Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22952 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10570/2019 proposto da:

K.K., elettivamente domiciliato presso la Prima Sezione Civile

della Suprema Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

30/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con decreto depositato in data 30.1.2019, ha rigettato la domanda di K.K., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo stato il suo racconto ritenuto credibile (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal Mali per il timore di essere ucciso dagli abitanti del suo villaggio che lo avevano accusato di aver incitato il proprio padre ad uccidere la propria moglie, matrigna del richiedente, per avere costei di propria iniziativa provveduto alla pratica della mutilazione genitale nei confronti della propria figlia, provocandone la morte).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione K.K. affidandolo a due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7,8.

Espone il ricorrente che il Tribunale di Venezia non ha seguito le linee guida per valutare la credibilità delle sue dichiarazioni, provvedendo ad una scomposizione atomistica degli elementi indiziari utilizzati e non ad una valutazione per sintesi dei medesimi.

2. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va, in primo luogo, osservato che il giudice di merito ha rispettato i criteri normativi introdotti per la valutazione della credibilità del richiedente, esaminando il suo racconto sotto il profilo della coerenza e della plausibilità del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 comma 5, lett. c) e tale giudizio non può essere solo apodittica mente contestato, come ha fatto il ricorrente.

In proposito, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014, essendo state indicate in modo dettagliato le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile. In particolare, è stato evidenziato che, secondo le fonti internazionali accreditate, la pratica della escissione (mutilazione dei genitali) colpisce il 94% delle donne del Mali ed ha un particolare rilievo sociale, tanto che chi è contrario a tale pratica viene isolato dalla cerchia dei familiari, con la conseguenza che non era credibile che la decisione di sottoporre ad escissione la bambina fosse stata presa in autonomia dalla madre, moglie del padre del ricorrente, e non da quest’ultimo quale membro anziano della famiglia.

Il ricorrente ha formulato dei meri rilievi di merito a tale ricostruzione, non allegando neppure la grave anomalia motivazionale del decreto impugnato, come detto, unico vizio attualmente censurabile in Cassazione e svolgendo, infine, delle critiche generiche ed astratte al metodo di valutazione delle sue dichiarazioni utilizzato dal Tribunale.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7,8 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, artt. 115 e 116 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Contesta il ricorrente la valutazione in fatto effettuata dal Tribunale sulla situazione di violenza esistente nel paese d’origine del richiedente (ritenuta insussistente).

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato, alla luce di una fonte internazionale qualificata, come il rapporto COI aggiornato all’ottobre 2018, l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato nel Mali ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064), se a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Ne consegue che le censure del ricorrente sul punto si configurano come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quella operata dal giudice di merito.

Inoltre, il ricorrente ha formulato le proprie doglianze facendo riferimento a fonti internazionali diverse rispetto a quelle esaminate dal Tribunale di Venezia che non ha neppure dedotto di averle sottoposte all’esame dello stesso giudice.

In particolare, il ricorrente non ha neppure prospettato il luogo e modo con cui avrebbe sottoposto all’esame del Tribunale le ulteriori fonti citate onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

La declaratoria di inammissibilità non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, in ragione della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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