Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22937 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. II, 04/11/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 04/11/2011), n.22937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2217-2006 proposto da:

C.P. (OMISSIS), (DECEDUTO NELLE MORE)

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso lo

studio dell’avvocato MAGNANO SAN LIO MARCELLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato RANDAZZO GIOVANNI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FRANCOFONTE in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 6, presso lo

studio dell’avvocato VITALE ELIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato RAUDINO ROSARIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 807/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

Depositata il 30/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato MAGNANO SAL LIO Marcello con delega depositata in

udienza dell’Avv. RANDAZZO Giovanni difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria;

udito l’Avvocato PATERNOSTRO Domenico, con delega depositata in

udienza dell’Avvocato RAUDINO Rosario, difensore del resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona, del Sostituto Procuratore Generale dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 4-3-1995 l’ing. C. P. conveniva dinanzi al Tribunale di Siracusa il Comune di Francofonte, chiedendone la condanna al pagamento dei compensi dovuti per la direzione dei lavori di cui alla Delib. d’incarico n. 183 del 1980 e disciplinare del 10-5-1980, nonchè al risarcimento dei danni morali subiti per lesione del decoro e dell’immagine. A sostegno della domanda, l’attore deduceva che, con la citata delibera, aveva ricevuto l’incarico di direzione dei lavori di sistemazione delle acque reflue del Comune di Francofonte, giusta progetto esecutivo approvato dalla Casmez il 16-1-1980; che successivamente aveva appreso che il Comune, con Delib. G.M. del 25 febbraio 1987, aveva conferito il medesimo incarico ad altri professionisti; che aveva più volte vanamente sollecitato alla P.A. la formale consegna dei lavori, manifestando la propria disponibilità e chiedendo di essere messo in condizione di espletare l’incarico ricevuto.

Nel costituirsi, il convenuto contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che i lavori di cui all’originario progetto della Casmez non avevano avuto mai inizio, nè il Comune aveva mai ricevuto per essi alcun finanziamento; che l’amministrazione non poteva liquidare quanto richiesto, mancando le delibere autorizzati ve e i relativi impegni di bilancio; che ogni pretesa economica si sarebbe dovuta indirizzare agli amministratori che avevano approvato la delibera.

In corso di causa l’attore, modificando la domanda iniziale, chiedeva la liquidazione del compenso previsto dall’art. 22 del disciplinare Casmez, richiamato nel disciplinare d’incarico.

Con sentenza non definitiva depositata il 6-12-2001 il Tribunale di Siracusa, ritenendo che nel caso in esame si era verificata l’ipotesi di sospensione definitiva dell’incarico di direzione dei lavori di cui all’invocato art. 22, comma 6 del disciplinare della Casmez, dichiarava che il Comune di Francoforte era tenuto al pagamento in favore del C. del 20% dell’onorario spettantegli per le opere non eseguite. Con separata ordinanza veniva disposta C.T.U. per la determinazione del compenso dovuto.

Il Comune di Francofonte proponeva appello immediato avverso la predetta sentenza.

Con sentenza depositata il 30-7-2005 la Corte di Appello di Catania, in riforma della decisione impugnata, rigettava la domanda attrice.

In motivazione, essa rilevava da un lato che l’art. 22 del disciplinare Casmez presupponeva che i lavori di direzione dei lavori fossero stati iniziati e poi sospesi, laddove nel caso di specie i lavori di sistemazione delle acque reflue del Comune di Francofonte non erano mai stati nemmeno appaltati, e dall’altro che l’attore non aveva fornito alcuna prova riguardo al dedotto danno morale.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il C., sulla base di sei motivi.

Il Comune di Francofonte resiste con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il C. lamenta la violazione dell’art. 22 del Disciplinare della Cassa del Mezzogiorno dell’11-1-1967. Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, la norma in esame, che costituisce una deroga all’art. 10 della Tariffa Professionale per gli ingegneri, trova applicazione in tutte le ipotesi di recesso anticipato da parte dell’Amministrazione non dipendente da fatto del professionista, a prescindere dalla circostanza che quest’ultimo abbia o meno iniziato l’incarico di direzione dei lavori revocato.

Il motivo è infondato.

L’art. 22 del disciplinare Casmez, invocato dall’attore, stabilisce che “… nel caso che l’incarico di direzione dei lavori, per cause non imputabili al professionista incaricato, dovesse essere sospeso in via definitiva, dovrà essere corrisposto al professionista a titolo di piena e definitiva tacitazione di ogni sua prestazione e di ogni spesa ed onere accessorio un compenso pari al 20% dell’onorario spettategli per le opere non eseguite”.

Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, deve ritenersi che la disposizione in esame trovi applicazione nelle sole ipotesi in cui l’esecuzione dell’incarico sia stata già intrapresa e, per qualsiasi causa non imputabile al professionista, ivi compresa l’eventuale revoca da parte del committente, non possa essere portata a compimento. Inequivoche appaiono, al riguardo, le espressioni sospeso in via definitiva e “onorario spettante per le opere non eseguite”, che postulano senza ombra di dubbio che l’esecuzione dell’incarico abbia comunque avuto inizio.

Nel ricorso si rileva che il citato art. 22, nel quantificare l’importo dovuto dall’Amministrazione committente nel caso di recesso anticipato dall’incarico per causa non dipendente dal professionista, rappresenta un corollario e al tempo stesso una deroga della disciplina dettata dalla Legge Tariffa Professionale Ingegneri Architetti n. 143 del 1949, artt. 10 e 18; disciplina in base alla quale, in caso di sospensione per qualsiasi motivo dell’incarico dato al professionista, il committente è tenuto a corrispondere l’onorario relativo al lavoro fatto e predisposto (art. 10, comma 1), con la maggiorazione del 25% (art. 18) e, nell’ipotesi in cui la sospensione non sia dovuta a cause dipendenti dal professionista, altresì a risarcire a quest’ultimo gli eventuali maggiori danni (art. 10, comma 2).

A sostegno della sua tesi circa la non necessità che l’opera professionale abbia già avuto inizio, il ricorrente richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 366 del 2000, nella quale è stato precisato che il lemma “sospensione” dell’incarico previsto dall’art. 10 della citata Tariffa Professionale va interpretato in senso ampio, comprensivo anche della revoca vera e propria.

Dimentica, peraltro il C., che nella precedente pronuncia n. 192 del 1984 lo stesso giudice delle leggi, senza essere smentito sul punto dalla successiva decisione, aveva chiarito che la maggiorazione di compenso prevista dall’art. 18 della Tariffa degli ingegneri ed architetti si riferisce alle ipotesi di incarico parziale, dovute sia alla limitazione originaria dell’incarico (ipotesi contemplata nella prima parte dell’art. 18) che alla successiva revoca o sospensione dell’incarico affidato al professionista (ipotesi configurata nel comma 1 dell’art. 10, richiamato dallo stesso art. 18), e che la scelta del legislatore è diretta a compensare il professionista per lo svantaggio che si riconnette in ogni caso con la parzialità dell’incarico.

Anche la giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di chiarire che l’art 18 della tariffa professionale degli ingegneri e degli architetti prevede in favore del professionista una maggiorazione di compenso per prestazioni parziali, sia che esse dipendano da una limitazione originaria dell’incarico, sia che traggano motivo da un fatto sopravvenuto, riferibile a determinazioni unilaterali del cliente, cosi come accade nell’ipotesi di sospensione dell’incarico, espressamente prevista nel precedente art. 10 (v.

Cass. Sez. 2, 29-11-1995 n. 12349; Cass. Sez. 2, 19-3-1993 n. 3264;

Cass. Sez. 2, 4-8-1979 n. 4540; Sez. 2, 29-12-1975 n. 4242).

Le considerazioni svolte valgono a rafforzare il convincimento di questa Corte secondo cui l’art. 22 del disciplinare Casmez, nel prevedere il diritto del professionista a un “compenso pari al 20% dell’onorario spettategli per le opere non eseguite” per l’ipotesi in cui l’incarico di direzione dei lavori rimanga “sospeso in via definitiva” per cause a lui non imputabili, presupponga, al pari dell’art. 10 della Tariffa Professionale degli ingegneri ed architetti, che vi sia stata una qualche prestazione parziale dell’incarico professionale; e trovi applicazione nei soli casi in cui l’attività del professionista, già iniziata, non possa essere completata per un fatto sopravvenuto, riferibile a determinazioni unilaterali del committente e comprensivo di tutte le ipotesi di anticipata estinzione del rapporto.

2) Con il secondo e il terzo motivo, proposti in via subordinata, il ricorrente denuncia fa violazione dell’art. 22 del Disciplinare Casmez e l’omessa motivazione sul presunto mancato inizio dell’incarico e dei lavori. Deduce che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, il C. si è attivato con solerzia al fine di organizzare il lavoro propedeutico all’espletamento dell’incarico.

Aggiunge che non è vero che i lavori in questione non sono stati appaltati, essendo stato gli stessi, al contrario, successivamente eseguiti, previo espletamento di appalto-concorso, da parte del R.T.I. aggiudicatario, sotto la guida di altri professionisti.

Sostiene, pertanto, che, anche a voler ritenere che l’art. 22 del disciplinare in questione riguardi esclusivamente il caso di direzione dei lavori iniziati e poi sospesi, tale norma dovrebbe comunque ritenersi applicabile alla fattispecie.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Attraverso la formale denuncia di violazione di legge e di vizi di motivazione, il ricorrente mira, in realtà, ad ottenere una ricostruzione della vicenda diversa rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, la quale, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, ha accertato che l’ing. C. non ha mai dato inizio all’attività di direzione dei lavori, e che anzi i lavori di sistemazione delle acque reflue nel Comune di Francofone secondo il progetto della Casmez (richiamato nella Delib. Giunta Municipale n. 183 del 1980, sulla quale il professionista ha fondato il titolo della pretesa azionata) non sono stati mai nemmeno appaltati. In tal modo, peraltro, viene sollecito a questa Corte l’esercizio di poteri di cognizione che non le competono, non potendo i giudici di legittimità procedere ad un nuovo esame degli atti e ad una nuova valutazione delle prove raccolte, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva ai giudici di merito.

3) Analoghe considerazioni valgono in relazione al quarto e quinto motivo, con i quali il ricorrente, denunciando la violazione della L. n. 143 del 1949, artt. 10 e 18 e vizi di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la mancanza di prova del dedotto danno morale.

Anche in tal caso, le censure mosse si risolvono sostanzialmente nella richiesta di una non consentita rivisitazione degli atti, al fine di pervenire a conclusioni diverse rispetto a quelle cui è giunta la Corte di Appello, la quale ha dato atto che l’attore non ha fornito alcuna prova in ordine al dedotto danno morale.

4) Devono essere disattese, infine, anche le doglianze mosse con il sesto motivo in ordine al regolamento delle spese di doppio grado, essendo state tali spese, in ragione del rigetto della domanda attrice, correttamente poste a carico del C., in applicazione del principio della soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c..

5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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