Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22958 del 16/08/2021

Cassazione civile sez. II, 16/08/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 16/08/2021), n.22958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25914-2019 proposto da:

O.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato MARIA MONICA BASSAN

ed elettivamente domiciliato presso lo studio della medesima in

PADOVA, V.lo M. BUONARROTI 2 (int. 3);

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 6165/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA depositato

il 25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/11/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

CENNI DEL FATTO

O.A. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiata o della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

Sentita dalla Commissione Territoriale, la ricorrente aveva riferito di aver lasciato la (OMISSIS) a seguito dei maltrattamenti subiti dallo zio e dalla di lui moglie con i quali la O. viveva e che si erano appropriati dei beni che appartenevano a suo padre; temeva di ritornare in patria non sapendo dove andare, non avendo più alcun familiare, a parte lo zio che l’avrebbe anche violentata.

Con decreto n. 6165/2019, depositato in data 25.7.2019, il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso. In particolare, il Tribunale osservava che la ricorrente, nelle due sedi di audizione, aveva rilasciato dichiarazioni diverse in merito alle vicende vissute nel proprio Paese e che l’avrebbero portata a lasciare definitivamente la (OMISSIS), per cui si doveva escludere che la medesima avesse offerto elementi completi ed esaustivi, tali da fondare il giudizio di credibilità e attendibilità della stessa. Non poteva riconoscersi lo status di rifugiata e, del pari, era da escludere che ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria: quanto ai requisiti di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), essi dovevano escludersi stante la loro mancata prospettazione da parte della ricorrente. Neppure ricorreva l’ipotesi di cui alla lett. c) della suddetta norma, in quanto nell'(OMISSIS), regione di provenienza della ricorrente, non era ravvisabile una situazione di violenza indiscriminata legata a conflitti armati. Inoltre, non poteva neppure riconoscersi il diritto alla concessione della protezione umanitaria, in quanto la non credibilità e genericità del racconto costituivano motivi sufficienti per il suo diniego. In ogni caso, la vicenda non presentava profili di vulnerabilità, né vi erano elementi per ritenere che la ricorrente avesse raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale, in quanto non era stata prodotta documentazione comprovante lo svolgimento di un’attività lavorativa sufficientemente stabile e con retribuzione adeguata.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione O.A. sulla base di tre motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta “Violazione di legge: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, lett. c) e art. 8”.

1.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce “Violazione di legge: art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (omessa valutazione di fatti e motivazioni della richiesta di protezione) in relazione all’art. 60 Convenzione di Istanbul”.

1.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente censura “Violazione/falsa applicazione di legge: art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 5, comma 6”.

2. – Il primo motivo è fondato.

2.1. – In sede amministrativa, la ricorrente aveva prima dichiarato “in maniera generica e poco circostanziata” gli avvenimenti che l’avevano portata a lasciare definitivamente il proprio paese: ovvero la violenza sessuale e i maltrattamenti subiti dallo zio, con cui viveva (e che non voleva farla studiare studiare ma lavorare). E poi, di essere scappata dallo zio e di avere incontrato un ragazzo con il quale aveva avuto una figlia, morta a soli due mesi in quanto anemica. La coppia si sarebbe trasferita, prima a Kano, e successivamente in Libia dove il ragazzo sarebbe morto a causa della guerra.

In sede giudiziale, invece, la ricorrente narrava diversamente che, scappata dallo zio, era andata a vivere con una signora che si era offerta di aiutarla, ma il cui vero intento era quello di farla propstituire; per cui era andata a vivere con il fidanzato, in condizioni miserevoli, essendo nel frattempo rimasta incita di un’altra bambina, anch’essa deceduta, ed essendosi trasferita non a Kano ma a Lagos.

Pertanto, secondo il Tribunale, poiché la richiedente nelle due sedi di audizione aveva rilasciato delle dichiarazioni diverse in merito alle vicende vissute nel proprio paese e che l’avrebbero portata a lasciare definitivamente la (OMISSIS), doveva escludersi che la medesima avesse offerto elementi completi ed esaustivi, tali da fondare il giudizio di credibilità ed attendibilità dello stesso (decreto impugnato, pagg. 7 e 8).

2.2. – Orbene, in tema di protezione internazionale, la valutazione effettuata dal giudice del merito in ordine alla credibilità e verosimiglianza delle dichiarazioni del richiedente deve rispondere ai criteri di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5 e, pur considerando l’innegabile margine di discrezionalità che la connota, non può essere motivata mediante il richiamo a giudizi che riflettono le mere opinioni del giudice o che siano il frutto di sue impressioni o suggestioni (Cass. n. 23891 del 2020; cfr. Cass. n. 8282 del 2013).

Sicché, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (Cass. n. 26921 del 2017). Il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza, atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova. Ne consegue che solo quando il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegazione sorge il potere-dovere del giudice di cooperazione istruttoria, che tuttavia è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente (Cass. n. 17185 del 2020).

2.3 – Alla richiedente in difficoltà nell’esprimersi, e nella collocazione spazio temporale degli eventi, non è stata richiesta (contrariamente ai principi sopra richiamati, in tema di cooperazione istruttoria del giudice) alcuna spiegazione o dettaglio che potesse aiutare a chiarire quegli elementi che sono stati poi indicati come sintomatici di non credibilità complessiva e che, in realtà, attengono a vicende successive e non rilevanti in relazione alla motivazione della domanda di protezione, che è e resta fondata sulla situazione di violenza subita in giovanissima età e che la richiedente ritiene irrisolta e ripetibile in caso di rientro nel proprio paese.

Peraltro, ciò che appare intrinsecamente contraddittorio è non già il racconto della richiedente riguardo i fatti principali delle violenze subite ad opera del marito della zia materna, bensì fondare il giudizio di inattendibilità anche su elementi secondari e non rilevanti in ordine alla richiesta di protezione.

3. – All’accoglimento del primo motivo di ricorso segue l’assorbimento dei motivi secondo e terzo. Seguono la cassazione del decreto impugnato e il rinvio del procedimento al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, per quanto di ragione, con assorbimento dei motivi secondo e terzo. Cassa il decreto impugnato e rinvia il procedimento al Tribunale di Venezia in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2021

 

 

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