Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22937 del 13/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 13/09/2019), n.22937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25152-2018 proposto da:

W.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BARONE ANTONIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 06/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa TRICOMI

LAURA.

Fatto

RITENUTO

Che:

Il Tribunale di Napoli ha respinto parzialmente il ricorso per l’impugnazione del provvedimento di diniego della protezione internazionale richiesta da W.M., nato in Pakistan.

Il giudice del merito ha evidenziato, in ordine alla richiesta di protezione internazionale, che il racconto del richiedente non presentava i requisiti minimi di attendibilità, circa la sua appartenenza ad un gruppo integralista, così come la sua conversione dalla religione sunnita alla religione sciita perchè non circostanziata in maniera convincente con specifici riferimenti concreti; ha ritenuto altresì non credibile il timore di essere perseguitato dall’Iman del suo villaggio, per le sue scelte, sulla considerazione che il richiedente si era trasferito in altra zona del Pakistan.

Ha quindi respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, escludendo che potessero ravvisarsi i presupposti richiesti e che in Pakistan vi fosse per il ricorrente il rischio di subire una condanna a morte, torture o trattamenti disumani, o il pericolo di vita o incolumità fisica a causa della violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale.

Ha invece riconosciuto la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, accogliendo sul punto il ricorso.

Il richiedente ricorre con tre mezzi. L’Amministrazione è rimasta intimata.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione

camerale ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorrente censura la decisione del Tribunale: col primo motivo, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,8 e 27, imputandogli di non avere adeguatamente attivato il potere istruttorio officioso necessario a verificare la situazione socio-politica ed economica del Paese di provenienza; col secondo motivo, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 11 e del D.Lgs. n. 25 del 2009, art. 2, per avere errato nel ritenere i fatti narrati dal richiedente inidonei a rappresentare una violazione grave dei diritti umani; col terzo motivo, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), poichè la situazione del Pakistan, a suo dire, vedrebbe alcune zone del Paese connotate da una situazione di violenza indiscriminata.

2. I tre motivi, suscettibili di esame unitario, sono inammissibili.

Giova ricordare che il Tribunale non ha ritenuto attendibile il racconto del ricorrente in merito alle ragioni che lo hanno indotto ad abbandonare il Pakistan, e va rimarcato che su tale profilo della statuizione il ricorrente non si sofferma affatto e non lo censura.

Ciò rilevato, va affermato che i motivi, quantunque prospettino delle violazioni di legge, non si confrontano affatto con le statuizioni impugnate, ma si limitano ad invocare in modo generico l’applicazione delle norme senza illustrare -con riferimento alla concreta fattispecie – in cosa sia consistita la violazione attribuita al giudicante di merito (Cass. n. 5001 del 02/03/2018; Cass. n. 24298 del 29/11/2016).

In realtà gli stessi appaiono intesi a promuovere una rivisitazione dell’apprezzamento di fatto operato dal decidente di merito, nell’auspicio che una nuova interpretazione dei dati salienti della vicenda possa condurre ad un esito conclusivo del giudizio più favorevole di quello fatto segnare dal Tribunale, senza nemmeno puntualmente contestare quanto accertato in fatto dal giudice del merito.

A ciò va aggiunto che il ricorrente vanamente invoca l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente la protezione, desumibile dal D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3, comma 5, in particolare, avendo l’interessato pur sempre l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (art. 3, comma 5, lett. a), solo nel quale caso (e in presenza delle ulteriori condizioni poste dalla norma) è possibile considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, che integra una delle ratio decidendi della sentenza – peraltro non impugnata -, costituisce un apprezzamento di fatto che è riservato al giudice di merito, al quale compete di valutare se le dichiarazioni del richiedente la protezione siano coerenti e plausibili (lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. n. 27503 del 30/10/2018).

Inoltre, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925 del 27/06/2018).

Inoltre il Tribunale ha escluso – sulla base di notizie acquisite da fonti internazionali – che la situazione interna al Paese di origine fosse caratterizzata da violenza indiscriminata in condizione di conflitto armato, condizioni rilevanti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) cit.: si tratta, d’altronde, di una valutazione di fatto, della quale il ricorrente si limita a sollecitare un diverso apprezzamento. 4. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla spese per mancanza di attività difensiva dell’Amministrazione.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2019

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