Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22927 del 13/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/09/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 13/09/2019), n.22927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4603 – 2018 R.G. proposto da:

ALI’ s.p.a. – c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, ALI’ IMMOBILIARE s.r.l. (società

unipersonale) – c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in Roma, al

Largo Generale Gonzaga, n. 2, presso lo studio dell’avvocato

Alessandro Pazzaglia che disgiuntamente e congiuntamente

all’avvocato Marco Salmazo ed all’avvocato Barbara Rabacchin le

rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del

ricorso.

RICORRENTI

contro

MAGAZZINI Z. di Z.E. & C. s.n.c. – c.f.

(OMISSIS) – in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, al viale di Villa Grazioli, n.

29, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Berti che disgiuntamente

e congiuntamente all’avvocato Aldo Laghi ed all’avvocato Lucia

Mattarollo la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in

calce al controricorso.

CONTRORICORRENTE

e

B.C. – c.f. (OMISSIS) – BR.GI. – c.f. (OMISSIS) –

G.A. – c.f. (OMISSIS) – S.M. – c.f. (OMISSIS) –

V.A. – c.f. (OMISSIS) – (tutti in qualità di ex soci della

“Servizi Gestionali” s.r.l.)

INTIMATI

avverso la sentenza n. 1331 dei 16.5/28.6.2017 della corte d’appello

di Venezia;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2019

dal consigliere Dott. Abete Luigi.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato in data 18.6.2009 la “Alì Immobiliare” s.r.l. e la “Alì” s.p.a. citavano a comparire dinanzi al tribunale di Padova la “Magazzini Z. di Z. Efrem & C.” s.n.c..

Esponevano che, alla stregua degli esiti della c.t.u. svolta in altro giudizio che le opponeva alla collettiva convenuta, avevano riscontrato che tal ultima società occupava indebitamente porzioni dei mappali, ubicati nel Comune di (OMISSIS), n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) di proprietà di esse attrici.

Chiedevano che la società convenuta fosse condannata al rilascio delle porzioni indebitamente occupate, al ripristino dello status quo ante ed al risarcimento dei danni.

Si costituiva la “Magazzini Z. di Z. Efrem & C.” s.n.c..

Instava per il rigetto dell’avversa domanda. In via riconvenzionale chiedeva – tra l’altro – accertarsi e dichiararsi l’intervenuto acquisto da parte sua per usucapione delle porzioni dei mappali n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) del foglio (OMISSIS).

Il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.n.c. – fallimento da cui la s.n.c. convenuta aveva acquistato – chiamato in causa, non si costituiva e veniva dichiarato contumace.

Espletata c.t.u., con sentenza n. 3908/2014 l’adito tribunale rigettava le domande attoree e dichiarava che la società convenuta aveva acquistato per usucapione il diritto di superficie sulle porzioni dei mappali n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) del foglio (OMISSIS), di cui le attrici avevano domandato il rilascio.

Proponevano appello la “Alì Immobiliare” s.r.l. e la “Alì” s.p.a..

Resisteva la “Magazzini Z. di Z. Efrem & C.” s.n.c..

Non si costituivano e venivano dichiarati contumaci la “Assuntore” s.p.a. – assuntrice del concordato fallimentare della “(OMISSIS)” s.n.c. – e la “Servizi Gestionali” s.r.l., socio della “(OMISSIS)” s.n.c..

Con sentenza n. 1331 dei 16.5/28.6.2017 la corte d’appello di Venezia rigettava il gravame e condannava le appellanti in solido alle spese del grado.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la “Alì” s.p.a. e la “Alì Immobiliare” s.r.l.; ne hanno chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

La “Magazzini Z. di Z. Efrem & C.” s.n.c. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

B.C., Br.Gi., G.A., S.M. e V.A., in qualità di ex soci della “Servizi Gestionali” s.r.l., non hanno svolto difese.

Le ricorrenti hanno depositato memoria.

Parimenti ha depositato memoria la controricorrente.

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c..

Deducono che la corte di merito ha posto a fondamento della propria decisione circostanze inconciliabili con l’onere probatorio gravante a carico della originaria convenuta, asserita usucapente.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza.

Deducono che la corte distrettuale avrebbe dovuto dar atto della mancata dimostrazione dell’usucapione ventennale.

Deducono invero che la concessione edilizia fu rilasciata – di certo non in sanatoria – alla “(OMISSIS)” s.n.c. in data 21.6.1989, circostanza che di per sè sola avrebbe dovuto indurre al rigetto della domanda di usucapione.

Deducono al contempo che le fotografie allegate alla relazione di c.t.u. ed alle quali la corte territoriale ha ancorato la sua decisione, non solo non possono contrastare le risultanze della concessione edilizia, ma neppure possono “consentire una valutazione sulle esatte dimensioni del fabbricato Z. tale da far comprendere se lo stesso avesse subito o meno un ampliamento di soli 50 centimetri pari alla striscia di cui si discute ai fini della usucapione” (così ricorso, pag. 7).

Deducono infine che la motivazione dell’impugnata sentenza è a vario titolo illogica e contraddittoria.

Si premette che l'”Assuntore” s.p.a., parte appellata (contumace) innanzi alla corte di Venezia, ha veste di litisconsorte necessaria, quanto meno processuale.

Si premette altresì che il ricorso non risulta notificato all'”Assuntore”.

Tuttavia in dipendenza dell’inevitabile rigetto – siccome si dirà – del ricorso a questo Giudice del diritto ben può prescindersi dalla necessità dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 331 c.p.c. ai fini dell’integrazione del contraddittorio (cfr. Cass. sez. un. 23.9.2013, n. 21670, secondo cui la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, può ritenersi anche superflua ove il gravame appaia “prima facie” infondato e l’integrazione del contraddittorio si riveli, perciò, attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento).

Il primo motivo di ricorso va respinto.

Non si giustifica l’assunto secondo cui la corte d’appello non avrebbe dato “il necessario rilievo all’onere probatorio spettante alla (…) Magazzini Z.” (così ricorso, pag. 6).

Difatti la corte di merito, al pari del primo giudice, ha in maniera inappuntabile ancorato la sua decisione alle “complessive risultanze istruttorie” (cfr. sentenza d’appello, pag. 7).

Si tenga conto che nel sistema processualcivilistico vigente opera il principio cosiddetto dell’acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza (cfr. Cass. 29.11.2000, n. 15312; Cass. 8.5.2006, n. 10499, secondo cui il vigente ordinamento processuale è ispirato ai principi del libero convincimento del giudice e di libertà delle prove, in forza dei quali tutti i mezzi di prova hanno pari valore, sicchè nulla esclude che il giudice tragga gli elementi del proprio convincimento dalle risultanze probatorie comunque acquisite agli atti e, quindi, anche da una consulenza tecnica; Cass. 21.5.1979, n. 2945).

Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

Si premette che il mezzo in disamina si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Invero il motivo de quo reca – sostanzialmente – censura del giudizio “di fatto” cui la corte distrettuale ha atteso ai fini del riscontro dell’invocato acquisto a titolo originario (“avrebbe dovuto la Corte d’Appello rilevare che la prova dell’usucapione ventennale non risultava comunque raggiunta”: così ricorso, pag. 6; “è evidente la più che legittima presunzione che le opere di cui si chiede l’usucapione, avrebbero dovuto essere realizzate dopo il 21 giugno 1989 e quindi all’interno del ventennio non consentendo così il maturarsi dell’usucapione”: così memoria delle ricorrenti, pagg. 3 – 4). Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Innanzitutto il giudizio di appello ha avuto inizio nel corso del 2016.

Altresì la statuizione di seconde cure ha integralmente confermato la statuizione di prime cure.

Conseguentemente si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860, secondo cui l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, non si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11.9.2012). Si tenga conto che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 22.12.2016, n. 26774).

In ogni caso si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Per un verso è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte territoriale ha ancorato il suo dictum.

Segnatamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte di Venezia ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Ovvero ha esplicitato che il tribunale aveva condivisibilmente affermato – tra l’altro – che il consulente aveva, a sua volta, “evidenziato che già in data 2/2/1987 la (OMISSIS) s.n.c. avesse presentato istanza di concessione edilizia poi rilasciata con n. 60/80 del 13/5/1988, alla quale risultava allegato un report fotografico, rappresentante la già avvenuta realizzazione a quell’epoca del complesso edilizio al grezzo (…)” (così sentenza d’appello, pag. 7); che “la preesistenza dei manufatti nella dimensione rilevata dal c.t.u. relativa allo sconfinamento ai fini dell’accertamento del termine ventennale, non è basata esclusivamente sulle foto indicate (…) e sulla concessione edilizia rilasciata il 21/6/1989 n. 101/89” (così sentenza d’appello, pag. 7); che “il giudice di prime cure ha evidenziato gli ulteriori riscontri costituiti dai disegni esecutivi allegati alle concessioni edilizie (…), dal verbale del sopralluogo per il collaudo statico” (così sentenza d’appello, pag. 8); che il c.t.u., in sede di risposta alla richiesta del c.t. della convenuta, aveva precisato che, “alla data di presentazione della C.E. 101/89, le varianti ivi indicate erano state realizzate fin dall’epoca in cui era stata definita la pratica dei c.a. e, in ogni caso, fin dal 2/2/1987, data della presentazione della domanda relativa alla C.E. n. 60/1988” (così sentenza d’appello, pag. 7).

Per altro verso è da escludere che la corte di Venezia abbia omesso la disamina del fatto decisivo oggetto della controversia de qua.

Per altro verso ancora l’iter motivazionale che sorregge l’impugnato dictum risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica.

A tal ultimo riguardo due aggiuntive puntualizzazioni si impongono.

In primo luogo, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

In secondo luogo le ricorrenti censurano l’asserita, erronea valutazione delle risultanze di causa (“il fatto che le tavole dei cementi armati corrispondono al progetto allegato non significa nulla perchè non ci dimostra, neppure se quelle tavole dovessero corrispondere a quelle allegate a concessioni precedenti, che le opere fossero prima di allora realizzate”: così ricorso, pag. 9; “il Giudice di merito ha ritenuto espressamente (…) che l’opera sarebbe stata costruita precedentemente e poi sanata con concessione edilizia, il che contrasta vistosamente con i documenti di causa (…)”: così memoria delle ricorrenti, pag. 4).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

In dipendenza del rigetto del ricorso le ricorrenti vanno in solido condannate a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Carlo B., Gianni Br., Adelina G., Maurizio S. e Anna V., in qualità di ex soci della “Servizi Gestionali” s.r.l., non hanno svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione va perciò assunta nei loro confronti in ordine alle spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, le ricorrenti siano tenute a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido le ricorrenti, “Alì” s.p.a. ed “Alì Immobiliare” s.r.l., a rimborsare alla controricorrente, “Magazzini Z. di Z. Efrem & C.” s.n.c., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2019

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