Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22959 del 10/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 10/11/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 10/11/2016), n.22959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12015 – 2015 R.G. proposto da:

B.C., – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in

virtù di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Felice

Amato e dall’avvocato Tommaso Amato ed elettivamente domiciliata in

Roma, alla via delle Acacie, n. 13, c/o Centro Caf, presso

l’avvocato Giancarlo Di Genio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente domicilia;

– controricorrente –

Avverso il decreto n. 1485 dei 13.10/3.11.2014 della corte d’appello

di Perugia;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 19

luglio 2016 dal consigliere dott. ABETE Luigi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla corte d’appello di Perugia (all’esito della declaratoria di incompetenza della corte d’appello di Napoli) depositato nell’anno 2011 B.C., quale figlia ed erede di B.R., si doleva per l’eccessiva durata del giudizio introdotto dal padre in data 25.10.1982, ai fini del riconoscimento del trattamento pensionistico, innanzi alla Corte dei Conti – sezione giurisdizionale di Napoli, giudizio deciso con sentenza n. 1883/2008.

Chiedeva che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a corrisponderle, in qualità di erede legittima per la quota di 1/4 di B.R., un equo indennizzo a ristoro dei danni tutti sofferti dal genitore.

Resisteva il Ministero.

Con decreto n. 1485 dei 13.10/3.11.2014 la corte d’appello di Perugia condannava il Ministero resistente a pagare alla ricorrente per l’irragionevole durata del giudizio presupposto la somma di Euro 2.850,00 oltre interessi; altresì condannava il Ministero a rimborsare al difensore anticipatario, avvocato Tommaso Amato, della ricorrente le spese del procedimento liquidate in Euro 300,00, oltre accessori.

Premetteva la corte che, attesa la non complessità del giudizio presupposto, il periodo indennizzabile era pari a circa 22 anni ed 11 mesi.

Premetteva, altresì, che, in considerazione del valore – superiore ad Euro 5.164,57 – dello stesso giudizio presupposto, gli importi da liquidare erano, in via ordinaria, pari ad Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e ad Euro 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole.

Esplicitava, nondimeno, che nel quadro di siffatti parametri, essenzialmente di massima ed indicativi, la liquidazione era da operare in via equitativa in relazione alle circostanze del caso concreto; che in tale prospettiva il danno poteva determinarsi in Euro 500.00 per ogni anno eccedente la durata ragionevole, “tenuto conto che dal 1991, come emerge dalla sentenza della Corte dei Conti, si era affermata giurisprudenza sfavorevole all’accoglimento del ricorso, circostanza da cui può desumersi che, quantomeno da tale data. la parte poteva prevedere l’esito del proprio ricorso con conseguente scarsissimo danno non patrimoniale” (così decreto, pag. 4).

Esplicitava, quindi, che, in dipendenza della quota ereditaria – pari ad – di spettanza della ricorrente, si giustificava la liquidazione dell’importo di Euro 2.850,00.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso sulla scorta di due motivi B.C.; ha chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione, eventualmente decidendo nel merito, con attribuzione delle spese del pregresso giudizio all’avvocato Tommaso Amato, unico antistatario, e con condanna del Ministero alle spese del giudizio di legittimità da distrarsi in favore dell’avvocato Felice Amato, difensore antistatario.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e ss. e dell’art. 6 della convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ratificata con L. n. 848 del 1955.

Deduce che la circostanza per cui a decorrere dal 1991 si sia manifestato un indirizzo giurisprudenziale contrario all’accoglimento del ricorso, non è valsa a far venir meno il “paterna d’animo”; che comunque deve ammettersi che il “paterna d’animo” sia venuto meno solo a seguito del consolidamento della giurisprudenza di segno contrario.

Deduce che al contempo la corte d’appello avrebbe dovuto tener conto che fino al 1991, epoca in cui si è manifestata la giurisprudenza di segno contrario, si sono registrati ben sei anni di durata irragionevole, anni nel corso dei quali il “paterna d’animo” non era certamente venuto meno, sicchè il pregiudizio era da liquidare secondo gli ordinari parametri di cui la stessa corte ha dato atto in premessa.

Il motivo è destituito di fondamento.

E’ sufficiente il riferimento all’insegnamento di questa Corte di legittimità alla cui stregua in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nell’interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U.) in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative, nei quali gli interessati non risultavano aver sollecitato la trattazione o la definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato, di regola, tra gli importi di Euro 350 e quello di Euro 550 per anno; il giudice nazionale deve, quindi, liquidare l’importo complessivo dell’indennizzo alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi, con la conseguenza che in relazione ad un giudizio in materia pensionistica dinanzi alla Corte dei Conti, definito in primo grado con sentenza di rigetto dopo circa ventiquattro anni, non deve scendersi al di sotto della soglia complessiva di 12.000 Euro (cfr. Cass. (ord.) 6.9.2012, n. 14974).

Su tale scorta il quantum (Euro 2.850,00, eguale ad 1/4 di Euro 11.400,00) della liquidazione operata dalla corte di merito, per un periodo indennizzabile pari a circa 22 anni ed 11 mesi, è del tutto incensurabile.

In particolare si osserva quanto segue.

Per un verso, che il delinearsi a partire dall’anno 1991 di un indirizzo giurisprudenziale contrario all’accoglimento del ricorso, rende più che verosimile lo scarso interesse della ricorrente a sollecitare la trattazione e la definizione del processo e, quindi, l’insussistenza di un peculiare pregiudizio correlato al protrarsi in epoca successiva al 1991 della vicenda processuale.

Per altro verso, con riferimento al periodo antecedente al 1991 e di “irragionevole durata -, che la liquidazione effettuata dalla corte distrettuale senz’altro si conforma ai parametri indicati dalla Corte E.D.U. e ribaditi da questa Corte di legittimità con l’insegnamento surriferito.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2, 3 e 4 e dei parametri di cui alla tabella 12 (giudizi innanzi alla corte d’appello) colonna 2 allegati al medesimo D.M..

Deduce che il decreto della corte d’appello di Perugia è erroneo nella parte in cui ha liquidato le spese di lite in Euro 300,00.

Deduce, in particolare, che, in rapporto allo scaglione di riferimento, compreso tra Euro 1.000,01 ed Euro 5.200,00, il valore medio di liquidazione è pari ad Euro 510,00 per la fase di studio, ad Euro 510,00 per la fase introduttiva, ad Euro 945,00 per la fase di trattazione e ad Euro 810,00 per la fase decisoria e, dunque, ad Euro 2.775,00, suscettibile di riduzione fino al 50% per le fasi di studio, introduttiva e decisoria e di riduzione fino al 70% per la fase di trattazione, sicchè non poteva essere determinato in misura inferiore ad Euro 1.198,50.

Deduce, comunque, che, pur a disconoscere la liquidazione per la fase di trattazione, il valore medio di liquidazione è pari ad Euro 1.830,00 (Euro 510,00 + Euro 510,00 + curo 810,00) ed il valore minimo è pari ad Euro 915.00 (Euro 255,00 + Euro 255,00 + Euro 405,00).

Il motivo è fondato e meritevole di accoglimento.

Più esattamente, alla stregua delle tabelle allegate al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, applicabile al caso di specie atteso che il decreto impugnato è dei 13.10/3.11.2014 (cfr. Cass. sez. un. 12.10.2012, che, seppur con riferimento al D.M. n. 140 del 2012, ha puntualizzato che, in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41 il quale ha dato attuazione al D.Lgs. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 21 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione onnicomprensiva di “compenso – la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata), va appieno recepita la prospettazione di parte ricorrente per cui i minimi tabellari sono pari, nel complesso, ad Euro 915.00 (Euro 255,00 per la fase di studio, Euro 255,00 per la fase introduttiva ed Euro 405,00 per la fase decisionale), ben vero espunto ogni compenso per l’attività istruttoria, attività nel caso di specie di difficile configurazione.

In questi termini non vi era motivo alcuno perchè la corte di Perugia disattendesse l’applicazione del minimo tabellare, eguale ad Euro 915,00.

Nè in verità la corte di merito ha in qualche modo enunciato le ragioni per cui la liquidazione delle spese dovesse seguire in misura pari ad Euro 300,00, oltre al rimborso forfetario ed accessori di legge.

In accoglimento del secondo motivo dell’esperito ricorso va quindi cassato il decreto n. 1485 dei 13.10/3.11.2014 della corte d’appello di Perugia nella parte e limitatamente alla parte in cui ha liquidato per spese del procedimento in favore dell’avvocato Tommaso Amato difensore anticipatario della ricorrente, la somma di Euro 300.00 per compensi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa.

In ogni caso, giacchè non si prospetta la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, nulla osta a che questa Corte, con statuizione “nel meritò ex art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., condanni il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare per le spese del procedimento in favore dell’avvocato Tommaso Amato, difensore anticipatario della ricorrente, l’importo di Euro 915,00, per compensi, oltre al rimborso forfetario ed agli accessori di legge.

Il ricorso a questa Corte di legittimità è stato accolto solo in parte.

Si giustifica, pertanto, la compensazione sino a concorrenza della metà delle spese del presente giudizio di legittimità.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze va condannato al pagamento della residua metà – liquidata come da dispositivo – in favore dell’avvocato Felice Amato, difensore anticipatario della ricorrente per il presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile, al di là ben vero del (parziale) buon esito del ricorso, il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo del ricorso; cassa, in relazione al motivo accolto, il decreto n. 1485 dei 13.10/3.11.2014 della corte d’appello di Perugia nella parte e limitatamente alla parte in cui ha liquidato per spese del procedimento in favore dell’avvocato Tommaso Amato, difensore anticipatario della ricorrente, la somma di Euro 300,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare per le spese del procedimento ex lege n. 89 del 2001 in favore dell’avvocato Tommaso Amato, difensore anticipatario della ricorrente, importo di Euro 915,00, per compensi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; compensa sino a concorrenza della metà le spese del presente giudizio di legittimità e condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare all’avvocato Felice Amato, difensore anticipatario della ricorrente, la residua metà, metà che si liquida, per compensi, in Euro 450.00, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile- 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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