Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2296 del 02/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 02/02/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 02/02/2021), n.2296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9963-2020 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 13/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- S.I., proveniente dalla terra del Senegal, ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Roma avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria) e della protezione umanitaria.

Con provvedimento depositato in data 13 febbraio 2020, il Tribunale ha rigettato il ricorso.

2.- Il Tribunale ha valutato “non attendibile” il racconto esposto dal richiedente: “egli ha fatto prima riferimento a contrasti di natura familiare… e, di seguito, alla violenza subita come responsabile dell’incendio divampato in ben sei villaggi”; peraltro, “non si riscontrano villaggi all’interno della città di (OMISSIS)”; appare contraddittorio, poi, affermare che l’attività del padre del ricorrente sia quella di mendicante “a fronte di terreni di famiglia”.

Ha poi osservato che, nell’attuale contesto dei rapporti internazionali, la “situazione politico-economica-istituzionale” del Senegal, stando alle indicazioni fornite dai report di Amnesty International, come aggiornati ai primi mesi del 2019, non è caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato.

Quanto alla protezione umanitaria, il decreto ha rilevato che “alcuna effettiva forma di stabile integrazione risulta riscontrabile dall’arrivo in Italia e fino a tutta la durata della procedura di protezione; in effetti, l’attività lavorativa svolta dal ricorrente si è limitata a un tirocinio formativo della durata di tre mesi”.

3.- Avverso questo provvedimento ricorre S.I., affidandosi a un motivo di cassazione.

Il Ministero, constatato di “non essersi costituito nei termini di legge”, ha presentato un’istanza per l’eventuale partecipazione dell’udienza di discussione, che non può essere ritenuto come atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il ricorrente sostiene che il “Tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.”. Nei fatti – si aggiunge – il ricorrente vive in Italia da quattro anni e si sta preparando per una prossima attività lavorativa avendo studiato la lingua e svolgendo un tirocinio professionalizzante e tale condizione ben poteva essere confrontata con le problematiche politiche generali del suo Paese di origine”.

5.- Il ricorso è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, se il giudice è chiamato a verificare l’esistenza di seri motivi, che impongano di offrire tutela a situazione di vulnerabilità individuale, è comunque “necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass., 2 luglio 2020, n. 13573).

Con specifico riguardo alla condizione personale del richiedente, tuttavia, il ricorso non va oltre l’indicazione sopra riportata, come inerente alla frequentazione di un tirocinio e allo studio della lingua italiana.

6.- Non ha luogo provvedere alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità, posto che il Ministero è rimasto intimato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parti a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

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