Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22941 del 10/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 10/11/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 10/11/2016), n.22941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1594/2013 proposto da:

S.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLE ACACIE 13, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI

GENIO (c/o CENTRO CAF), rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE

AMATO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

nonchè

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE

DE ROSE, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 864/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 11/07/2012 R.G.N. 1425/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza depositata l’11.7.2012, la Corte d’appello di Salerno, in parziale riforma della statuizione di primo grado, liquidava in Euro 1.200,00 le spese del giudizio di primo grado intercorso fra S.D. e l’INPS, di cui Euro 720,00 per diritti ed Euro 480,00 per onorari), compensando le spese della fase di gravame.

Contro questa pronuncia ricorre S.D. con un motivo, illustrato con memoria. L’INPS ha svolto difese orali in pubblica udienza.

Diritto

Con l’unico motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., della L. n. 794 del 1942, della L. n. 1051 del 1957, art. unico, della tariffa adottata con delibera del Consiglio nazionale forense del 20/2/2002 e approvata con D.M. n. 127 del 2004, nonchè vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la Corte motivato in ordine alla riduzione dei diritti e degli onorari, non specificando le voci di tariffa che non potevano essere riconosciute e non indicando il valore della lite.

Il motivo è inammissibile. Questa Corte invero ha ormai consolidato il principio secondo cui il ricorrente, che in sede di legittimità denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente non soltanto il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla trascrizione delle sue parti rilevanti (così, fra le tante, Cass. n. 17915 del 2010), ma altresì in quale fase del processo esso sia stato prodotto (Cass. n. 19766 del 2008).

Nel caso di specie, viceversa, la ricorrente si è limitata ad asserire che la Corte territoriale avrebbe escluso immotivatamente determinate attività dal calcolo dei diritti e degli onorari, a fronte di una nota spese riportata nello stesso atto di appello, ma non ha chiarito nè se tale nota spese fosse stata depositata nel giudizio di primo grado, nè dove sarebbe attualmente reperibile, e nemmeno ha trascritto e indicato dove si troverebbe l’atto d’appello in cui sarebbe stata riportata.

E’ poi appena il caso di aggiungere che, non essendo stati depositati gli atti e i verbali di causa volti a dimostrare il compimento delle attività riportate nella nota specifica trascritta nel ricorso per cassazione, non è nemmeno dato verificare se sussista la specifica violazione dei minimi tariffari imputata alla Corte territoriale in relazione all’attività difensiva effettivamente svolta.

Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile e la ricorrente, soccombente, va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in difetto di alcuna dichiarazione idonea a giustificare l’esonero ex art. 152 att. c.p.c..

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.200,00, di cui Euro 1.100,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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