Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22956 del 16/08/2021

Cassazione civile sez. II, 16/08/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 16/08/2021), n.22956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 22050-2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato CRISTIANO BERTONCINI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2265/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 03/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. A.A. ha proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza della corte d’appello di L’Aquila che, confermando l’ordinanza del tribunale della stessa città, ha respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria, richiesta in via subordinata, e di protezione umanitaria, in ulteriore subordine.

La corte d’appello di L’Aquila reputa, in primo luogo, non meritevole di accoglimento il motivo di appello relativo al mancato riconoscimento dello status di rifugiato. Il sig. A. afferma infatti di essere fuggito dalla (OMISSIS), suo Paese d’origine, per soffiarsi alle pressioni di un gruppo di uomini di Al Shabaab che, mentre lavorava come muratore a (OMISSIS) presso un’azienda turca, lo avevano avvicinato per convincerlo a unirsi a loro nell’organizzazione di attentati (uno, in particolare, vicino l’aeroporto), affinché collaborasse per nascondere armi o fare il kamikaze. La corte osserva che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 conformemente alla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, richiede, ai fini del riconoscimento del detto status, l’aver subito atti di persecuzione riconducibili a motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o opinione politica, che non sussistono nel caso di specie. Si aggiunge, peraltro, che la circostanza che l’appellante, all’arrivo in Italia, sia stato arrestato e abbia patteggiato la pena di due anni di reclusione e Euro 445 di multa per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, a seguito delle accuse a lui mosse da un gruppo di etiopi di essere lo scafista del gommone con il quale è sbarcato in Italia, osterebbe, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 16, lett. d-bis), tanto ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato quanto ai fini della concessione della protezione sussidiaria. La sentenza di patteggiamento, infatti, sarebbe equivalente alla sentenza di condanna ai fini della qualificazione dello straniero come un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Quanto, infine, alla richiesta di protezione umanitaria, la corte osserva che i gravi motivi umanitari che la giustificano presuppongono che il richiedente versi in uno stato di particolare vulnerabilità (condizioni psico-fisiche di particolare debolezza legate alla minore età, alla disabilità, allo stato di gravidanza o all’aver subito torture o stupri), che non è ravvisabile nella situazione dell’odierno ricorrente. Per quanto la (OMISSIS) si trovi in condizioni di generale insicurezza, a causa del conflitto armato tra l’esercito somalo, la Missione dell’Unione Africana in (OMISSIS) e le forze alleate, da un lato, e il gruppo di Al.Sh., cellula di (OMISSIS) in (OMISSIS), dall’altro, nonché a causa della grave crisi economica per la carenza dei beni di prima necessità, tali condizioni critiche non possono essere considerate indipendentemente dalla situazione individuale di particolare vulnerabilità del richiedente.

Infine, la corte rileva che il racconto dell’appellante è assai poco attendibile e non circostanziato, non risultando chiaro come l’odierno ricorrente sia venuto a sapere che gli uomini in questione appartenevano al gruppo di Al.Sh., come sia possibile che gli abbiano lasciato tre giorni di tempo per decidere se arruolarsi, così permettendogli di scappare e, infine, come mai i terroristi si siano interessati a lui che svolgeva attività di semplice operaio. Rigetta pertanto anche la richiesta di protezione umanitaria. Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. A.A. deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 4 e 32, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 5, comma 6 e art. 19 e, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 36, per avere la corte territoriale ritenuto la condanna per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ostativa al riconoscimento della protezione internazionale. Al contrario, il ricorrente afferma che l’esistenza di un precedente non può essere di per sé considerata ostativa, occorrendo sempre una valutazione individuale, relativa al caso specifico, che accerti se effettivamente il richiedente costituisca un pericolo per l’ordine pubblico. In mancanza di tale verifica, precludere il riconoscimento delle misure di accoglienza esclusivamente per l’esistenza di un precedente giudiziale confliggerebbe con la Convenzione EDU.

Si censura, altresì, il mancato bilanciamento da parte del giudice d’appello tra l’esigenza di sicurezza del Paese ospitante e la grave situazione della (OMISSIS). Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. A.A. deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 7, per avete la corte d’appello ritenuto non credibile il racconto del ricorrente. L’art. 3, comma 5 citato decreto impone di svolgere la valutazione di credibilità dell’istante tenendo conto della buona fede soggettiva nella proposizione della domanda di protezione, della tempestività, della completezza delle informazioni e della tendenziale plausibilità. Ad avviso del ricorrente, il suo resoconto soddisfa i detti requisiti, avendo fornito una sequenza di eventi cronologicamente plausibile e una descrizione sufficientemente dettagliata e verosimile delle proprie vicende personali, specificando anche il lavoro svolto, il luogo in cui lavorava e le mansioni a lui assegnate.

Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. A.A. deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 36, per avere la corte territoriale respinto la richiesta di protezione umanitaria, escludendo che il ricorrente possa considerarsi soggetto vulnerabile. Al contrario, si osserva che, data la giovane età, la mancanza di una rete parentale, professionale e di lavoro, le migrazioni e i cambiamenti traumatici affrontati, il rimpatrio esporrebbe il ricorrente ad un concreto pregiudizio. Si aggiunge, poi, che la situazione di vulnerabilità va accertata effettuando un bilanciamento tra l’integrazione sociale acquisita in Italia e la situazione oggettiva del Paese d’origine del richiedente. Il percorso di inserimento sociale intrapreso da quest’ultimo in Italia, con frequentazione di corsi di italiano e professionali, fa sì che il ritorno forzato in patria si ponga come un nuovo destabilizzante episodio di sradicamento nel vissuto personale del ricorrente.

Il Ministero dell’Interno ha presentato controricorso, insistendo per l’inammissibilità del gravame proposto dal sig. A.A..

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 7 ottobre 2020, per la quale non sono state depositate memorie.

Il sig. A.A. è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Con il primo motivo di ricorso, come sopra accennato, il ricorrente censura l’impugnata sentenza per essersi la corte territoriale limitata ad escludere il diritto del ricorrente allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria sulla sola considerazione che lo straniero costituirebbe un pericolo per l’ordine sicurezza pubblica; ciò in quanto si dovrebbe “equiparare la sentenza di patteggiamento la sentenza di condanna citata alla normativa di riferimento, trattandosi comunque di circostanze che denotano il fatto che “lo straniero costituisce un pericolo per l’ordine sicurezza pubblica” come indicato dalla norma”.

Osserva al riguardo il Collegio che il D.Lgs. n. 251 del 2007 fa riferimento – nell’art. 12, lett. e), per lo status di rifugiato, e art. 16, lett. d) bis, per la protezione sussidiaria – alla ipotesi dello straniero “condannato” con sentenza definitiva; la questione da risolvere ai fini della decisione sul motivo di ricorso e’, dunque, se tale ipotesi possa essere riferita (anche) alle sentenze applicative di pena su richiesta.

Va quindi chiarito, in ultima analisi, come debbano coordinarsi, ai fini dell’applicazione delle suddette disposizioni del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 12 e 16, le due disposizioni, entrambe contenute nell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis secondo cui, per un verso, “la sentenza prevista dall’art. 444, comma 2, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi” (primo periodo), e, per altro verso, “salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna” (secondo periodo).

Il Collegio ritiene che detta questioni meriti il vaglio della pubblica udienza.

P.Q.M.

La Corte rinvia a nuovo ruolo per la discussione in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2021

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