Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22933 del 04/11/2011

Cassazione civile sez. II, 04/11/2011, (ud. 21/03/2011, dep. 04/11/2011), n.22933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24851-2005 proposto da:

PROV. AREZZO IN PERSONA DEL VICE PRESIDENTE ING. B.

A. IN TEMPORANEA ASSENZA DEL PRESIDENTE AUTORIZZATO AL PRESENTE

GIUDIZIO P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato BRIZZOLARI

MAURIZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato MANNESCHI MARCO;

– ricorrente –

contro

R.E. VED. P.G. NELLA SUA QUALITA’ DI EREDE

UNIVERSALE, M.R., BU.OR., C.

E., CA.SI., G.M., F.M.,

S.L., CA.RI., PO.FA., L.

G., D.A., CA.PI., c.

R., MU.RO. VED. CA., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA TRIONFALE 7032, presso lo studio dell’avvocato

GOGGIAMANI DIMITRI, rappresentati e difesi dall’avvocato CORTELLESSA

ADRIANO;

– controricorrenti –

e contro

CO.RO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 843/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/03/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato Brizzolari Maurizio con delega depositata in udienza

dell’Avv. Maneschi Marco difensore della ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Goggiamani Dimitri con delega depositata in udienza

dell’Avv. Corteilessa Adriano difensore dei resistenti che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato in data 9 novembre 1999, C.E., r.c., S.L., P. G., Co.Ro., D.A., Mu.Ro. ved.

Ca., Si., Pi. e Ca.Ri., P. F., Bo.Om., F.M., M. R., L.G. e G.M. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Arezzo la Provincia di Arezzo, chiedendo dichiararsi la esistenza di una servitù non aedificandi a carico dell’appezzamento di terreno di mq. 1680 posto in (OMISSIS), distinto al NCT alla partita 8585, foglio 127, partt. 751 e 753, alienato alla Provincia medesima dalla impresa costruttrice Belvedere s.r.l., dante causa degli attori, in forza di atto di compravendita in data 13 ottobre 1972, rogato dal segretario generale dell’Amministrazione provinciale, a favore degli immobili di proprietà degli attori, cui gli stessi erano pervenuti per frazionamento e vendita dei singoli appartamenti facenti parte della lottizzazione Belvedere. Gli attori chiesero, inoltre, dichiararsi che con l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione ed ampliamento della caserma dei Vigili del Fuoco di (OMISSIS) la Provincia convenuta aveva provocato la diminuzione di valore degli immobili di loro rispettiva proprietà e la riduzione della panoramicità degli stessi, e, conseguentemente, condannarsi la Provincia convenuta al risarcimento dei danni in loro favore.

Secondo gli attori, la realizzazione della palestra dei Vigili del Fuoco sul predetto appezzamento era stata effettuata in violazione del vincolo a non edificare gravante sull’area per destinazione del padre di famiglia operata dalla loro dante causa, impresa costruttrice Belvedere s.r.l., all’atto della suddivisione in lotti nel periodo 1969-1971, vincolo ribadito nel contratto del 13 ottobre 1972, con il quale la soc. Belvedere aveva venduto alla Provincia l’appezzamento in questione al prezzo simbolico di L. 1,00 al mq. …

con l’obbligo di applicare sul terreno stesso il vincolo non aedificandi … .

La domanda fu accolta dal Tribunale adito con sentenza impugnata dalla Provincia di Arezzo.

3. – La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 25 maggio 2005, rigettò il gravame.

Per ciò che ancora rileva nel presente giudizio, con riguardo al motivo di appello attinente alla interpretazione del contratto di compravendita stipulato il 13 ottobre 1972 tra la Belvedere s.r.l. e la Provincia appellante, e, in particolare, della clausola relativa alla servitù in questione, a fronte del rilievo dell’appellante, secondo cui il divieto di edificare non sarebbe stato assoluto, ma limitato alla edificazione a fini privati, essendo altrimenti incompatibile con la finalità di ampliamento della caserma dei Vigili del Fuoco, espressamente dichiarata nel contratto, la Corte di merito negò fondamento alla circostanza, invocata dalla Provincia, che il parere espresso dalla Commissione Edilizia del Comune di Arezzo il 3 marzo 1969 era stato favorevole al progetto di edificazione del lotto 29, sul quale insistevano le proprietà degli appellati, a condizione che il terreno restasse di pertinenza inedificabile in favore dei lotti 20 e 21 “salvo convenzione per opere di urbanizzazione e previo nulla osta del Comando dei Vigili del Fuoco”. Al riguardo, a parte la considerazione che detto parere era un atto meramente preparatorio ed interno, la Corte osservò che il richiamato inciso non valeva ad autorizzare la Provincia alla costruzione della palestra, ma si riferiva evidentemente alla convenzione di urbanizzazione che, insieme alla planimetria, faceva parte del piano di lottizzazione della Belvedere s.r.l..

Nè era esatto che la Belvedere avesse saturato gli standards edificatori dei lotti, e che da ciò sarebbe derivato il vincolo posto, essendo emerso il contrario dagli accertamenti del c.t.u..

Più in generale, il giudice di secondo grado escluse quel conflitto che l’appellante sosteneva sussistere tra il vincolo di inedificabilità e la finalità di ampliamento dichiarata in contratto, rilevando, per un verso, che la servitù non aedificandi è un vincolo giuridico e non urbanistico, ed obbliga a non costruire, senza alcuna limitazione del divieto alle costruzioni private; per l’altro, che la utilizzazione dell’area ai fini del dichiarato ampliamento avrebbe potuto essere realizzata ampliando in altezza la caserma. Del resto, non sarebbe stato possibile ipotizzare ragionevolmente che la Belvedere avesse ceduto 1’appezzamento di terreno alla somma simbolica di L. 1,00 al mq, consentendo alla Provincia dì costruirvi opere pubbliche senza alcun corrispettivo per la diminuzione di valore degli appartamenti da erigere sui propri lotti. La sostanziale gratuità della cessione costituiva in effetti il corrispettivo per la pattuita inedificabilità del terreno.

Quanto alla seconda censura, relativa alla pretesa mancanza nel contratto degli elementi necessari per una valida costituzione del diritto di servitù, osservò in contrario la Corte di merito che sussistevano sia il consenso delle parti, non rilevando che la menzione del vincolo di inedificabilità fosse contenuta nella premessa dell’atto, dovendo i contratti essere interpretati nel loro complesso, sia la individuazione dei fondi rispettivamente dominante e servente, con la indicazione dei dati catastali del terreno gravato della servitù e dei lotti limitrofi dominanti, sui quali insistevano le proprietà degli appellati. Nè alcun rilievo poteva attribuirsi alla circostanza della mancata trascrizione della servitù, costituendo la trascrizione solo una condizione di opponibilità della stessa ai terzi acquirenti del fondo servente. Privo di fondamento fu giudicato anche il terzo motivo, con il quale si sosteneva che nella clausola di apposizione del vincolo a non edificare si potesse tutt’al più ravvisare l’assunzione unilaterale di un obbligo a costituire la servitù da parte della Provincia e il correlato diritto di controparte, peraltro estinto per prescrizione per mancato esercizio ultraventennale. In proposito, la Corte di merito osservò che la costituzione di una servitù volontaria non può avvenire mediante atto unilaterale, essendo necessario il concorso delle volontà dei proprietari dei fondi dominante e servente.

Quanto alle critiche alle valutazioni del c.t.u., mosse con il quarto motivo di gravame, la Corte di merito le giudicò infondate, affermando che egli si era limitato a raccogliere i dati giuridici e fattuali utili senza esorbitare dai limiti del suo incarico, e ritenendo che non potesse accogliersi, in ordine alla determinazione del danno, la richiesta di rinnovazione della c.t.u., non sussistendo la lamentata incongruente utilizzazione di due diversi metodi nella valutazione della diminuzione di valore subita dagli appartamenti degli appellati. Infatti, il c.t.u. aveva, con valutazione esaustiva ed immune da vizi logico-giuridici, determinato detta diminuzione di valore in relazione sia al danno estetico che a quello espositivo, ed aveva poi, chiamato a chiarimenti, spiegato nella relazione suppletiva di aver quantificato il valore di mercato dei singoli appartamenti mediante il criterio del valore comparativo, in applicazione del quale aveva eseguito una indagine di mercato sui valori immobiliari nella zona in questione, con particolare riferimento agli edifici adiacenti e dalle caratteristiche similari.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Provincia di Arezzo sulla base di tre motivi, illustrati anche da successiva memoria.

Resistono con controricorso C.E., R.E. ved.

P., nella sua qualità di erede di P.G., c.R., S.L., D.A., Mu.

R. ved. Ca., Ca.Si., Ca.Pi., Ca.Ri., Po.Fa., B.O. P., F.M., M.F.R., L. G., G.L.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 cod. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. La decisione della Corte di merito si sarebbe basata su di un dato di fatto errato, acriticamente ricavato dalle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., secondo cui la potenzialità edificatoria a disposizione della società Belvedere non sarebbe stata sfruttata interamente, laddove, in realtà, gli indici da valutare non sarebbero stati quelli dello strumento urbanistico generale, ma quelli, più specifici, del piano di lottizzazione, che prevedeva indici diversi ed inferiori ovvero una volumetria definita, come emergerebbe dai pareri dell’Ufficio Urbanistica del 31 agosto e del 19 dicembre 1968. La Commissione Edilizia si sarebbe determinata a rilasciare parere favorevole al progetto di edificazione in considerazione del fatto che la Belvedere proponeva di cedere alla Provincia un’area da utilizzarsi per l’ampliamento dei servizi di protezione civile e, in particolare, della locale caserma dei Vigili del Fuoco. Dunque, la cessione dell’area sarebbe stata in stretta dipendenza dall’assentimento del progetto. In tale ottica, la previsione di un vincolo di inedificabilità avrebbe costituito il presupposto formale per il rilascio della concessione alla Belvedere, il cui intervento non avrebbe potuto essere assentito ove al terreno in questione fossero residuate effettive potenzialità edificatorie a fini privati, per violazione degli indici della lottizzazione. Non vi sarebbe stato ostacolo, invece, alla realizzazione di un’opera pubblica o di interesse pubblico, a presidio del quale la clausola inerente al vincolo di inedificabilità sarebbe stata posta. Il motivo è infondato.

Esso è sostanzialmente volto ad affermare che con il negozio in questione non sarebbe stata costituita una servitù, ma si sarebbe solo evidenziato il vincolo di inedificabilità imposto per consentire l’edificazione privata sulla parte residua del lotto, ed a pervenire alla conclusione che la vendita sarebbe stata una condizione imposta per il rilascio della concessione.

In tal modo, esso ìmpinge nella interpretazione del contratto, risolvendosi nel tentativo di provocare un riesame dell’accertamento, compiuto dai giudici di merito, della comune intenzione delle parti:

attività che questa Corte è autorizzata a svolgere a condizione che risultino violate regole di ermeneutica ovvero che sussistano nel percorso argomentativo del giudice carenze motivazionali.

Sotto il primo profilo, la ricorrente non ha assolto l’onere di indicare specificamente il punto e il modo in cui il giudice si sarebbe discostato dai principi dettati dall’art. 1362 e segg. cod. civ. (v., sul punto, tra le altre, Cass., sentt. n. 12446 del 2006, n. 16132 del 2005, 9504 del 2004).

Dal punto di vista motivazionale, non si ravvisano carenze nè contraddizioni nel ragionamento che ha condotto la Corte di merito al proprio convincimento sulla esistenza della servitù, correttamente desunta dal contenuto dell’atto di cui si tratta, senza tenere conto di documenti provenienti da terzi.

In particolare, la Corte di merito ha ritenuto insussistente la denunciata incompatibilità tra la volontà della Provincia, espressamente dichiarata nel contratto, di ampliare la caserma dei Vigili del Fuoco ed il vincolo, con lo stesso assunto, a non edificare – contrasto che, nella prospettazione della Provincia appellante, attuale ricorrente, sarebbe venuto meno interpretando il vincolo come limitato alla sola edilizia privata, osservando che l’ampliamento della caserma si sarebbe potuto realizzare anche a prescindere da un’attività edificatoria (togliendo così ogni valore di dato ermeneuticamente rilevante alla volontà esplicitata della Provincia di realizzare tale ampliamento), ed inoltre manifestando il convincimento, sulla base delle risultanze della c.t.u., che la società Belvedere non avesse esaurito gli standards edilizi, con conseguente possibilità per la Provincia di utilizzare gli indici per l’ampliamento in altezza della caserma. Ed inoltre, la Corte territoriale ha valorizzato il dato della sostanziale gratuità della cessione, ritenendo ragionevolmente ad esso correlato quello del vincolo dì inedificabilità.

In presenza di una così esauriente motivazione del percorso logico- giuridico seguito per pervenire alla sua conclusione, nessuna censura può essere mossa, sotto il profilo esaminato, alla Corte territoriale. Con la seconda censura si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1058 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la Corte di merito nel rilevare come nel contratto del 13 ottobre 1972 fossero presenti tutti gli elementi necessari per una valida costituzione di servitù, laddove, in realtà, nel contratto non era rinvenibile alcuna inequivoca volontà delle parti in tal senso. L’unica menzione dell’onere di cui si tratta sarebbe, infatti, contenuta nella premessa dell’atto dì acquisto, neppure richiamata nella parte strettamente negoziale. Nè vi sarebbe nel titolo alcuna indicazione del fondo dominante, evincendosi dall’atto solo che l’immobile sul quale non edificare era quello trasferito alla Provincia, e nemmeno sarebbe desumibile dall’atto stesso l’esatto contenuto dell’assoggettamento dell’area acquisita dalla Provincia alla utilità del preteso fondo dominante, nè la natura dell’impegno assunto, se, cioè, si fosse inteso far riferimento ad una servitù prediale o ad un obbligo di natura personale. Del resto, non risultava alcuna trascrizione al riguardo.

Se mai, la clausola in questione avrebbe avuto ad oggetto l’impegno a costituire una servitù: ma il correlativo diritto a pretenderne l’attuazione si sarebbe prescritto. La doglianza è destituita di fondamento.

La Corte di merito ha correttamente ed esaurientemente motivato il proprio convincimento in ordine all’oggetto ed alla natura della pattuizione intervenuta tra le parti, come ricavabile dal tenore testuale dell’atto di compravendita, senza che rilevi la circostanza che il vincolo a non edificare assunto dall’acquirente fosse indicato solo nella premessa dell’atto di acquisto, che, comunque, ne fa parte, ed il cui contenuto, come quello dell’intera convenzione, rappresenta, con la sottoscrizione del contratto, la volontà comune delle parti. Il giudice di secondo grado ha, poi, ritenuto individuabili, sempre sulla base della lettura del contratto, i fondi interessati dalla vicenda, e cioè il fondo servente, identificato con chiarezza nel contratto come quello oggetto della compravendita, e quello dominante, individuato attraverso il rapporto di contiguità tra il primo e la porzione residua dei lotti di cui questo faceva parte.

Quanto, poi, alla circostanza della mancata trascrizione del vincolo, la sentenza impugnata esclude ogni rilievo ad essa sul piano ermeneutico, sulla base della considerazione, tratta dall’esame della giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sent. n. 8448 del 1998) che la trascrizione costituisce solo una condizione di opponibilità ai terzi acquirenti del fondo servente.

Del resto, e conclusivamente, la Corte si è dichiaratamente attenuta, nella interpretazione del contratto, al consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale nei contratti di diritto privato stipulati da un ente pubblico, la volontà negoziale deve essere tratta unicamente dalle pattuizioni intercorse tra le parti contraenti e risultanti dal contratto tra esse stipulato, interpretato secondo i canoni di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., senza che possa farsi ricorso alle deliberazioni dei competenti organi dell’ente, le quali attengono alla fase preparatoria e non hanno alcun valore di interpretazione autentica o ricognitivo delle clausole negoziali (v., sul punto, Cass., sentt. n. 26047 del 2005, n. 11247 del 2002). Con il terzo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ., nonchè omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Corte di merito, nel confermare la decisione di primo grado anche in ordine al quantum, aveva recepito le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. senza minimamente tenere conto delle argomentazioni svolte dalla Provincia con riguardo sia al punto di vista estetico sia a quello espositivo ed alla mancata motivazione circa l’applicazione delle percentuali di deprezzamento degli appartamenti degli appellati.

La doglianza è immeritevole di accoglimento. La sentenza impugnata ricostruisce analiticamente i criteri adottati dal c.t.u. nella valutazione della diminuzione di valore subita dalle unità immobiliari degli appellati (tra l’altro, proprio con riferimento al danno estetico ed a quello espositivo), e le conseguenti valutazioni, condividendole. Nessuna censura di acritica adesione alle conclusioni del consulente tecnico può, pertanto, essere mossa, sotto tale profilo, alla Corte di merito, le cui valutazioni, sul piano del merito, si sottraggono ad ogni sindacato di legittimità, siccome correttamente ed adeguatamente motivate.

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del principio della soccombenza, le spese del giudizio, che si liquidano come in dispositivo, devono essere poste a carico della Provincia ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4200,00, di cui Euro 4000,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 21 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2011

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