pag. 7). sicchè la liquidazione deve essere correlata al momento della decisione che definisce ciascun grado.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2, (convertito nella L. n. 27 del 2012), della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6, del D.M. n. 55 del 2014, art. 1 e art. 4, comma 1, u.p., dell’art. 91 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 111 cost., commi 1 e 6.

Deduce che la liquidazione delle spese. quale operata dalla corte d’appello, è inferiore al minimo parametrico, “con riguardo ad ambedue le Tabelle di riferimento di cui al D.M. n. 55 del 2014, applicabile ratione temporis” (così ricorso, pag. 8).

Deduce, difatti, che, in considerazione del quantum – Euro 1.500,00 – dell’indennizzo accordato ed alla stregua dello scaglione di riferimento – fino ad Euro 5.200.00 – della tabella n. 8 – “procedimenti monitori” – allegata al D.M. n. 55 del 2014, il compenso spettante per la fase monitoria è pari, in valore medio, ad Euro 450, in valore minimo, ad Euro 225,00.

Deduce, inoltre, che, in considerazione parimenti del quantum dell’accordato indennizzo ed alla stregua del medesimo scaglione – fino ad Euro 5.200,00 – della tabella n. 12 – giudizi innanzi alla Corte d’appello” – allegata al D.M. n. 55 del 2014, il compenso spettante per il giudizio di opposizione è pari. in valore medio, ad Euro 510,00 per la fase di studio, ad Euro 510,00 per la fase introduttiva, ad Euro 945,00 per la fase di trattazione e ad Euro 810,00 per la fase decisoria e, quindi, ad Euro 2.775,00 ed, in valore minimo, per le stesse fasi nel complesso ad Euro 1.198.50; che, al contempo, pur a disconoscere la liquidazione per la fase di trattazione, il valore minimo è comunque pari ad Euro 915,00 (Euro 255,00 + Euro 255,00 + Euro 405,00).

Deduce, pertanto, che al disotto dei minimi – di Euro 225,00 e di Euro 915,00 – “si è indiscutibilmente portata la corte perugina” (così ricorso, pag. 11).

Deduce, d’altra parte, che, pur ad ammettere che si possa, in dipendenza dell’espressione “di regola – che figura nel testo del D.M. n. 55 del 2014, portar deroga ai valori minimi e massimi di cui alla tabella, è fuor di dubbio tuttavia che, in ipotesi siffatta, il giudice debba dar conto esplicitamente delle circostanze che giustificano la liquidazione in misura inferiore ai minimi; che nè può supporsi che il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, dispensi il giudice dell’obbligo della motivazione sul punto, giacchè, se si opinasse in tal senso, la disposizione regolamentare sarebbe certamente da disapplicare.

Deduce, dunque, che la Corte distrettuale non ha offerto alcuna motivazione della sua determinazione quantitativa, palesemente e abbondantemente inferiore ai detti limiti” (così ricorso, pag. 13).

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., comma 2.

Deduce che la liquidazione operata non si conforma al principio ex art. 2233 c.c., comma 2 per cui “la misura del compenso deve essere adeguata al decoro della professione” (così ricorso, pag. 14).

Deduce, infatti, che è ben evidente che “l’attività prestazionale emersa (…) può restare coperta solo in minima parte da un importo inferiore a 200 Euro, e che (..) corrisponde a circa un quinto del minimo di parametro” (così ricorso, pag. 15).

Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.

Il buon esito, segnatamente, del secondo motivo assorbe e rende vana la disamina delle “ragioni” addotte e con il primo e con il terzo motivo.

Più esattamente, alla stregua delle tabelle allegate al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, applicabile al caso di specie atteso che il decreto impugnato è dei 3.11.2014/7.1.2015 (cfr. Cass. sez. un. 12.10.2012, che, seppur con riferimento al D.M. n. 140 del 2012, ha puntualizzato che, in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 110, art. 41 il quale ha dato attuazione al D.Lgs. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione onmicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata), va appieno recepita la prospettazione di parte ricorrente per cui i minimi tabellari sono pari ad Euro 225,00 per la fase monitoria e, nel complesso, ad Euro 915,00 per la fase dell’opposizione (Euro 255,00 per la fase di studio, Euro 255,00 per la fuse introduttiva ed Euro 405,00 per la fuse decisionale), ben vero espunto, per la fase dell’opposizione, ogni compenso per l’attività istruttoria, attività nel caso di specie di difficile configurazione.

In questi termini non vi era alcun motivo perchè la corte di Perugia disattendesse l’applicazione del minimo tabellare, ossia Euro 1.140,00.

Nè in verità la corte di merito ha in qualche modo enunciato le ragioni per cui la liquidazione delle spese dovesse seguire in misura pari ad Euro 200,00, essendosi limitata unicamente a supportare l’operata liquidazione con l’affermazione secondo cui “le spese di lite seguono la soccombenza”.

In accoglimento del secondo motivo dell’esperito ricorso va quindi cassato il decreto n. 1/2015 della corte d’appello di Perugia nella parte e limitatamente alla parte in cui ha liquidato per spese del procedimento in favore dell’avvocato Alberto Prosperini, difensore anticipatario della ricorrente, la somma di Euro 200,00 per compensi, oltre esborsi ed accessori di legge.

In ogni caso, giacchè non si prospetta la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, nulla osta a che questa Corte, con statuizione “nel merito” ex art. 384 c.p.c., comma 2, u.p. condanni il Ministero della Giustizia a pagare per le spese dell’intero procedimento (ovvero e per la fase monitoria e per la fase di opposizione) in favore dell’avvocato Alberto Prosperini, difensore anticipatario della ricorrente, l’importo di Euro 1.140,00, per compensi, oltre al rimborso forfetario ed agli accessori di legge.

L’accoglimento del ricorso giustifica la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’avvocato Alberto Prosperini, difensore anticipatario della ricorrente pur per il presente giudizio. La liquidazione segue come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. 11 che rende inapplicabile, al di là ben vero del buon esito del ricorso, il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 a decorrere dall’1.1.2013) Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli ulteriori; cassa, in relazione al motivo accolto, il decreto n. 1/2015 della corte d’appello di Perugia nella parte e limitatamente alla parte in cui ha liquidato per spese del procedimento in favore dell’avvocato Alberto Prosperini, difensore anticipatario della ricorrente, la somma di Euro 200.00 per compensi, oltre esborsi ed accessori di legge e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a pagare per le spese dell’intero (ovvero e per la fase monitoria e per la fase di opposizione) procedimento ex lege n. 89 del 2001 in favore dell’avvocato Alberto Prosperini, difensore anticipatario della ricorrente, l’importo di Euro 1.140,00, per compensi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; condanna il Ministero della Giustizia a pagare all’avvocato Alberto Prosperini, difensore anticipatario della ricorrente, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano, per compensi, in Euro 900,00, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. sesta civ. – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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