Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22935 del 13/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 13/09/2019), n.22935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25146-2018 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO BARONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTIRNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALI DI VERONA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa TRICOMI

LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

Il Tribunale di Napoli ha respinto l’impugnazione del provvedimento di diniego della protezione internazionale richiesta da B.A., nato in Bangladesh.

Il Tribunale ha ritenuto, in via preliminare, ammissibile il ricorso. Nel merito ha respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, escludendo che potessero ravvisarsi i presupposti della richiesta atteso che l’allontanamento dal Paese di origine era stato motivato da ragioni economiche e che in Bangladesh non vi era per il ricorrente il rischio di subire una condanna a morte, torture o trattamenti disumani, o il pericolo di vita o incolumità fisica a causa della violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale. Infine, il Tribunale non ha ritenuto che sussistessero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, posto che non era emersa una situazione di particolare vulnerabilità personale. Il richiedente la protezione internazionale ricorre con quattro mezzi. L’Amministrazione è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorrente censura la decisione del Tribunale: col primo motivo, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, imputandole di non avere adeguatamente attivato il potere istruttorio officioso necessario a verificare la situazione socio-politica ed economica del Paese di provenienza; col secondo motivo, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 11 e D.Lgs. n. 25 del 2009, art. 2, per avere errato nel ritenere i fatti narrati dal richiedente inidonei a rappresentare una violazione grave dei diritti umani; col terzo motivo, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), poichè la situazione del Bangladesh, a suo dire, vedrebbe alcune zone del Paese connotate da una situazione di violenza indiscriminata; col quarto motivo, infine, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, per avere il Tribunale mancato di riconoscere l’esistenza dei presupposti della protezione umanitaria senza specifica motivazione.

2. I primi tre motivi, da trattare unitariamente, sono inammissibili.

Il racconto del richiedente in ordine alle ragioni dell’abbandono della terra del Bangladesh risulta concretizzato da una vicenda di vita privata legata a ragioni economiche. D’altra parte, il Tribunale ha escluso – sulla base di notizie acquisite da fonti internazionali – che la situazione interna al Paese di origine fosse caratterizzata da violenza indiscriminata in condizione di conflitto armato.

Ciò rilevato, va affermato che i motivi, quantunque prospettino delle violazioni di legge, non si confrontano affatto con le statuizioni impugnate, ma si limitano ad invocare in modo generico l’applicazione delle norme senza illustrare -con riferimento alla concreta fattispecie – in cosa sia consistita la violazione attribuita al giudicante di merito (Cass. n. 5001 del 02/03/2018; Cass. n. 24298 del 29/11/2016). Si tratta, d’altronde, di una valutazione di fatto, della quale il ricorrente si limita a sollecitare un diverso apprezzamento.

3. Il quarto motivo è inammissibile.

Risulta decisiva in proposito la genericità delle allegazioni svolte in materia dal ricorrente. Il quale si è limitato, in effetti, ad asserire la sussistenza di ragioni ed esigenze di particolare rilevanza (“condizioni di vulnerabilità del ricorrente, pericolo di essere sottoposto a trattamenti inumati e/o degradanti”), senza peraltro entrare nello specifico, ma fermandosi a considerazioni puramente astratte. Questo sta a dimostrare che il ricorrente non ha colto la ragione di rigetto della sua domanda; a fronte della quale egli avrebbe dovuto innanzi tutto specificare in qual modo e in qual senso, invece, l’allegazione dei fatti sintomatici della vulnerabilità era stata compiuta.

Questa Corte, peraltro, ha già avuto modo di osservare che la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria non si sottrae, per sè, all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio (cfr., tra le altre, Cass., 31 gennaio 2019, n. 3016; Cass., 18 aprile 2019, n. 10933).

4. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla spese in assenza dello svolgimento di attività difensive della controparte.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 13 settembre 2019

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