Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22946 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 21/10/2020), n.22946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6985/2016 proposto da:

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Antonio Bosio n. 2, presso lo studio dell’avvocato Massimo Luconi,

che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Sasriv S.p.a., in persona del liquidatore pro tempore, Finmar S.p.a.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, M.A.,

in proprio, elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Mazzini n. 27,

presso lo studio dell’avvocato Giovan Candido Di Gioia, che li

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 809/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 17/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2019 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e del primo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale con

l’accoglimento del secondo motivo dello stesso ricorso;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato

Giovan Candido di Gioia che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale, accoglimento dell’incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza 809/2015 de117.12.2015 la Corte d’Appello di Salerno ha definito gli appelli di entrambe le parti avverso la decisione che in primo grado, accogliendo la domanda di Sasriv s.p.a., Finmar s.p.a. e M.A. – la prima quale debitore principale, gli altri quali garanti – aveva pronunciato la condanna della Banca Monte dei Paschi di Siena a rimborsare in favore dei medesimi le somme indebitamente percette a titolo di interessi ultralegali ed anatocistici relativamente ai rapporti di conto corrente (OMISSIS) e di conto anticipi su merci (OMISSIS) già intrattenuti dalla Sasriv con la banca.

1.2. Pronunciando sull’appello principale di quest’ultima, la Corte distrettuale, in parziale accoglimento di esso, ha proceduto a riformare la decisione impugnata nella parte in cui questa aveva omesso di pronunciare sulla domanda riconvenzionale intesa a conseguire la condanna degli obbligati in garanzia all’estinzione del saldo debitorio maturato in relazione alle predette posizioni, mentre ha respinto il motivo di appello parimenti inteso a conseguire riforma di detta decisione, confermata per il resto in ogni altra statuizione, nella parte in cui questa aveva esteso la propria cognizione anche al diverso rapporto di conto corrente (OMISSIS) su cui era stato traslato a seguito della sua chiusura il predetto saldo negativo. A ciò il prefato decidente si è indotto, da un lato, prendendo atto della natura autonoma della garanzia prestata e della conseguente inopponibilità delle nullità in punto di interessi non essendo le relative pattuizioni assolutamente vietate dalla legge, di modo che il giudice di primo grado “avrebbe dovuto rispondere alla domanda specificatamente svolta in via riconvenzionale dalla banca”; dall’altro, considerando la “sostanziale unitarietà del rapporto banca/cliente a mezzo di un unico rapporto correntizio, sia pur integrato, al suo interno da più conti ausiliari”, escludendo per contro “che l’accensione di un rapporto di conto corrente ausiliario avesse mutato la soggettività del rapporto correntista, che rimaneva inalterata in capo alla Sasriv come debitore principale”.

1.3. Rigettando l’appello incidentale la Corte distrettuale si è invece data pensiero di spiegare, nell’ordine, che la doglianza in punto di commissione di massimo scoperto – di cui il primo giudice si era limitato a conteggiare gli effetti solo ai fini della capitalizzazione degli interessi su base annua – era rimasta indimostrata, avendo “l’appellante incidentale prodotto in atti solo gli estratti conto e non anche i contratti riferiti al rapporto in argomento, di cui esiste una copia assolutamente illeggibile solo nella produzione di parte avversa”, senza offrire perciò il minimo indizio sull’aggravio che ne era derivato alle poste passive e senza consentire di accertare se la relativa previsione fosse stata inserita o meno nel contratto; che la doglianza in punto di interessi ultrasoglia – denegata dalla decisione impugnata in ragione di quanto accertato dal CTU “secondo cui la banca non si sarebbe discostata dalle previsione della L. n. 108 del 1996” – non era accompagnata da un motivo specifico, non indicando l’appellante “le ragioni per le quali la quantificazione della misura degli interessi operata dal giudice di prime cure secondo le verifiche del CTU non sarebbe corretta”; che la doglianza in punto all’omessa pronuncia sull’estensione della domanda anche agli altri conti correnti in essere tra le parti, oltre che non trovare il conforto pretesamente tributatole dalla giurisprudenza di legittimità, prefigurava una “domanda diversa da quella originaria, perchè relativa a differenti rapporti contrattuali con la banca, sicchè la mancata accettazione del contraddittorio sul novum così introdotto, ribadito dalla controparte anche in questa sede, non consente nessuna disamina e correttamente il primo giudice ometteva ogni decisione in merito”.

1.4. Per la cassazione di detta sentenza insistono oggi entrambe le parti, la banca con ricorso principale fondato su due motivi e illustrato pure con memoria e gli intimati con controricorso e ricorso incidentale fondato su quattro motivi, illustrato del pari con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo del ricorso principale, afferente al capo dell’impugnata decisione con cui la Corte d’Appello ne ha confermato la condanna restitutoria pronunciata in primo grado, la banca lamenta la nullità di entrambe le dette decisioni per essere state pronunciate in violazione dell’art. 112 c.p.c..

Sotto una prima angolazione il denunciato vizio sarebbe rilevabile in considerazione del fatto che parte attrice, nell’incardinare il prefato giudizio, si era limitata solo a chiedere che fosse accertato il proprio credito e mai aveva insistito per la condanna della banca all’adottata pronuncia restitutoria, onde “l’aver accolto una domanda attorea di condanna alla restituzione della sorte dei pagamenti degli addebiti illegittimi… fa si che la sentenza qui impugnata sia irrimediabilmente nulla in quanto viziata per ultra e/o extra-petizione”; sotto una seconda angolazione le dette decisioni, si rivelerebbero, invece, viziate, sempre per effetto di ultra e/o extra-petizione, per aver esteso la propria cognizione, oltre che ai rapporti oggetto dell’iniziale domanda, anche al conto (OMISSIS) – costituente un conto di tipo “chiuso” su cui era stato traslato il saldo debitorio altrimenti risultante dopo il suo passaggio a contenzioso – che non era oggetto di domanda ed era stato aperto dopo la chiusura del conto corrente (OMISSIS), onde per questa ragione “i giudici dei precedenti gradi di giudizio avrebbero dovuto pronunciarsi solo sulla domanda limitata da Sasriv s.p.a. al conto corrente n. (OMISSIS) cristallizzandone l’oggetto alla data (9/12/1996) di chiusura sullo stesso rapporto”.

3. Anche il secondo motivo del ricorso principale lamenta, sempre in relazione al medesimo capo della decisione qui impugnata, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Entrambe le richiamate decisioni, estendendo la propria cognizione anche al rapporto (OMISSIS), avrebbero infatti erroneamente ritenuto ripetibile, la somma 1.100.000.000 di Lire, frutto dell’incameramento della garanzia reale prestata dal M. e la posta contabile conseguente alla rettificazione degli interessi per 5.782.429 Lire, e ciò quantunque il pagamento della prima somma fosse stato effettuato da un terzo, sicchè entrambi i decidenti avrebbero dovuto statuire “il difetto di titolarità attiva in capo alla Sasriv del diritto di ripetizione ex art. 2003, oltretutto, per quanto detto al motivo I, neanche espressamente esercitato” spettando invero sia l’azione di indebito che quella di arricchimento “al soggetto che ha effettuato il pagamento e a danno del quale l’arricchimento avuto luogo”.

4.1. Il primo motivo – e, meglio, il primo rilievo con esso operato – è fondato e va pertanto accolto.

4.2. Vale schematizzare in breve i fatti salienti di causa, per come essi risultano dalla narrazione che ne fanno le parti e, segnatamente, la banca ricorrente, e per quanto si evince dalla sentenza impugnata. Orbene la Sasriv è stata legata a Monte Paschi da un contratto di conto corrente ordinario, garantito da Finmar s.p.a. e da M.A., rubricato al n. (OMISSIS) dal 19.3.1982 al 19.12.1996 allorchè la banca, a fronte dell’ingente esposizione debitoria maturata dalla correntista, procedeva a revocare i fidi e, alla sua chiusura, a trasferire il saldo debitorio determinato in 2.079.483.341 lire sul conto d’appoggio – tale lo denomina la stessa ricorrente – n. (OMISSIS), su cui confluivano successivamente, a decurtazione del debito, la rimessa di lire 1.100.000.000 rinveniente dalla realizzazione della garanzia reale rilasciata dal M. e Lire 5.782.429 quale rettifica degli interessi. In questo contesto, ritenendo che la predetta esposizione nei confronti dell’istituto di credito fosse frutto di appostazioni in punto di interessi viziate da nullità per violazione delle norme in materia di tassi ultralegali, anatocismo e tasso soglia, la Sasriv ed i suoi garanti adivano il giudice di primo grado chiedendo che fosse accertata l’entità del loro credito e che ne fosse disposta la compensazione con quello fatto valere della banca. Il Tribunale, decretata la nullità delle pattuizioni in punto di interessi ultralegali e di interessi anatocistici, aderendo alte conclusioni del CTU, accertava il maggior credito degli attori e pronunciava inoltre la condanna della banca a rimborsare costoro delle somme indebitamente percette quantificate nell’occasione in Euro 651.035,72. Nel conseguente giudizio di appello promosso dalla banca questa impugnava entrambe le statuizioni e lamentava, in particolare, che erroneamente la cognizione fosse stata estesa anche al conto corrente (OMISSIS), considerando in tal modo ai fini della determinazione dell’indebito anche le poste a decurtazione del debito maturate in relazione ad esso. La Corte d’Appello nel rigettare lo specifico motivo di gravame si dava cura di dichiarare la sostanziale unitarietà del rapporto banca/cliente rilevando, alla luce della comune prassi bancaria – peraltro avvalorata dalla stessa banca ricorrente allorchè accenna al passaggio a contenzioso del saldo debitorio registratosi sul conto (OMISSIS) – che l’apertura del conto di appoggio era funzionale al mantenimento della posizione debitoria del cliente, “per cui il diverso rapporto di conto corrente, nel caso concreto andava ad inserirsi in un unico rapporto che si svolgeva senza soluzione di continuità”.

4.3. Da questa breve ricognizione il collegio crede di dover ritrarre alcune certezze a conforto della prima allegazione di cui si rende espressione il primo motivo di ricorso, scrutinabile, come è ovvio, in relazione alla sola sentenza qui impugnata.

4.4. La disamina di essa non trova, intanto, ostacolo pregiudiziale nell’eccepita eccezione di giudicato, poichè, seppur nell’illustrazione che ne fa il ricorso, in particolare ove più generalmente si ripercorrono gli antefatti salienti dell’odierna vicenda, il punto non forma oggetto di specifico approfondimento, nondimeno, scorrendo le conclusioni dell’appellante principale, trascritte a pag 7 del ricorso, si apprende che sotto la lett. b) la banca aveva espressamente chiesto: “revocare il capo 2 del dispositivo ove si prevede la condanna della Banca convenuta al pagamento in favore della s.p.a. Sasriv”, in tal modo manifestando senza incertezze di sorta che era suo proponimento impugnare anche la statuizione in punto di condanna pronunciata dal primo giudice.

4.5. Ciò detto non è dubitabile che se la banca, appellando la sentenza di primo grado, non aveva inteso limitare le proprie rimostranze al solo fatto che il pronunciante avesse erroneamente esteso la propria cognizione anche al conto corrente (OMISSIS), ma aveva inteso contestare la determinazione assunta anche in punto di condanna, poichè in tal modo la decisione incorreva nel vizio di ultrapetizione, la circostanza che il giudice dell’impugnazione, benchè investito della corrispondente doglianza allorchè la banca impetrava con il soprascritto motivo di gravame la revoca della predetta determinazione perchè estranea al petitum originario, abbia implicitamente aderito ad essa ed abbia con ciò confermato la decisione di primo grado, andando oltre i limiti della domanda iniziale, rende altrettanto indubitabile che anche la decisione d’appello sia afflitta dal medesimo vizio di quella di primo grado, noto essendo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che “il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori” (Cass., Sez. II, 21/03/2019, n. 8048).

5. L’accoglimento della prima allegazione contenuta nel primo motivo del ricorso in disamina e la conseguente cassazione del capo dell’impugnata decisione che, ricusando il gravame della banca, sia incorsa nel medesimo vizio che affliggeva la pronuncia restitutoria adottata dal primo giudice, caduca alla radice la predetta pronuncia, ma non manca di riverberare i suoi effetti anche in ordine al secondo motivo di ricorso, che resta in ragione di ciò conseguentemente assorbito, stante la subordinazione logica della questione della legittimazione a quella della statuibilità della relativa domanda.

6. Non così è a dirsi, invece, per la seconda allegazione a cui procede il primo motivo di ricorso addebitando alla Corte d’Appello d’aver condiviso l’estensione della cognizione coltivata dalla sentenza di primo anche al rapporto (OMISSIS), giacchè la nullità che inficia la condanna della banca alla restituzione di una certa somma non retroagisce sul modo in cui si sia addivenuti alla sua determinazione. E, dunque, procedendo al suo esame – quando, ben’inteso, questo non si voglia ritenere pregiudizialmente precluso dal fatto che non estrinseca alcuna ragione di critica alla sentenza in esame e reitera i medesimi argomenti esaminati in sede di merito ed in quella sede già disattesi, risolvendosi, perciò, nella mera contrapposizione della valutazione del ricorrente al giudizio espresso dalla sentenza impugnata (Cass., Sez. I, 24/09/2018, n. 22478) – va detto che la censura che vi è contenuta urta contro l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito.

Sulla scorta della chiara ricognizione dei tratti salienti della vicenda, di cui si è dato per l’innanzi conto – confortata pure dalle dirette ammissioni della banca, in particolare in ordine al fatto che il saldo debitorio risultante dal conto (OMISSIS) “veniva trasferito al conto d’appoggio n. (OMISSIS)” (pag. 9 del ricorso) – la sentenza impugnata ha infatti divisato la sostanziale unitarietà del rapporto banca/cliente e l’inerenza del diverso rapporto di conto corrente all’unico rapporto senza soluzione di continuità. Si annota in essa, come si già riportato, la “sostanziale unitarietà del rapporto banca/cliente a mezzo di un unico rapporto correntizio, sia pur integrato, al suo interno da più conti ausiliari”, escludendo per contro “che l’accensione di un rapporto di conto corrente ausiliario avesse mutato la soggettività del rapporto correntista, che rimaneva inalterata in capo alla Sasriv come debitore principale”.

Ne discende, su questo presupposto, che “il bene della vita” rispetto al quale parametrare il vizio denunciato (Cass., Sez. IL 21/03/2019, n. 8048) non è stato immutato dall’impugnata decisione di merito e dunque sotto questo aspetto la corrispondente doglianza risulta priva di consistenza.

7.1. Venendo al ricorso incidentale, con il primo motivo Sasriv e consorti censurano il capo della decisione qui impugnata a mezzo del quale la Corte d’Appello in accoglimento della domanda riconvenzionale della banca, intesa ad escutere le garanzie prestate dal M. e dalla Finmar in favore della debitrice principale, ne ha pronunciato la condanna al pagamento delle somme iscritte a debito della garantita.

Osservano i ricorrenti incidentali che la statuizione in parola “è macroscopicamente erronea perchè, in violazione dell’art. 112 c.p.c., travisa il contenuto della domanda riconvenzionale proposta in primo grado della banca”, posto che, come si evince dal suo stesso letterale tenore, la banca aveva chiesto la condanna solidale della Sasriv e dei garanti “condizionatamente al presupposto che venisse preventivamente accertata e dichiarata l’esistenza in capo alla Banca MPS Spa del credito di Lire 973.700.912″, credito che la sentenza di primo grado aveva, invece, ritenuto insussistente sancendo piuttosto un debito della banca nei confronti della cliente.

7.2. Il motivo è fondato e merita perciò adesione.

7.3. Premesso che nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto, piuttosto, del contenuto sostanziale della pretesa così come desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonchè del provvedimento richiesto in concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta, e di non sostituire d’ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta, va qui ricordato che, secondo una consolidata convinzione di questa Corte, il principio per cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell’ambito dell'”error in procedendo”, vale a dire la violazione di una norma processuale, come nel caso in cui si assuma violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, il divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa rispetto a quello formalmente proposta, o il travisamento del contenuto della domanda proposta con l’atto introduttivo del giudizio (Cass., Sez. III, 10/10/2014, n. 21421). In questo caso, si afferma altrettanto stabilmente, che il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass., Sez. U, 22/05/2012, n. 8077).

7.4. Ora, vagliando la specie in esame alla stregua del riprodotto quadro di giudizio non dubita il collegio dell’errore processuale in cui è caduto il decidente, accogliendo la domanda riconvenzionale della banca quantunque il suo accoglimento fosse stato chiesto “condizionatamente al presupposto che venisse preventivamente accertata e dichiarata l’esistenza in capo alla Banca MPS Spa del credito di Lire 973.700.912”. Poichè nella specie, confermando il deliberato di prima istanza, la Corte d’Appello ha accertato non già che la banca fosse creditrice nei confronti della correntista, ma piuttosto che essa fosse debitrice nei confronti di questa, è di tutta evidenza che la decisione così adottata si pone in urto con il testuale tenore della domanda, postulando l’accoglimento di essa l’esistenza di un bene della vita (il credito della banca) viceversa nella specie incontrovertibilmente smentita dalle altre risultanze processuali.

Ne risulta perciò la violazione del richiamato principio enunciato dall’art. 112 c.p.c. e l’impugnata decisione, in accoglimento della relativa doglianza, va per questo conseguentemente cassata.

8.1. Con il secondo motivo del proprio ricorso i ricorrenti incidentali lamentano la violazione dell’art. 210 c.p.c., in relazione agli artt. 1421,1418 e 2697 c.c., avendo il decidente del grado, che pur aveva ritenuto la relativa domanda procedibile, respinto la pretesa in punto di commissione di massimo scoperto per difetto di prova, e ciò malgrado si fosse chiesta l’esibizione di copia dei contratti da parte della banca, copia del contratto relativo al conto corrente (OMISSIS) fosse già agli atti e non ne fosse in ogni caso necessaria l’acquisizione in ragione degli accertamenti compiuti dal CTU.

8.2. Il motivo, pur orchestrando una pluralità di rimostranze, persegue il fine unitario di sollecitare questa Corte a rivedere l’apprezzamento probatorio a cui ha proceduto il giudice d’appello, che aveva decretato nella specie il rigetto del motivo di doglianza esternato avanti a sè dai ricorrenti circa il mancato riconoscimento ad ampio spettro degli effetti negativi scaturiti dall’applicazione delle c.m.s. non avendo costoro assolto l’onere probatorio pure su ed essi gravanti. Va da sè che in questa cornice la dispiegata doglianza non è perciò minimamente scrutinabile, costituendo esclusiva prerogativa del giudice del merito procedere all’apprezzamento delle prove secondo il metro del suo prudente apprezzamento e non essendo consentito alla Corte di Cassazione di sostituire, alle valutazioni da lui operate in quella sede, le proprie. Nè per vero, questa conclusione, soffre smentita esaminando singolarmente ciascuna doglianza, vero che la presenza agli atti di copia del contratto priva di interesse i ricorrenti a dolersi del fatto che non ne fosse stata, come asserito, ordinata l’esibizione; che l’illeggibilità del testo di esso concreta un rilievo di fatto ovviamente non redimibile; che, infine, il richiamo agli esiti della CTU non è affatto conducente, essendosi il decidente dato cura di precisare che, seppur di essi si era tenuto conto ai fini della capitalizzazione degli interessi su base annuale, la doglianza restava, nondimeno, priva di ogni “minimo indizio sull’aggravio delle poste passive determinate dalla c.m.s.”.

9. Il terzo motivo del medesimo ricorso – mercè il quale i ricorrenti incidentali censurano il capo dell’impugnata decisione che ne ha rigettato le istanze in punto di interessi ultra soglia e le doglianze in merito alle spese periodicamente addebitate e alla problematica del gioco delle valute, le prime per difetto di specificità del motivo ex art. 342 c.p.c., le seconde per novità della questione ex art. 345 c.p.c.- è inficiato da un pregiudiziale difetto di autosufficienza poichè, da un lato, si astiene dal riprodurre il motivo di appello giudicato privo di specificità dal decidente del grado, onde la Corte non è in condizione di poter apprezzarne l’idoneità ad incrinare il fondamento logico-giuridico della decisione, dall’altro, parimenti, si astiene dal riprodurre la relativa domanda nei termini in cui essa è stata sottoposta al preteso vaglio del giudice di primo grado.

10. Il quarto motivo del ricorso incidentale – inteso a censurare il capo dell’impugnata decisione per non aver esteso la propria cognizione anche agli altri rapporti di conto corrente in essere tra le parti – difetta manifestamente di specificità, risultando del tutto generico dato che esso omette di confrontarsi con le ragioni della decisione sul punto, già richiamate nella pregressa narrativa di fatto, e mette capo ad una mera perorazione priva di critico costrutto.

11. In conclusione va accolto, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo del ricorso principale, risultando inammissibile ogni altra doglianza ivi contenuta e assorbito il secondo motivo di ricorso.

Va parimenti accolto il primo motivo del ricorso incidentale e vanno dichiarati inammissibili i restanti motivi.

Debitamente cassata nei limiti anzidetti la causa va rinviata avanti al giudice a quo per un nuovo giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso principale nei limiti di cui in motivazione, dichiara inammissibile ogni altra diversa doglianza ivi contenuta ed assorbito il secondo motivo del medesimo ricorso; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibili i restanti motivi del medesimo ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Salerno che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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