Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22949 del 10/11/2016

Cassazione civile sez. VI, 10/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 10/11/2016), n.22949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6178-2014 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.S.G., in nome e per conto del proprio figlio

PASTOMERLO FEDERICO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RAFFAELE

PIRLA, 6, presso lo studio dell’avvocato PATRONATO ITACA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO ROBERTO LO BUGLIO

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 496/2012 del TRIBUNALE di VIGEVANO, depositata

il 02/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;

udito l’Avvocato Clementina Pulli difensore del ricorrente che si

riporta ai motivi scritti;

udito l’Avvocato Tommaso Lo Buglio (delega avvocato Antonio Roberto

Lo Buglio) difensore della controricorrente che si riporta ai motivi

scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’Inps propone ricorso straordinario ex art. 111 Cost. avverso il decreto del Tribunale di Vigevano che in data 2.9.2013 omologava l’accertamento tecnico preventivo con il quale era accertata l’esistenza del requisito sanitario necessario per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento in relazione alla domanda in tal senso avanzata da B.S.G. in nome e per conto del figlio minore P.F., ponendo a carico dell’Istituto le spese del procedimento ivi comprese quelle di ctu.

La B. si è difesa con controricorso eccependone l’inammissibilità sotto vari profili.

Con il primo motivo di ricorso l’I.N.P.S. denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 la violazione degli art. 100, 112 e 445 bis c.p.c., art. 2697 c.c., della L. 3 agosto 2009, n. 102, art. 20, comma 3 che ha convertito il D.L. 1 luglio 2009, n. 78.

Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3 convertito in L. n. 326 del 2003 in relazione all’art. 445 bis c.p.c..

Sostiene l’Istituto che nel procedimento ex art. 445 bis c.p.c. il giudice dovrebbe fin dall’inizio verificare la sussistenza di alcune delle condizioni preclusive del riconoscimento della prestazione prima ancora dell’accertamento delle condizioni sanitarie previste dalla legge (presentazione della domanda amministrativa, rispetto del termine semestrale di decadenza, litispendenza, esistenza di una precedente domanda amministrativa non ancora definita nel caso di prestazioni ex L. n. 222 del 1984, intervenuto riconoscimento della prestazione azionata, esistenza di un giudicato, incompetenza territoriale, requisità dell’età nelle invalidità civili).

Aggiunge che non sarebbe configurabile la soccombenza dell’Istituto ove pur accertata l’esistenza delle condizioni sanitarie in un successivo giudizio si verifichi l’insussistenza degli altri requisiti del pari necessari per il riconoscimento della prestazione.

Nel caso di specie ad avviso dell’Inps il Tribunale avrebbe dovuto verificare se, come eccepito, in data 27.10.2010 non era stata presentata domanda amministrativa per il conseguimento dell’indennità di accompagnamento ma solo per ottenere il riconoscimento dell’handicap grave ex L. n. 104 del 1992 e per l’effetto avrebbe dovuto dichiarare improponibile il ricorso.

Sotto altro aspetto, poi, il giudice dell’accertamento tecnico preventivo avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso dopo aver verificato che la domanda giudiziaria era stata proposta quando il termine di decadenza semestrale previsto dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3 convertito in L. n. 326 del 2003.

Tanto premesso si osserva preliminarmente che il ricorso straordinario ex art. 111 Cost. è ammissibile nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali, emessi in forma di ordinanza o di decreto, solo quando essi siano definitivi e abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale. In altre parole, deve trattarsi di provvedimenti idonei a risolvere il conflitto tra le parti in ordine al diritto soggettivo dell’una o dell’altra (cfr. Cass. n. 15949/2011 e Cass. n. 2757/2012). E’ stato così precisato che: “Il decreto di omologa del requisito sanitario non incide sulle situazioni giuridiche soggettive perchè non conferisce nè nega alcun diritto, dal momento che non statuisce sulla spettanza della prestazione richiesta e sul conseguente obbligo dell’I.N.P.S. di erogarla” – così Cass. 19 giugno 2015, n. 12731 e prima ancora Cass. 17 marzo 2014, n. 6085 -.

E’ alla luce degli indicati principi che il ricorso dell’I.N.P.S. è inammissibile.

E’ pur vero che, come da questa Corte già affermato (cfr. Cass. 5 maggio 2015, n. 8932 cit.; Cass. 4 maggio 2015, n. 8878; Cass. 27 aprile 2015, n. 8533), partendo dal principio che, salve le eccezioni di legge, “non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che integrino solo elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto, che può costituire oggetto di accertamento giudiziale solo nella sua interezza”, va escluso che l’accertamento del requisito sanitario cui è preordinato il procedimento ex art. 445 bis c.p.c. si “ponga come fattore a sè stante, del tutto avulso dal diritto sostanziale che si intende realizzare”, essendo invece sempre “strumentale e preordinato all’adozione del provvedimento di attribuzione di una prestazione previdenziale o assistenziale che deve essere indicata nel ricorso”.

In conseguenza, “l’ammissibilità dell’a.t.p. presuppone – come proiezione dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) – che l’accertamento medico-legale, pur sempre richiesto in vista di una prestazione previdenziale o assistenziale, risponda ad un concreto interesse del ricorrente, dovendo escludersi che esso possa essere totalmente avulso dalla sussistenza di qualsivoglia ulteriore presupposto richiesto dalla legge per il riconoscimento dei diritti corrispondenti allo stato di invalidità allegato dal ricorrente, con il rischio di un’eccessiva proliferazione del contenzioso sanitario”.

E’ stato così precisato che: “l’ammissibilità dell’a.t.p. richiede che il giudice adito accerti sommariamente, nella verifica dei presupposti processuali, oltre alla propria competenza, anche la ricorrenza di una delle ipotesi per le quali è previsto il ricorso alla procedura prevista dall’art. 445 bis c.p.c., nonchè la presentazione della domanda amministrativa, l’eventuale presentazione del ricorso amministrativo, la tempestività del ricorso giudiziario; ed inoltre il profilo dell’interesse ad agire dovrà, dal giudice, essere valutato nella prospettiva dell’utilità dell’accertamento medico richiesto al fine di ottenere il riconoscimento del diritto soggettivo sostanziale di cui l’istante si afferma titolare; utilità che potrebbe difettare ove manifestamente manchino, con una valutazione prima facie, altri presupposti della prestazione previdenziale o assistenziale in vista della quale il ricorrente domanda l’a.t.p.. Solo qualora tale verifica abbia dato esito positivo e sussistano, sulla base della prospettazione effettuata dal ricorrente, i requisiti per darsi ingresso all’accertamento tecnico, il giudice potrà proseguire nella procedura descritta dalla disposizione, dovendo altrimenti dichiarare il ricorso inammissibile, con pronuncia priva di incidenza con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale (come ritenuto da Cass. n. 5338 del 2014), che non preclude l’ordinario giudizio di cognizione sul diritto vantato”.

E’ dunque allora vero che al giudice dell’a.t.p. non sia da riconoscere un ruolo meramente sussidiario ed al più direttivo ovvero esecutivo degli interventi normativamente previsti è stato anche ritenuto dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 243 del 2014, proprio con riguardo a tale profilo ha escluso ogni violazione degli artt. 3, 24, 38 e 111 Cost. (il giudice investito dell’istanza di accertamento tecnico preventivo diretto alla verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere, dispone di tutti i poteri all’uopo necessari). Va così ritenuto che sin dall’inizio il giudice sia investito del compito di direzione del procedimento con l’esercizio di tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento dello stesso (art. 175 c.p.c.). Considerati, infatti, l’intento del legislatore di perseguire l’interesse generale alla riduzione del contenzioso assistenziale e previdenziale e la strumentalità e preordinazione del procedimento all’adozione del provvedimento di attribuzione della prestazione, una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 445 bis c.p.c. non può che condurre (in conformità con Cass. 4 maggio 2015, n. 8878 e Cass. 27 aprile 2015, n. 8533, citate) a ritenere ammissibile il vaglio preventivo sulle condizioni e sui presupposti processuali della domanda.

Tuttavia, a termini di procedura, in assenza di contestazioni, viene poi emesso il decreto di omologa, espressamente definito non impugnabile giacchè il rimedio concesso a chi intenda precludere la ratifica delle conclusioni del c.t.u. si colloca esclusivamente in un momento anteriore, ossia prima dell’omologa e nel termine fissato dal giudice per muovere contestazioni alla consulenza. In assenza di contestazioni, si chiude quindi definitivamente la fase dell’accertamento sanitario e le conclusioni del c.t.u. sono ormai intangibili. Il che si spiega considerando che sarebbe evidentemente illogico attribuire un rimedio impugnatorio avverso l’omologa alla parte che, nel momento anteriore ad essa, quando le era consentito di farlo, non abbia contestato la possibilità di ratificare le conclusioni del c.t.u. su cui la medesima omologa si fonda.

Coerentemente con tale premessa, deve ritenersi che la dichiarazione di dissenso che la parte deve formulare al fine di evitare l’emissione del decreto di omologa (ai sensi dei commi 4 e 5) possa avere ad oggetto sia le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., sia gli aspetti preliminari che sono stati oggetto della verifica giudiziale (ai fini della quale sia stata anche, come nella specie, formulata una eccezione apposita) e ritenuti non preclusivi dell’ulteriore corso, relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione così come sopra delineati; in mancanza di contestazioni, l’accertamento sanitario ratificato con il decreto di omologa diviene definitivo e non è successivamente contestabile, nè il decreto ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.. Se invece una delle parti contesti (non solo le conclusioni del c.t.u., ma complessivamente) la possibilità del giudice di ratificare l’accertamento medico, si apre un procedimento secondo il rito ordinario, con onere della parte dissenziente di proporre al giudice, in un termine perentorio, un ricorso in cui, a pena di inammissibilità, deve specificare i motivi della contestazione.” (Cass. n. 8932 del 2015, cit.).

In base a tale condivisibile ricostruzione della disciplina del procedimento per accertamento tecnico preventivo, l’I.N.P.S. avrebbe dovuto, quindi, far valere le doglianze proposte con il presente ricorso, nell’ambito del procedimento di a.t.p., formulando espressa dichiarazione di dissenso alla possibilità di ratifica dell’accertamento medico, dissenso ammissibile, in ragione di quanto sopra chiarito, anche per ragioni diverse dal profilo direttamente coinvolgente l’accertamento medico (e così, nella specie, avrebbe dovuto contestare le conclusioni del c.t.u. sia pure sotto il profilo della loro inutilizzabilità ai fini del riconoscimento della prestazione come conseguenza della maturata decadenza triennale). Il giudice dell’a.t.p. non avrebbe potuto così omologare ma avrebbe dovuto emettere una sentenza il contenuto ed i presupposti della quale l’I.N.P.S., se fosse rimasto soccombente, avrebbe poi potuto portare al vaglio della Cassazione ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., commi 6 e 7.

In mancanza, essendo rimaste le doglianze dell’I.N.P.S. affidate ad una mera eccezione preliminare, il ricorso deve essere considerato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo e sono distratte in favore dell’avvocato che se ne è dichiarato antistatario.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in Euro 2000,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie, accessori come per legge. Spese da distrarsi in favore dell’avvocato anticipatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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