Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22946 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. II, 04/11/2011, (ud. 04/10/2011, dep. 04/11/2011), n.22946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE MAZZINI 131, presso lo studio dell’avvocato SERRA

IGNAZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURI ERNESTO;

– ricorrente –

contro

P.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA RUBICONE N. 27, presso TESSITORE MARIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato TEDESCHI GIUSEPPE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 146/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 16/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato GIZZI M. con delega depositata in udienza

dall’Avvocato TEDESCHI Giuseppe, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 1993, M.M. conveniva di fronte al tribunale di Nocera Inferiore P.F., onde, previa declaratoria del di lei diritto anche al passaggio sul canale d’irrigazione, ottenerne la condanna alla demolizione del muretto costruito nella parte terminale del canale stesso, nonchè al risarcimento dei danni.

Si costituiva il convenuto, contestando il diritto della M. di accedere al suo fondo per il tramite del cancelletto, con condanna della predetta alla eliminazione del cancelletto stesso, chiedendo altresì la modifica del percorso del canale d’irrigazione lungo la traversa Fantasia; chiedeva quindi il rigetto della domanda attorea.

In esito alla compiuta istruzione, il Tribunale adito, con sentenza del 2001, accoglieva la domanda attorea, con condanna del P. al risarcimento dei danni nella misura di L. 20.000.000, rigettando la riconvenzionale.

Proponeva impugnazione il P., cui resisteva la controparte;

espletata CTU, la Corte di appello di Salerno, con sentenza in data 13.10.2005/16.2.2006, in parziale accoglimento dei gravame disponeva lo spostamento del tracciato del canale, riduceva la misura del disposto risarcimento a Euro 2.000,00 e regolava le spese. Osservava la Corte distrettuale che ilo CTU aveva ritenuto possibile lo spostamento del tracciato del canale come richiesto dal P., rilevando che tale soluzione riduceva la lunghezza del canale stesso e rendeva meno gravosa la servitù; riduceva, secondo equità, l’importo del risarcimento.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi, la M.; resiste con controricorso il P.. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 1068 c.c., comma 2 in quanto la norma de qua richiede, per il trasferimento della servitù in luogo diverso, una maggiore gravosità per il fondo servente e impedimento all’effettuazione di lavori, riparazioni o miglioramenti.

Secondo la tesi della ricorrente, nella specie tali presupposti non sussisterebbero; la sentenza impugnata peraltro esaminando la fattispecie, ha rilevato, con valutazioni di merito, non censurabili in sede di legittimità, che sussisteva nel caso che ne occupa, la maggiore gravosità dell’originario esercizio, determinata dall’apposizione (sopravvenuta) di un cancello, nonchè la eliminazione di un peso che era di impedimento al miglioramento della produttività del fondo servente, determinata dalle nuove tecniche di colture, che comportano uno specifico controllo dell’irrigazione.

Peraltro, devesi anche rilevare che se le considerazioni testè svolte valgono a dimostrare la sussistenza, secondo la valutazione del giudice del merito, ancorata ad elementi di plausibilità e congruità che non ne consentono la censurabilità in questa sede di legittimità, di presupposti richiesti dall’art. 1068 c.c., comma 2 ancora, lo spostamento del locus servitutis consentivano anche un più facile controllo sull’impianto e un utilizzo più intenso dalla casa di abitazione, posta nel fondo servente, non più soggetta a passaggio altrui in un punto vicino ad essa. In conclusione, la valutazione, da parte del giudice del merito, degli elementi di fatto quali ritenuti, per un verso esclude la violazione della norma invocata e, per altro verso dimostra la maggiore aderenza della soluzione adottata alle reciproche necessità dei due fondi e ciò in ossequio al principio secondo cui la servitù deve procurare il minor danno possibile per il fondo servente, consentendo il pieno esercizio del diritto reale corrispondente. Il primo mezzo deve essere pertanto respinto.

Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in ragione della compensazione per due terzi delle spese di lite con addebito al P. del restante terzo; va rilevato che in tema di reciproca soccombenza, il giudice del merito può determinare la attribuzione delle spese in relazione ad una anche implicita, siccome desumibile dal contesto della sentenza, valutazione discrezionale delle posizioni delle parti.

Pertanto la censura come proposta si risolve in una critica ad una statuizione che si basa su di un giudizio di merito ed è pertanto inammissibile in questa sede. In relazione poi alla pretesa erroneità nella determinazione dell’entità selle spese, come statuita da parte della sentenza impugnata, devesi rilevare che risulta violato il principio di autosufficienza del ricorso, atteso che non si specifica quale fosse il valore della controversia e ci si limita a riportare una tabella che non può essere come tele determinante ai fini della individuazione di una erronea liquidazione delle spese, atteso che è carente l’elemento del valore della controversia e comunque non si specifica se le voci riportate in tabelle corrispondano ai minimi od ai massimi tariffari.

In ragione di tanto, il motivo deve essere respinto e, con esso, il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in 2.200,00 Euro, di cui 2.000,00 Euro per onorari, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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