Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2294 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. II, 26/01/2022, (ud. 29/09/2021, dep. 26/01/2022), n.2294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26874-2019 proposto da:

E.D., rappresentato e difeso dall’Avvocato VITTORIA LUPI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

nonché contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI ROMA (OMISSIS) – SEZ ANCONA -, PROCURATORE

GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 9896/2019 del TRIBUNALE di

ANCONA, depositato il 27/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2021 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

CHE:

E.D., cittadino del (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso il decreto 27 luglio 2019, n. 9896, con il quale il Tribunale di Ancona, sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, ha rigettato il ricorso da egli proposto. La commissione territoriale di Ancona aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dal ricorrente di protezione internazionale ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 29, comma 1, lett. b, in quanto il richiedente aveva reiterato identica domanda senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo paese di origine (prima la commissione territoriale in data 28 ottobre 2015 e poi il Tribunale di Ancona, con provvedimento 29 giugno 2016, avevano rigettato la domanda di protezione internazionale e il provvedimento del Tribunale di Ancona era stato confermato dalla Corte d’appello di Ancona il 28 agosto 2017).

Resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

Con provvedimento del 1 aprile 2021 questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo in attesa della pronuncia da parte delle sezioni unite sulla questione della rilevanza dell’integrazione lavorativa ai fini della concessione della protezione umanitaria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1. Il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa il motivo del ricorso introduttivo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 29-bis, omessa audizione del ricorrente e omesso avviso circa la possibilità di produrre osservazioni a sostegno della domanda di protezione internazionale reiterata”: il Tribunale non ha considerato la censura fatta valere dal ricorrente con il ricorso introduttivo circa la sua omessa audizione davanti alla commissione territoriale, così come non ha considerato le dichiarazioni rese dal medesimo all’udienza di comparizione svoltasi, innanzi al Tribunale, il 22 maggio 2019.

Il motivo è inammissibile. Come deduce egli stesso, il ricorrente è stato sentito dal Tribunale, audizione che supera l’eventuale omessa audizione di fronte alla commissione, tanto più che la necessità che il ricorrente, già sentito nel primo procedimento, venga sentito nel secondo procedimento (sia dalla commissione che dal Tribunale) è stata esclusa da questa Corte, qualora la nuova istanza sia sostanzialmente fondata sui medesimi presupposti di fatto indicati a sostegno della precedente domanda di protezione (v. Cass. 22875/2020).

2. Il secondo motivo denuncia “violazione degli artt. 738,345,359 e 184 c.p.c.”: il Tribunale di Ancona non avrebbe proceduto in maniera esaustiva all’audizione del ricorrente, così violando la convenzione di Ginevra e il protocollo relativo allo status di rifugiato e la direttiva Europea n. 2004/83/CE, non avendo utilizzato tutti i mezzi a propria disposizione per raccogliere le prove necessarie a sostegno della domanda.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente si limita nel motivo a contestare le modalità di assunzione delle sue dichiarazioni, senza considerare che si trattava di un’audizione – la cui stessa necessità viene esclusa ove i nuovi elementi non siano stati allegati (v. il precedente motivo) – svolta in relazione a una domanda proposta per la seconda volta, domanda circa la quale è onere del richiedente addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo paese d’origine.

3. Il terzo motivo lamenta “violazione di legge, erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione; in subordine, il riconoscimento della protezione sussidiaria, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 14 e 16”: il Tribunale, in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria, non avrebbe considerato la veridicità del racconto del richiedente e il pericolo concreto, in caso di ritorno nel suo paese d’origine, di essere portato in prigione “senza neanche un giusto processo e senza un’accusa a suo carico”.

Il motivo è inammissibile. Il Tribunale, dopo avere svolto in premessa alcune considerazioni sulla situazione del (OMISSIS), ha precisato che nel caso in esame, trattandosi di una domanda reiterata, era necessario che fossero addotti nuovi elementi decisivi per l’accoglimento della domanda che la parte non aveva potuto fare valere nel primo procedimento, nuovi elementi che il Tribunale ha ritenuto non siano stati dedotti e che, nel motivo, il ricorrente non specifica di avere dedotto in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria.

4. Il quarto motivo denuncia “violazione di legge, erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione; in subordine, la concessione di un permesso di soggiorno per motivi di umanità ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 T.U.I.”: in relazione alla protezione umanitaria il decreto impugnato erroneamente sostiene che non sono state allegate situazioni di elevata vulnerabilità e che non si riscontrano motivi umanitari individualizzanti.

Il motivo è inammissibile. Nel provvedimento impugnato, come si è già detto, si afferma che il ricorrente non ha fornito nuovi elementi per aumentare la probabilità di accoglimento della sua domanda e, in particolare, si precisa che il richiedente ha sì dedotto lo svolgimento di attività lavorativa sul territorio nazionale, ma che tale elemento “non costituisce una nuova risultanza”.

E’ vero che poi il Tribunale ha osservato che lo svolgimento di attività lavorativa non aumenterebbe comunque le probabilità di accoglimento della domanda di protezione internazionale, sia nel caso di deduzione di un rapporto a tempo determinato, sia anche ove si deduca l’esistenza di un contratto a tempo indeterminato. Tale affermazione è erronea alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, “occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di avere raggiunto nella società italiana” (così Cass., sez. un., n. 24413/2021).

Si tratta però di una mera digressione estranea alla ratio decidendi, imperniata – come si è detto – sulla mancanza di allegazione di nuovi elementi pure in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, ratio decidendi con la quale il ricorrente non si confronta, limitandosi genericamente a ribadire il proprio diritto a vedersi riconosciuta la protezione umanitaria.

II. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 2.100, oltre a spese prenotate a debito.

Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della sezione seconda civile, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

 

 

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