Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22949 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 21/10/2020), n.22949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1210/2019 proposto da:

N.N., difeso e rappresentato dall’avv. Gaetano Mario

Pasqualino, elettivamente domiciliato in Roma Via Alberico II 4,

presso lo studio dell’avvocato Angelelli Mario Antonio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

26/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 da Dott. FIDANZIA ANDREI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con decreto depositato in data 26.11.2018, ha dichiarato inammissibile la domanda di N.N., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

Il Tribunale ha rilevato la tardività del ricorso atteso che il provvedimento di rigetto della Commissione Territoriale era stato notificato al richiedente in data 16 aprile 2018, mentre il ricorso era stato depositato solo in data 6 luglio 2018, e quindi oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, a norma del D.Lgs. n. 27 del 2008, art. 35 bis.

Il giudice di merito ha, altresì, rigettato la richiesta di rimessione in termini formulata dal ricorrente in ragione della mancata traduzione del provvedimento di rigetto della Commissione Territoriale nella sua lingua madre, rilevando che il richiedente non era stato in grado di dimostrare di essere incorso nella decadenza per causa a sè non imputabile.

In proposito, ha osservato il Tribunale di Venezia che, posto che nel corso dell’audizione innanzi alla Commissione Territoriale (avvenuta con l’assistenza di un interprete in lingua bangla) il richiedente era stato reso edotto della modalità e dei termini per l’impugnazione del provvedimento ed aveva dato atto di aver compreso l’interprete, tali circostanze erano state debitamente riportate nel verbale della Commissione Territoriale, il quale, in quanto atto pubblico, faceva prova fino a querela di falso di quanto i pubblici ufficiali avevano attestato essere avvenuti in loro presenza, tra cui l’informazione al richiedente ovviamente dei rimedi giurisdizionali e dei termini per la loro proposizione.

Ha proposto ricorso per cassazione N.N. affidandolo ad un unico articolato motivo.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ stata dedotta dal ricorrente la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7.

Lamenta il ricorrente il mancato accoglimento dell’istanza di rimessione in termini per proporre il ricorso dallo stesso formulata in ragione della mancata traduzione del provvedimento di rigetto della Commissione territoriale nella sua lingua madre (l’unica dallo stesso conosciuta, come dichiarato nel corso del procedimento amministrativo). In particolare, l’omessa traduzione in oggetto ha determinato la non imputabilità al medesimo della decadenza in cui è incorso nella proposizione tardiva del ricorso, avendo provocato un deficit informativo che ha dato luogo ad una violazione del suo diritto di difesa.

2. Il ricorso è infondato.

Va osservato che questa Corte ha più volte statuito, in tema di protezione internazionale, che l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa (Cass. n. 11871 del 27/05/2014, Cass. n. 420 del 13/01/2012).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha avuto cura di precisare se e in che misura la mancata traduzione del provvedimento di cui sopra nella lingua madre abbia determinato una violazione del suo diritto di difesa. In particolare, tenuto conto che il richiedente è venuto senz’altro a conoscenza del contenuto del provvedimento della Commissione Territoriale, tanto è vero che lo ha impugnato, sia pure tardivamente. (svolgendo analiticamente le sue difese nel merito di quanto ritenuto dalla stessa Commissione in ordine alla richiesta protezione internazionale e/o umanitaria), il ricorrente medesimo non ha neppure allegato in che termini l’omessa traduzione del provvedimento abbia inciso sulla tardività del suo ricorso, limitandosi ad invocare genericamente la violazione del relativo obbligo da parte dell’organo amministrativo.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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