Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22934 del 21/10/2020

Cassazione civile sez. II, 21/10/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 21/10/2020), n.22934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22427/2018 proposto da:

Q.B., rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO

TREDICINE, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PIETRO DELLA VALLE 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO TUCCILLO,

che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1882/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 21/2/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8/07/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Q.B. ha proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 1882/2018 depositata il 21.02.2018, la quale, in riforma della sentenza del Giudice di pace di Napoli, ha dichiarato improcedibile la domanda avanzata dal medesimo Q. nei confronti della Fondiaria Sai S.p.A. (oggi UnipolSai Assicurazioni S.p.A.), per il pagamento di una somma a titolo di competenze professionali relative all’incarico di perito assicurativo svolto per conto della società in riferimento ad un sinistro stradale.

Resiste con controricorso UnipolSai Assicurazioni S.p.a., che eccepisce l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Le parti non hanno depositato le loro memorie nel termine non superiore a dieci giorni prima dell’adunanza in Camera di consiglio, di cui all’art. 380-bis 1 c.p.c..

II. Contro la sentenza resa in primo grado dal Giudice di Pace, la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. propose appello, deducendo la litispendenza, la continenza e la connessione, nonchè la necessità di riunione dei molteplici analoghi giudizi proposti dal Q., ovvero ancora l’improponibilità della domanda in ragione dell’indebito frazionamento di un credito unitario, e comunque l’infondatezza della pretesa.

Dopo aver escluso che la mancata riunione di cause potesse essere oggetto di motivo di gravame, il Tribunale di Napoli accolse l’appello, considerando come, preso atto di un’ordinanza di questa Corte emessa di recente tra le stesse parti e della sentenza n. 4090/2017 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dovesse ritenersi sussistente un “frazionamento del credito”, sanzionabile con la improcedibilità (rectius improponibilità) della domanda, come peraltro accertato anche a seguito della pronuncia da parte del giudice di legittimità di alcune decisioni, che, sempre in merito ai rapporti tra il Q. e la compagnia convenuta, avevano ravvisato l’abusivo frazionamento delle ragioni di credito del primo.

III.1 Il primo motivo di ricorso di Q.B. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 274 c.p.c., per non aver considerato il Tribunale l’orientamento giurisprudenziale sull’ammissibilità della riunione dei procedimenti relativi a cause connesse, anche nel giudizio di legittimità (si richiama Cass. n. 22631/2011).

III.2. Il secondo motivo di ricorso di Q.B. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 111 Cost., in quanto i periti assicurativi, a fronte della natura economica della loro prestazione, esercitata in modo stabile e con struttura organizzativa indipendente dalla impresa assicurativa committente, rientrerebbero nella nozione funzionale di impresa delineata dalla giurisprudenza comunitaria; nè deporrebbe in senso contrario l’esistenza tra le parti di un mandato continuativo, che, ad ogni modo, non eviterebbe che il perito assuma in proprio il rischio imprenditoriale derivante dall’attività peritale svolta.

III.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 2, art. 19 quaterdecies, che ha modificato la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 bis, relativamente all’equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati.

III.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta “l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, oggetto di discussione tra le parti e avente carattere decisivo”. Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il Q. avesse accettato, per facta concludentia, un’offerta di compenso molto inferiore a quello previsto dalle tariffe professionali, essendo tale circostanza già oggetto di espressa contestazione in giudizio, ed ora comunque smentita attraverso la presentazione, in forza dell’art. 372 c.p.c., della documentazione IES dell’anno 2010, dalla quale si evincerebbe che il ricorrente percepiva importi differenti per i vari incarichi affidatigli e mai pari ad Euro 40,00.

III.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la violazione del giudicato implicito delle sentenze n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016 di Codesta Corte.

III.6. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta che sia stata dichiarata l’improponibilità della domanda, sebbene il Giudice di Pace di Napoli con la sentenza n. 19575 del 2016, passata in cosa giudicata, abbia escluso che il ricorrente avesse proceduto ad un abusivo frazionamento del proprio credito, sostenendosi che tale decisione abbia quindi valenza di giudicato esterno vincolante tra le parti.

III.7. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta l’erronea interpretazione dei principi nomofilattici espressi dalle Sezioni Unite nelle pronunce del 15.11.2007, n. 23726 e del 13.02.2017, n. 4090.

IV. Infine, stante il contrasto rilevato tra le sentenze n. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016 – in cui la Suprema Corte si è pronunciata nel senso di negare l’unitarietà dell’obbligazione accogliendo i ricorsi del Q. – e le successive pronunce – in cui il Supremo collegio ha rigettato i ricorsi proposti dallo stesso -, il ricorrente chiede che il ricorso sia trattato in udienza pubblica innanzi alle Sezioni Unite.

V. In via preliminare, deve affermarsi che non sussistono le ragioni, stabilite dall’art. 374 c.p.c., per la rimessione della causa alle sezioni unite per quanto auspicato dal ricorrente. La questione di diritto su cui si incentra il ricorso è stata, piuttosto, già decisa in senso uniforme tra le medesime parti da Cass. Sez. U, 20/02/2020, n. 4315 ed in precedenza dalle ordinanze rese da questa Corte all’esito delle adunanze ex art. 380 bis.1 c.p.c. del 18 ottobre 2017, del 22 marzo 2018 e del 18 giugno 2018, peraltro condividendo il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. U, 16/02/2017, n. 4090.

Sempre via preliminare, deve rilevarsi che è inammissibile la produzione da parte del ricorrente degli identificativi di pagamento e dei moduli IES (documenti attinenti alla fondatezza delle censure e delle tesi prospettate nel ricorso, peraltro formati prima dell’inizio della fase di merito e quindi prima della maturazione delle preclusioni istruttorie), atteso che, nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata.

Il ricorso è, per il resto, del tutto inammissibile.

VI.1. Il primo motivo di ricorso si rivela inammissibile.

Infatti, come rilevato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4315/2020 (intervenuta a definizione di analogo ricorso proposto dal Q.) il motivo di appello del quale il ricorrente si duole non è stato proposto dal medesimo (che non risulta abbia nemmeno impugnato la sentenza del giudice di pace), bensì da UnipolSai, sicchè il ricorrente non è legittimato a dolersi del mancato accoglimento di un motivo di appello altrui.

Peraltro la censura, anche in punto di merito, non supera lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass. Sez. U, 21/03/2017, n. 7155). Il Tribunale di Napoli ha deciso la questione di diritto inerente alla mancata riunione dei giudizi in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del ricorso non offre elementi per mutare tale orientamento. In tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice, e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 06/02/2015, n. 2245; Cass. Sez. 6 – 1, 30/03/2018, n. 8024). L’omessa riunione non rileva nemmeno sotto il profilo dell’art. 151 disp. att. c.p.c., trattandosi di norma non presidiata da espressa sanzione di nullità e la cui violazione può essere prospettata in sede di impugnazione soltanto deducendo il pregiudizio che la mancata trattazione unitaria delle controversie connesse ha causato in termini di liquidazione delle spese, ai sensi del comma 2 di tale disposizione (Cass. Sez. 6 – 3, 10/03/2014, n. 5457).

VI.2. E’ inammissibile anche il secondo motivo, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la considerazione che l’attività del perito assicurativo rientra nell’ambito della nozione comunitaria di impresa non dimostra alcuna specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata (conf. Cass. S.U. n. 4315/2020).

VI.3. E’ inammissibile altresì il terzo motivo. Esso denuncia la violazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 bis (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), inserito dal D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, art. 19 quaterdecies, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172, in tema di equo compenso degli avvocati nei rapporti professionali regolati da convenzioni ed aventi ad oggetto lo svolgimento di attività in favore di imprese bancarie e assicurative. Il D.L. n. 148 del 2017, stesso art. 19 quaterdecies, dispone che della L. n. 247 del 2012, citato art. 13 bis, si applica, in quanto compatibile, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui alla L. 22 maggio 2017, n. 81, art. 1, ovvero ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile.

Il motivo è inammissibile perchè prospetta in cassazione una questione di diritto nuova, limitandosi a trascrivere le norme di legge, senza specificare che la stessa torni immediatamente applicabile al caso di lite e non implichi indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito.

VI.4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile, in quanto si fonda su documenti prodotti, come premesso, in violazione dei limiti di cui all’art. 372 c.p.c., ed invoca, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un nuovo e più favorevole esame del fatto dell’accettazione, da parte del Q., del compenso offerto in importo medio di Euro 40,00 a pratica, fatto preso in considerazione dal Tribunale di Napoli. Il ricorrente assume che l’avvenuta accettazione di tale compenso costituisse circostanza contestata, ma non osserva l’onere, prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente il contenuto saliente dei propri atti difensivi, da cui dedurre l’erronea applicazione del principio di non contestazione.

VI.5 Il quinto motivo è inammissibile in quanto richiama l’efficacia preclusiva asseritamente derivante dal giudicato intervenuto a seguito di alcune precedenti pronunce di questa Corte, di cui, in maniera del tutto generica richiama il numero senza riportare con precisione nè il contenuto delle medesime nè il contenuto delle sentenze di merito sulle quali le stesse sono intervenute.

Inoltre, rileva la circostanza che trattasi di pronunce che hanno disposto la cassazione con rinvio delle decisioni di merito gravate, il che non determina evidentemente l’immediato passaggio in giudicato di queste ultime, senza che nulla venga dedotto in merito alla sorte dei relativi giudizi di rinvio.

VI.6 Il sesto motivo è parimenti inammissibile.

Osserva il Collegio che la sentenza invocata come giudicato, suscettibile di incidere anche sulla decisione del presente ricorso è una sentenza del giudice di pace di Napoli n. 19575/2016 che lo stesso ricorrente riferisce essere stata pubblicata in data 9 giugno 2016, sostenendo tuttavia che sarebbe passata in cosa giudicata solo in data 10 giugno 2018, e cioè successivamente alla pronuncia di appello in questa sede gravata.

Trattasi però di affermazione evidentemente e consapevolmente erronea (il che rileva anche ai fini dell’applicazione della responsabilità ex art. 96 c.p.c.) che è riferibile alla diversa data dell’attestazione di cancelleria relativa alla mancata proposizione di impugnazione avverso tale sentenza, ma che non coincide invece con la data del passaggio in giudicato.

Infatti, atteso che la richiamata pronuncia del giudice di pace è intervenuta su domanda introdotta nel luglio del 2014, nella vicenda trova applicazione il termine di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., quale scaturente dalla riforma della L. n. 69 del 2009, così che, avuto riguardo alla data di pubblicazione, la sentenza è passata in giudicato già nel gennaio del 2017, e quindi ben prima della pronuncia in questa sede gravata, resa dal Tribunale di Napoli il 21/2/2018.

Ciò comporta che debba farsi applicazione del principio (Cass. n. 1534/2018) secondo cui nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla sentenza impugnata, e che in tal ultima ipotesi, infatti, la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., che invece opera per i documenti formatisi già nel corso del giudizio di merito, come appunto nel caso in cui sia invocata l’efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, e che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (conf. Cass. n. 28247/2013; Cass. S.U. n. 13916/2006).

Attesa la possibilità di dedurre l’efficacia di tale sentenza già dinanzi al giudice di merito, la sua produzione in questa sede è preclusa, non rientrando tra i documenti di cui è consentito il deposito ex art. 372 c.p.c., determinandosi quindi l’inammissibilità del motivo stesso.

Peraltro, il motivo risulta altresì inammissibile per difetto di specificità, in quanto la sentenza di cui si invoca l’efficacia di giudicato viene richiamata solo sommariamente, senza una precisa indicazione del suo contenuto e della vicenda sulla quale è intervenuta, il che impedisce di poter anche affermare la sua eventuale portata preclusiva rispetto alla questione in questa sede dibattuta.

VI.7 Anche il settimo motivo è inammissibile.

La decisione del Tribunale di Napoli qui impugnata è conforme a diritto, sulla base del principio enunciato da Cass. Sez. U, 16/02/2017, n. 4090, secondo il quale le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2.

Nel caso in esame, come peraltro confermato anche da Cass. S.U. n. 4315/2020, il Tribunale di Napoli ha accertato l’esistenza di un rapporto negoziale complesso tra la compagnia assicurativa e il ricorrente, in esecuzione di una moltitudine di incarichi per la liquidazione dei sinistri. La regolamentazione e le modalità di svolgimento di tale rapporto risultavano invariate per l’intera durata dello stesso, non risultando alcuna specifica contrattazione in relazione all’affidamento dei singoli incarichi come alla determinazione dei relativi compensi. Quanto al contrario interesse del ricorrente ad una trattazione unitaria, la quale avrebbe dato vita ad un processo difficilmente gestibile e dalla durata non preventivabile, trattasi di affermazione che mira a contestare l’apprezzamento in fatto operato dal giudice di merito, che ha ritenuto che ricorressero i presupposti per l’abusivo frazionamento del credito e l’assenza di elementi che impedissero la trattazione unitaria delle varie domande separatamente proposte.

Quanto invece alla dedotta violazione dell’art. 101 c.p.c., valga osservare che la questione dell’abusivo frazionamento risultava posta all’attenzione del giudice da una specifica deduzione della controparte del Q., il che esclude che si tratti di questione rilevata d’ufficio, per la quale sia invocabile la norma de qua.

Quanto alla generica prospettazione di interesse alla tutela processuale frazionata facendo riferimento al “rischio di prescrizione” (peraltro scongiurabile già mediante costituzione in mora, ex art. 2943 c.c., comma 4), occorre rilevare che lo stesso è dedotto senza specificare, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nè quando tale interesse fosse stato esplicitato nel corso del giudizio di merito, nè quali elementi fossero stati dedotti a sostegno del rilievo (decorrenza del termine di prescrizione e relativa scadenza in riferimento alla singole prestazioni oggetto della molteplici cause).

Nè va trascurato che la sentenza impugnata ha altresì rilevato che per effetto di numerose sentenze, sia di merito che di questa Corte, intervenute tra le medesime parti ed aventi ad oggetto la questione dell’abusivo frazionamento del credito, fosse intervenuto un giudicato esterno, circa l’accertamento dell’abusività del frazionamento del credito vantato del ricorrente, affermazione questa che non risulta essere stata oggetto di una specifica censura nel motivo in esame.

VII. Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza in favore della controricorrente, nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Considerata la palese inammissibilità e la manifesta infondatezza dei motivi, il Collegio ritiene che la condotta processuale del ricorrente (che anche dopo la pronuncia a sè sfavorevole delle Sezioni Unite ha continuato a coltivare il ricorso senza confrontarsi con le argomentazioni delle stesse Sezioni Unite) sia connotata da colpa grave, tale da integrare un “abuso del processo” (secondo la nozione enucleata da Cass. S.U. n. 22405/2018; v. anche Cass. n. 29462/2018; Cass. n. 10327/2018; Cass. n. 19285/2016) per il quale va comminata la sanzione prevista dall’art. 96 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis, mediante la condanna del Q. al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controricorrente (in misura parametrata in maniera di poco superiore all’importo delle spese di lite liquidate in favore della controparte).

VIII. Non deve qui provvedersi sull’istanza di revoca dell’ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato avanzata dal Pubblico Ministero, potendosi a tal fine fare rinvio al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4315/2020, a mente del quale detto potere nel giudizio civile spetta, per il giudizio di cassazione, al giudice dl rinvio ovvero – in mancanza di rinvio – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato, e ciò avvalendosi della conoscenza della decisione del giudice di legittimità a seguito della trasmissione disposta ex art. 388 c.p.c..

IX. Pur risultando il ricorrente Q.B. ammesso in via provvisoria al patrocinio a spese dello Stato in forza di Delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, e non essendo in questa sede possibile la revoca, trattandosi di decisione che compete al giudice di merito, deve qui darsi unicamente atto della sussistenza delle condizioni – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – per l’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, ancorchè l’effettiva debenza sia condizionata alla sussistenza dell’obbligo di versare il contributo unificato iniziale, anche quando il mancato versamento sia legato ad una causa successibile di venir meno, come nel caso di revoca dell’iniziale ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. Sez. U. n. 4315/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; condanna Q.B., ai sensi dell’art. 96 c.p.c., u.c., al pagamento in favore di UnipolSai Assicurazioni S.p.A. della ulteriore somma di Euro 1.000,00;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020

 

 

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