Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22936 del 10/11/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. lav., 10/11/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 10/11/2016), n.22936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30122/2010 proposto da:

D.P.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA G.B. VICO 1, presso lo studio degli avvocati ROBERTO CARLINO e

LORENZO PROSPERI MANGILI, che lo rappresentano e difendono, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LUIGI CALIULO, CARLA D’ALOISIO e LELIO

MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 752/2010 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 11/01/2010 R.G.N. 161/09;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato ROBERTO CARLINO;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

Con sentenza depositata l’11.1.2010, la Corte d’appello di Genova, in riforma della declaratoria d’improcedibilità resa in primo grado, rigettava la domanda di D.P.G. volta al riconoscimento dell’intera anzianità contributiva annuale per i periodi in cui egli aveva lavorato in regime di part-time verticale ciclico.

La Corte territoriale, per quanto qui rileva, riteneva che la pretesa attorea di vedersi distribuita nell’arco dell’intero anno di lavoro la contribuzione versata per i periodi in cui era stata effettivamente resa la prestazione non fosse provvista di base normativa.

Ricorre contro questa statuizione D.P.G. con tre motivi. L’INPS resiste con controricorso.

Diritto

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11 (conv. con L. n. 863 del 1984), e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la circolare emanata dall’INPS n. 246/86, per non avere la Corte di merito ritenuto che la contribuzione versata per i periodi lavorati andasse distribuita nell’arco dell’intero anno lavorativo.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, per come interpretato da Corte Cost. n. 121 del 2006, per avere la Corte territoriale ritenuto che il rapporto di lavoro part-time resti sospeso nei periodi di interruzione della prestazione lavorativa.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte di merito considerato che l’INPS computerebbe per intero, ai fini della maturazione del diritto a pensione, le settimane lavorative dei dipendenti in regime di part-time orizzontale, malgrado essi possano svolgere nell’arco dell’ano solare una prestazione pari o inferiore a coloro che svolgono una prestazione in regime di part-time verticale.

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante l’intima connessione delle censure svolte, e sono fondati.

Va premesso, al riguardo, che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, in tema di anzianità contributiva utile per il conseguimento di prestazioni previdenziali da parte di lavoratori part-time, il tenore letterale del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 4 (conv. con L. n. 389 del 1989), e la sua riproposizione in termini immutati nel D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9,escludono, con la puntuale indicazione che l’ambito disciplinato attiene alla “retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo per i contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale”, la possibile estensione, in via interpretativa, del meccanismo adeguativo ivi previsto all’ipotesi, del tutto diversa e disciplinata dal D.L. n. 463 del 1983, art. 7 (conv. con L. n. 638 del 1983), del sistema di calcolo dell’anzianità contributiva utile per il conseguimento del diritto alla prestazione previdenziale nel settore del lavoro a tempo parziale, la cui legittimità costituzionale è stata valutata positivamente da Corte Cost. n. 36 del 2012 sul rilievo che non è configurabile un criterio di calcolo costituzionalmente obbligato dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale (v. in termini Cass. n. 9039 del 2012).

Ha però precisato questa Corte, sempre con riferimento ai lavoratori part-time, che la questione del minimale contributivo (e in generale quella del numero dei contributi settimanali da accreditare ai dipendenti) è questione distinta dall’anzianità previdenziale tout court e dunque dalla relativa durata, anche ai fini previdenziali, dell’attività lavorativa, che peraltro il nostro ordinamento svincola in più occasioni dall’effettiva prestazione lavorativa ed anche dalla misura dei contributi versati (Cass. nn. 23948 del 2015 e 8565 del 2016): a venire in rilievo, infatti, non è già la questione relativa al numero dei contributi da accreditare al lavoratore in regime di part-time, ma la possibilità che essi, quale che ne sia l’ammontare determinato D.L. n. 463 del 1983, ex art. 7, siano riproporzionati sull’intero anno cui si riferiscono, ancorchè siano stati versati in relazione a prestazioni lavorative eseguite in una frazione di esso.

Tale ultima questione, già decisa da Cass. nn. 23948 e 24647 del 2015 e 8565 del 2016 sulla scorta di CGUE, 10.6.2010, C-395-396/08, Bruno et al., appare in realtà risolvibile – e va risolta – sulla scorta dei principi immanenti nel nostro ordinamento in tema di rapporto di lavoro a tempo parziale. Il canone secondo cui, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, non si possono escludere i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, costituisce infatti una logica conseguenza del principio per cui, nel contratto a tempo parziale verticale, il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta (cfr. in termini Corte Cost. n. 121 del 2006): prova ne sia che ai lavoratori impiegati secondo tale regime orario non spettano per i periodi di inattività nè l’indennità di disoccupazione (Cass. S.U. n. 1732 del 2003), nè l’indennità di malattia (Cass. n. 12087 del 2003), essendo quest’ultima correlata ad una perdita di retribuzione che, nel periodo di inattività, non è dovuta per definizione.

In altri termini, se è vero che il rapporto di lavoro a tempo parziale verticale assicura al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale integrativa della retribuzione nei periodi di pausa della prestazione (così ancora Corte Cost. n. 121 del 2006, cit.), non è meno vero che ciò è logicamente possibile a condizione di interpretare il cit. D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11 (secondo il quale, com’è noto, ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva “inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale” va calcolata “proporzionalmente all’orario effettivamente svolto”), nel senso di ritenere che l’ammontare dei contributi cit. D.L. n. 463 del 1983, determinato ex art. 7, debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi si riferiscono: diversamente, il lavoratore impiegato in regime di part-time verticale si troverebbe a fruire di un trattamento deteriore rispetto al suo omologo a tempo pieno, dal momento che i periodi di interruzione della prestazione lavorativa, che pure non gli danno diritto ad alcuna prestazione previdenziale, non gli gioverebbero nemmeno ai fini dell’anzianità contributiva. E non v’ha dubbio che codesta possibile disparità di trattamento genererebbe sospetti di illegittimità costituzionale ex art. 3 Cost., comma 1, dal momento che, pur potendo concedersi che l’esclusione delle indennità di carattere previdenziale potesse in passato parzialmente giustificarsi in ragione della volontarietà della scelta del tempo parziale e della consequenziale impossibilità di considerare i periodi di pausa come disoccupazione involontaria (così Cass. S.U. n. 1732 del 2003, cit., sulla scorta del D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 1: ma appunto parzialmente, visto che la medesima volontarietà della scelta del tempo parziale non aveva impedito a Corte Cost. n. 160 del 1974 di dichiarare l’illegittimità costituzionale del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 76, che negava l’indennità di disoccupazione ai lavoratori stagionali), l’assenza di tutela previdenziale trova in realtà ben più solido fondamento oggettivo nella natura continuativa del rapporto instaurato inter partes, ciò che adesso risulta confermato dalla sopravvenuta abrogazione della possibilità (già prevista dal cit. D.L. n. 726 del 1984, art. 5) che il lavoratore a tempo parziale si iscriva nelle liste di collocamento durante i periodi di pausa della prestazione (cfr., D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 11, lett. a).

In questo quadro, reputa il Collegio che il richiamo alla giurisprudenza comunitaria da parte di Cass. nn. 23948 e 24647 del 2015 e 8565 del 2016 debba intendersi non già nel senso di considerare la materia de qua direttamente assoggettata alla disciplina di cui alla direttiva n. 97/81/CE (chè anzi la Corte di Giustizia non manca di chiarire che quest’ultima concerne esclusivamente “le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale”: cfr. CGUE, 10.6.2010, Bruno et al., p. 42), bensì nel senso di ricavare (anche) dalla disciplina comunitaria una conferma di quel principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale che, come s’è visto supra, risulta già immanente nell’ordinamento interno ai fini previdenziali.

Pertanto, assorbito il terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA