Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22947 del 13/09/2019

Cassazione civile sez. II, 13/09/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 13/09/2019), n.22947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13554/2015 proposto da:

B.A., rappresentato dall’avvocato BARBARA BUFFONI;

– ricorrente –

contro

IL MAX DI P.M., in persona del Titolare,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELA CODECA’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 786/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 13/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/02/2019 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto, per quel che qui residua d’utilità, che la Corte d’appello di Bologna confermò la sentenza di primo grado, su altri punti riformata, nella parte in cui aveva rigettato la domanda di B.A., con la quale era stato chiesto condannarsi P.M., titolare della ditta Il Max, a risarcire i danni causati da infiltrazioni di acque meteoriche, provenienti dalla copertura dell’appartamento, verificatesi durante il corso dei lavori di ristrutturazione del tetto dell’edificio e nella parte in cui aveva accolto la domanda riconvenzionale per il pagamento del compenso, pur limitato dalla Corte d’appello alla metà, dovendosi l’altra metà imputare al proprietario dell’altro appartamento posto all’ultimo piano;

ritenuto che B.A. propone ricorso, corredato da tre motivi di censura, ulteriormente illustrati da memoria, avverso la decisione di secondo grado e che P.M. resiste con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 1655 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo quanto segue:

– a mente dell’invocata norma l’appaltatore, agendo in autonomia, risponde anche nel caso in cui appronti opera non idonea per difetto progettuale o per essersi attenuto a indicazioni del committente non conformi alla regola dell’arte;

– l’ipotesi che egli abbia agito quale nudus minister del committente costituisce fattispecie eccezionale, la quale deve trovare conferma in una prova rigorosa;

– prova che nel caso era mancata, in quanto non era rimasto dimostrato, scrive il ricorrente, che (pur ove la indicazione di salvaguardare provvisoriamente nel corso dell’effettuazione dei lavori la copertura con la apposizione di teli in plastica fosse provenuta dal B. e che l’appaltatore avesse “manifestato il suo dissenso (e fosse stato) indotto dal committente stesso ad eseguire le direttive ricevute”), “Il Max abbia mai informato il Sig. B. delle conseguenze pregiudizievoli dell’uso del nylon” e che “la Il Max sia stata costretta a proseguire eseguendo le istruzioni del Sig. B.”; la testimonianza valorizzata dalla sentenza, soggiunge il B., era utile solo a dimostrare la “mera prospettazione al committente di una soluzione tecnica alternativa e non necessaria, e null’altro”;

ritenuto che con il secondo motivo il B. prospetta violazione dell’art. 2697 c.c., a riguardo dell’accoglimento della domanda riconvenzionale, il cui fondamento la Corte d’appello rinviene nella prodotta documentazione, mentre, per contro, l’appaltatore non aveva in alcun modo provato l’effettuazione di lavori extra-contratto, inoltre il computo metrico era stato contestato dal B.;

ritenuto che con il terzo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, a riguardo della corresponsione di pagamenti, affermandosi, in particolare, che la sentenza non aveva preso in esame quanto dedotto in sede di comparsa di costituzione e risposta dal P., alla pagina 2, righi 2-4. “la convenuta spiega in questa sede domanda riconvenzionale, dandosi atto del solo avvenuto pagamento della fattura n. (OMISSIS) per l’importo di Lire 8.500.000”;

considerato che il primo motivo è inammissibile in ragione di quanto segue:

– la sentenza d’appello disattende la tesi dell’odierno ricorrente sulla base di due autonome rationes decidendi:

a) “le problematiche derivanti dalle infiltrazioni erano dovute ad una precisa scelta esecutiva dei committenti, che non veniva in alcun modo ad incidere sulla validità del progetto dell’opera, che era stata correttamente eseguita”, cioè, in altri termini, non ci si doleva di un’opera viziata o, comunque, non a regola d’arte, ma di un fatto dannoso dipendente dalla scelta di proteggere con l’apposizione di fogli di nylon la copertura sommitale durante il corso dei lavori, che ne avevano imposto il temporaneo svellimento;

b) l’appaltatore aveva agito da nudus minister del committente;

– il ricorrente, come si è visto, censura solo la seconda;

– mancando una puntuale spendita impugnatoria di tutte le rationes decidendi, il punto deciso è divenuto intangibile e, pertanto, impermeabile al giudizio di cassazione (cfr., fra le tante, da ultimo, S.U., n. 7931 del 29/3/2013, Rv. 625631; Sez. L., n. 4293 del 4/3/2016, Rv. 639158);

considerato che il secondo motivo è inammissibile, limitandosi a ripudiare il risultato al quale giunge la sentenza impugnata, senza efficacemente confrontarsi con la motivazione, che ne è posta a fondamento; risulta, infatti, insondabile la ragione per la quale la predetta sentenza sarebbe viziata avuto riguardo alla valutazione delle prove offerte dall’appaltatore, al fine di dimostrare la fondatezza della di lui domanda riconvenzionale, apparendo utile specificare che:

a) il difetto di specificità permea il motivo al vaglio, la cui critica finisce per evocare un’impropria revisione devolutiva, incompatibile con il giudizio di legittimità, critica che si pasce del generico riferimento a pretese emergenze processuali, non portate alla conoscenza di questa Corte nei modi contemplati dall’art. 366 c.p.c., n. 6;

b) è appena il caso di soggiungere che la denunzia di violazioni di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, invece occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente;

considerato che il terzo motivo merita di essere accolto:

– non è contestata l’esatta riproduzione da parte del ricorrente della frase estrapolata dalla comparsa di costituzione e risposta dell’odierno resistente (cfr. pag. 22 del controricorso);

– la sentenza non dà mostra di avere raggiunto il proprio convincimento, pur tenuto conto della riportata espressione, che per il ricorrente avrebbe natura confessoria e niente affatto per il resistente;

considerato che, pertanto, la sentenza deve essere cassata con rinvio, devolvendosi al Giudice del rinvio anche la statuizione sul regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibile il primo e il secondo, cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna, altra sezione.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2019

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