Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22948 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 29/09/2017, (ud. 06/04/2017, dep.29/09/2017),  n. 22948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11198-2016 proposto da:

D.R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 94, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE CARDILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO FRANCESCO LECCISO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA OSPEDALI RIUNITI DI FOGGIA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo STUDIO

LEGALE GREZ E ASSOCIATI, rappresentata e difesa dagli avvocati

SIMONETTA MSTROPIERI, ANGELANTONIO MAJORANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1241/2015 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 27/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/04/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso del 25 febbraio 2009, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali riuniti di Foggia”, quale proprietaria dei locali siti all’interno del “presidio maternità”, concessi in godimento a D.R.G. per la gestione dell’esercizio commerciale di un Bar, in virtù di contratto del 9 febbraio 1998 e di una scrittura integrativa del 15 giugno 1998, ha chiesto la condanna della resistente al pagamento dei canoni non pagati, dal dicembre 2003 all’agosto 2007, oltre interessi e rivalutazione. Ha aggiunto che il conduttore aveva effettuato senza autorizzazione della concedente alcuni lavori di ristrutturazione all’interno dell’immobile che avevano comportato un incremento della superficie calpestabile. In conseguenza di ciò l’azienda aveva rideterminato il canone mensile in Euro 1570, non contestato dal conduttore, il quale, però, aveva dedotto che, sulla base di pregressi accordi verbali, i canoni di locazione richiesti avrebbero dovuto essere portati in compensazione con i costi sostenuti per la ristrutturazione. Con sentenza del 27 maggio 2015 il Tribunale di Foggia ha accolto la domanda, per quanto di ragione, con condanna del D.R. al pagamento della minore somma di Euro 64.094, oltre interessi e spese di lite;

avverso tale sentenza proponeva appello il D.R., con ricorso depositato il 6 luglio 2015, insistendo per l’inesistenza della notifica del ricorso introduttivo, consegnato all’impiegata dell’ufficio del protocollo della stessa Azienda Ospedaliera, contestando che dalla conoscenza acquisita aliunde della pendenza del giudizio, derivasse l’obbligo di costituirsi; chiedeva la rimessione in termini per il compimento delle attività istruttorie; deduceva, infine, l’esistenza di una transazione intervenuta il 23 febbraio 2010:

la Corte d’Appello di Bari, con ordinanza del 23 febbraio 2016 dichiarava inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e ss. rilevando che il resistente aveva scelto di non partecipare all’attività processuale di primo grado;

contro tale decisione della Corte territoriale propone ricorso per cassazione D.R.G. affidandosi a due motivi. Resiste in giudizio l’Azienda Ospedaliero – Universitaria “Ospedali riuniti di Foggia” con controricorso. D.R. deposita memorie ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 139,156 e 160 c.p.c. nella parte in cui il giudice di primo grado ha erroneamente escluso l’inesistenza della notifica, in favore della semplice nullità, conseguentemente, sanata dal raggiungimento dello scopo dell’atto. Al contrario, la notifica sarebbe inesistente, non potendosi configurare un collegamento tra chi riceve l’atto ed il reale destinatario. Nel caso di specie la notifica è stata ricevuta dall’impiegata addetta all’ufficio protocollo della Azienda Ospedaliera e, quindi, da un soggetto riferibile allo stesso ricorrente con la conseguenza che non è ravvisabile l’ipotesi della conoscenza dell’atto come “potenziale sviluppo dell’attività il ritualmente posta in essere dall’ufficiale notificante”, mentre tale conoscenza potrebbe derivare solo da fatti accidentali esterni e autonomi. Nel caso di specie sarebbe irrilevante che D.R.G. conoscesse l’esistenza dell’atto notificato e del relativo giudizio, avendo certamente ricevuto la lettera dell’Azienda Ospedaliera del 16 novembre 2009, sottoscritto la transazione del 2 marzo 2010 e ricevuto gli atti di notifica dell’interrogatorio datati 14 aprile e 7 luglio 2011;

con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 162 e 294 c.p.c. rilevando che, se anche il resistente si fosse costituito immediatamente, dopo aver appreso della pendenza della lite (a seguito della lettera del 16 novembre 2009, citata), la costituzione sarebbe stata, comunque, tardiva e non gli avrebbe consentito di formulare idonei mezzi di prova, peraltro preclusi dal mancato accoglimento della richiesta di rimessione in termini;

quanto al primo motivo, premesso che la questione è manifestamente infondata in quanto il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640604 – 01) la doglianza è inammissibile per difetto di decisività, non avendo il ricorrente precisato il concreto pregiudizio subito dal mancato riconoscimento dell’insistenza della notifica del ricorso, in luogo della nullità della stessa (Cass. 12/12/14 n. 26157). Avrebbe dovuto documentare di avere formulato mezzi di prova ritenuti tardivi dal Tribunale riferiti alla questione della dedotta autorizzazione all’espletamento di lavori di ampliamento;

analoghe considerazione riguardano il secondo motivo, essendosi il ricorrente limitato a richiedere la rimessione in termini, senza documentare di avere evidenziato, con la prima difesa, le attività concretamente precluse. Inoltre, la richiesta di rimessione in termini avrebbe potuto essere favorevolmente valutata se il ricorrente si fosse costituito in giudizio per l’udienza del 7 gennaio 2010, essendo pacifico che lo stesso era a conoscenza dell’esistenza del giudizio, già dal mese di novembre del 2009. Al contrario il D.R. ha scelto di non partecipare al giudizio, costituendosi al termine dell’attività istruttoria richiedendo la rinnovazione di tale attività;

nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., infine, parte ricorrente deduce che avrebbe indicato, non nel corpo del motivo, ma nella premessa del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 3, la propria intenzione di eccepire la compensazione attesa la esistenza di un presunto accorto finalizzato alla compensazione del credito. La questione destituita di fondamento in quanto esaminata nel merito dal Tribunale, che l’ha rigettata per assenza di prova, in quanto il ricorrente non avrebbe indicato i mezzi di prova richiesti e dichiarati tardivi;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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