Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2295 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. II, 26/01/2022, (ud. 06/10/2021, dep. 26/01/2022), n.2295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9796-2017 proposto da:

P.D., rappresentata e difesa dall’Avv. JURI MONDUCCI, ed

elettivamente domiciliata presso il suo studio a BOLOGNA, Via

dell’INDIPENDENZA 36;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentata e difesa dall’Avv. GENNARO LUPO, ed

elettivamente domiciliata presso il suo studio a BOLOGNA in P.zza

TRENTO e TRIESTE 5/1;

– controricorrente –

avverso la sentenza 588/2016 del TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA

pubblicata il 3.03.2016;

udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del

6/10/2021, dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.G. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 598/2007, emesso in data 5.2.2007 dal Giudice di Pace di Bologna, con il quale le si ingiungeva il pagamento di Euro 2.500,00 in favore di P.D., a titolo di compenso per presunte prestazioni professionali rese dall’ingiungente nella gestione stragiudiziale della pratica risarcitoria dei danni riportati dalla stessa M. in conseguenza di un sinistro verificatosi in data (OMISSIS). Concludeva chiedendo dichiarare nullo, annullare e/o revocare privandolo di efficacia il decreto ingiuntivo opposto, respingendo ogni avversaria pretesa creditoria.

Si costituiva in giudizio P.D. chiedendo di rigettare l’opposizione ovvero in subordine condannare l’opponente al pagamento della somma ingiunta.

Con sentenza n. 3188/2010 il Giudice revocava il decreto ingiuntivo condannando P.D. alla rifusione delle spese di lite. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello P.D. formulando le medesime conclusioni del primo grado. Chiedeva, inoltre, la condanna dell’appellata al rimborso integrale delle somme versate a titolo di rimborso delle spese legali in adempimento della sentenza di primo grado.

Si costituiva tardivamente l’appellata eccependo in via pregiudiziale di rito la nullità della notificazione dell’atto di appello e, quindi, la tardività dell’impugnazione, la sua inammissibilità per comportamento della parte incompatibile ex art. 329 c.p.c., nel merito chiedeva respingersi l’appello.

Con sentenza n. 588/2016, depositata in data 3.3.2016, il Tribunale di Bologna rigettava il gravame e condannava la P. a rimborsare all’appellata le spese di lite.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione P.D. sulla base di tre motivi. Resiste M.G. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente afferma la “Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3, segnatamente per violazione degli artt. 1292,1296 e 1310 c.c.”, deducendo che nessuna norma di legge impone alla mandataria di inoltrare la richiesta danni direttamente al responsabile, potendo essa essere richiesta a qualsivoglia responsabile in solido, ai sensi dell’art. 1296 c.c. Il Tribunale avrebbe violato la legge per aver imputato alla P. di aver errato nella scelta del soggetto debitore e di aver omesso di costituire in mora, ai fini della prescrizione del diritto, il reale debitore dato che, ai sensi dell’art. 1310 c.c., la costituzione in mora dell’assicuratore del danneggiante in r.c. auto comporta l’interruzione della prescrizione anche del responsabile del sinistro.

1.1. – Il motivo è fondato.

1.2. – Il Tribunale affermava l’infondatezza dell’appello, risultando pacifico che la M. avesse verbalmente conferito alla P. l’incarico di seguire la pratica di risarcimento danni subiti in data (OMISSIS) mentre era trasportata su un autobus dell’ATC linea (OMISSIS) in (OMISSIS) e che avesse revocato il mandato in data 9.7.2003, chiedendo la quantificazione delle competenze in relazione all’attività fino a quel momento svolta. La risposta dell’appellante a detta richiesta interveniva solo in data 15.3.2006, quindi, a distanza di oltre due anni dalla conclusione del rapporto. In tale comunicazione la P. chiedeva il compenso di Euro 2.500,00 senza alcuna esplicazione dell’attività in concreto svolta.

La revoca dell’incarico risultava, dunque, giustificata dal comprovato inadempimento della P., che non aveva inoltrato la richiesta di risarcimento alla parte direttamente responsabile del sinistro, peraltro necessaria anche ai fini dell’interruzione della prescrizione. Inoltre, l’appellante non aveva coltivato con adeguata diligenza neppure l’istruzione della pratica già in precedenza cautelativamente aperta presso la compagnia di assicurazione, omettendo di attivarsi presso l’ATC al fine di conseguire la documentazione relativa al sinistro e le dichiarazioni dell’ispettore, poi rivelatesi indispensabili ai fini della liquidazione del danno.

Pertanto, la M. del tutto legittimamente (a parere del Tribunale), si era opposta al pagamento del corrispettivo richiesto dalla P., peraltro a distanza di quasi tre anni dalla revoca del mandato quando l’appellata poteva fare affidamento su una rinuncia al compenso per l’incarico non portato a termine.

1.3. – Il Tribunale felsineo (posto che era incontestato che la convenuta avesse conferito alla P. l’incarico di chiedere il risarcimento dei danni subiti nell’ambito del sinistro stradale, nel quale era rimasta coinvolta) tuttavia non ha considerato che nella materia dei sinistri stradali v’e’ azione diretta del danneggiato nei confronti della Compagnia di assicurazioni, già secondo il disposto di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 18 applicabile ratione temporis; così essendo indiscutibile che la scelta del soggetto a cui inoltrare la richiesta, spetti (ex art. 1296 c.c.) al danneggiato, o per esso, al suo mandatario e che tale richiesta valga ad interrompere la prescrizione anche nei confronti del responsabile del sinistro.

Costituisce principio consolidato, quello secondo cui “In tema di responsabilità derivante dalla circolazione di veicoli, l’accertamento della responsabilità del conducente e del proprietario (rispettivamente, ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 1 e comma 3) costituisce il presupposto necessario sia della domanda di garanzia proposta dall’assicurato (conducente o proprietario) nei confronti dell’assicuratore RCA (ove il danneggiato non abbia esercitato contro di lui l’azione diretta) sia della pretesa risarcitoria del danneggiato verso lo stesso assicuratore RCA (ove già inizialmente convenuto con l’azione diretta), sicché tali cause devono tutte considerarsi tra loro legate da nesso di “dipendenza” che ne determina l’inscindibilità, ex art. 331 c.p.c., nel giudizio di impugnazione (Cass. n. 29038 del 2018).

Ne consegue che correttamente la P. ha inoltrato la richiesta all’assicuratore.

2.- Quanto al secondo motivo, la ricorrente lamenta la sussistenza del vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione o motivazione apparente, censurando la pronuncia nella parte in cui è stato ritenuto che la P. non avesse coltivato con diligenza la pratica aperta presso la compagnia di assicurazione, omettendo di attivarsi presso l’ATC per conseguire tutta la documentazione relativa al sinistro in suo possesso, e segnatamente le dichiarazioni dell’ispettore. La ricorrente aveva censurato la sentenza di primo grado per aver omesso ogni esame dell’istruttoria svolta, dalla quale era emerso che in realtà la lungaggine della liquidazione non era dipesa dalla mandataria, bensì dal responsabile del sinistro che, nonostante sollecitato dalla Compagnia, aveva omesso di trasmettere le dichiarazioni necessarie. Nonostante tali argomentazioni, il Tribunale aveva omesso ogni rilievo in ordine al fatto che il mancato ristoro del danno non era dipeso dall’inadempimento della P., ma da quello del responsabile del sinistro.

2.1. – Il motivo non è fondato.

Il Tribunale ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che la P. non avesse adeguatamente coltivato l’istruzione della pratica, omettendo di attivarsi presso l’ATC al fine di conseguire tutta la documentazione in possesso dell’Azienda e in particolare, le dichiarazioni dell’ispettore, rivelatesi indispensabili ai fini della liquidazione del danno.

Non sussiste pertanto il vizio di nullità della pronuncia per motivazione omessa o apparente, vizio, che, per giurisprudenza costante, è riscontrabile ove la motivazione, quando pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (così, tra le ultime, la pronuncia 13248/2020)

3. – Il terzo motivo risulta fondato.

3.1. – La ricorrente lamenta la “Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, segnatamente per totale omessa motivazione (o comunque per motivazione apparente) ex art. 132 c.p.c. in ordine alle ragioni per le quali il Tribunale ha ritenuto che il decorso del tempo comportasse rinuncia alla pretesa economica della P.”. La ricorrente fa valere la sussistenza nel caso di motivazione apparente sul punto. Il Giudice d’appello si era infatti limitato ad evidenziare che del tutto legittimamente la M. si era opposta al pagamento del corrispettivo in quanto la medesima poteva fare affidamento su una rinuncia al compenso per l’incarico non portato a termine, senza dare conto delle ragioni fattuali e giuridiche per cui il mero silenzio poteva essere letto come acquiescenza.

3.2. – La P. aveva appellato la sentenza di primo grado nella parte in cui il giudice aveva evidenziato che il silenzio della medesima alla richiesta di quantificazione del compenso per due anni comportasse rinuncia. In particolare, in sede di gravame, l’appellante aveva evidenziato che non si potesse ritenere che il mero silenzio della P. protratto per due anni potesse considerarsi come un assenso tacito, manifestato attraverso comportamento concludente, né con riferimento alla risoluzione del contratto, né tantomeno con riferimento alle somme dovute a titolo di compenso da lavoratore autonomo. Pertanto, la sentenza andava riformata nel punto in cui aveva ritenuto che vi fosse stata rinuncia implicita al mandato conferito (ovvero ai crediti derivanti dallo stesso) da parte dell’appellante e non invece una vera e propria revoca del mandato che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1725 c.c., obbligava controparte al risarcimento del danno e al pagamento del compenso fino alla revoca (v. sentenza impugnata, pag. 5).

3.3. – Secondo il costante insegnamento di questa Corte, ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, sub specie di difetto assoluto o di motivazione apparente allorquando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero quando indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr., ex plurimis, Cass. n. 9113 del 2012; conf. Cass. n. 22652 del 2015).

Ebbene – considerato che, nel caso concreto, la quaestio facti controversa e decisiva per il giudizio era rappresentata dall’assunto in cui il giudice del gravame affermava che “del tutto legittimamente, pertanto, l’opponente si era opposta al pagamento del corrispettivo richiesto dalla P., peraltro, a distanza di quasi tre anni dalla revoca del mandato quando, quindi, la M. poteva effettivamente fare affidamento su una intervenuta rinuncia al compenso per l’incarico non portato a termine” – va rilevato che la sentenza di appello non contiene affatto l’indicazione delle ragioni logiche e giuridiche, che hanno indotto l’organo giudicante a disattendere il gravame proposto dalla P..

Laddove la motivazione della sentenza impugnata si risolve, in buona sostanza, in una acritica ed immotivata adesione anche alle ragioni giustificative della pronuncia di prime cure, che “avrebbe dato costrutto ad evidenze che non lasciano dubbi di sorta sulla sostanza che deve essere indagata allo scopo di formulare un giudizio”.

4. – In conclusione, vanno accolti il primo ed il terzo motivo. La sentenza impugnata deve essere dunque cassata, in relazione ai motivi accolti, e rinviata al Tribunale di Bologna, in persona di diverso Giudice, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. Rigetta il secondo motivo.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; cassa, in relazione ai motivi accolti, e rinvia al Tribunale di Bologna, in persona di diverso Giudice, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. Rigetta il secondo motivo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

 

 

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