Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22926 del 13/08/2021

Cassazione civile sez. I, 13/08/2021, (ud. 10/06/2021, dep. 13/08/2021), n.22926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26034/2020 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in Roma Via Chisimaio, 29

presso lo studio dell’avvocato Cardone Marilena che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Roma, Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 25/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/06/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con il decreto impugnato il Tribunale di Roma ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da S.B.,nato in Gambia dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il primo giudice ha ritenuto, alla luce della vicenda narrata dal richiedente non sussistenti le condizioni per fruire di alcune delle forme di protezione invocate. Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Gambia, paese di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perché l’allegazione dell’integrazione sociale non era di per sé elemento di valutazione decisivo e posto che il richiedente non aveva neanche allegato una condizione di soggettiva vulnerabilità.

Avverso tale decreto S.B. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui non replica il Ministero degli Interni.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 4, dell’art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per avere il Tribunale ritenuto, con motivazione contraddittoria e tautologica, non credibile la versione dei fatti fornita dal ricorrente senza considerare la situazione attuale del Gambia anche con riferimento alle carceri nonché l’assenza di legami sociali del richiedente ormai fuggito dal Paese da oltre 7 anni.

Con un secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per essere il Tribunale venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria in ordine alla situazione oggettiva del Paese.

Con il terzo motivo si duole della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c. per avere omesso il Tribunale di effettuare la valutazione compariva richiesta dalla legge negando una situazione di vulnerabilità.

Preliminarmente occorre rilevare un vizio della procura alla luce della recentissima decisione delle S.U. nr 15177/2021.

Al riguardo si è affermato che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, ha inteso modificare l’accesso al giudizio di legittimità rispetto alle ordinarie ipotesi contemplate dalla disciplina processuale ordinaria, prevedendo, per le controversie disciplinate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, e da quelle che allo stesso hanno successivamente rinviato, che la procura speciale debba necessariamente ed indefettibilmente essere rilasciata dal ricorrente in epoca successiva alla comunicazione del provvedimento sfavorevole.

La data del rilascio, che, alla stregua della disciplina generale, non costituisce un elemento di forma-contenuto dell’atto di procura, né una condizione di efficacia della certificazione del difensore, nella nuova disposizione assurge a requisito condizionante l’ammissibilità stessa del ricorso per cassazione.

Tale potere certificatorio, conferito ex lege al difensore, non può dunque ritenersi mera declinazione del sistema di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3, e art. 125 c.p.c., comma 3, essendosi demandato al difensore un atto ben distinto ed ulteriore di fidefacienza circa il conferimento della procura posteriore alla comunicazione del decreto impugnato, che si aggiunge all’autonomo potere asseverativo demandato al difensore quanto all’autenticità della firma.

Nessuna altra opzione esegetica è possibile sperimentare rispetto ad un dato normativo introdotto con il D.L. n. 13 del 2017, per il quale era stata prevista, come già ricordato in premessa, una vacatio legis di sei mesi dall’entrata in vigore della legge Minniti, proprio per consentire ai professionisti di adeguare ed organizzare al meglio l’attività defensionale. L’adempimento risulta di chiaro contenuto e di semplicissima attuazione: il difensore, in aggiunta ai poteri certificatori connessi all’autentica della firma della procura, è stato espressamente investito del compito di certificare l’esistenza della data successiva al provvedimento.

Tale autonoma forma di certificazione affidata al difensore non è in alcun modo surrogabile aliunde dal mero contenuto complessivo della procura, anche se essa rechi al suo interno l’indicazione della data del conferimento (laddove priva di sua specifica certificazione) o quella del provvedimento sfavorevole e della sua comunicazione, a pena di svilire il dato testuale ed approdare ad interpretazione volta a realizzare una disapplicazione del testo normativo, così approdando ad un’ermeneusi contra legem, non consentita dal sistema – cfr. Cass., S. U., 30 marzo 2021, n. 8776 -.

Ne consegue che, in aggiunta all’ipotesi in cui manchi la indicazione della data del conferimento della procura successiva alla comunicazione del provvedimento, per la quale non può porsi alcun dubbio in ordine al vizio di inammissibilità inficiante il ricorso, malgrado l’autentica della firma della procura speciale effettuata dal difensore, anche la mera indicazione, nel testo della procura regolata dall’art. 35 bis ult. cit., comma 13, del provvedimento da impugnare non consente, da sola, di ritenere valida la procura autografata dal difensore, se ad essa non è associata l’indicazione della data di conferimento.

A tale ipotesi di inammissibilità si aggiunge poi quella, ulteriore, nascente dai casi in cui la procura rechi sia la firma che la data postuma rispetto al provvedimento impugnato e comunicato, ma il difensore si sia limitato ad asseverare la firma senza compiere alcuna certificazione in ordine alla posteriorità della data.

Non occorre, infatti, che il difensore operi due autonome attestazioni, l’una relativa all’autentica della firma e l’altra alla certificazione della data, risultando sufficiente che anche solo attraverso un’unica asseverazione il difensore dia espressamente conto, anche senza l’uso di formule sacramentali, del fatto che la procura indichi una data successiva alla comunicazione, occorrendo soltanto che risulti in modo esplicito che detto difensore abbia asseverato l’esistenza di una data di rilascio in epoca successiva alla comunicazione del provvedimento. Facendo applicazione dei principi di diritto qui rassegnati, il ricorso per cassazione proposto dal ricorrente è inammissibile.

Nel caso di specie, infatti, la procura speciale rilasciata al difensore in calce al ricorso per cassazione su foglio congiunto con il mero richiamo al procedimento avverso il quale si intende procedere – e senza indicazione, accanto alla firma del conferente della data di rilascio della procura successiva a quella del decreto impugnato -25.6.2020 comunicato in data:3.9.2020-, non contiene alcuna espressione dalla quale risulti che il difensore abbia inteso certificare che la data di conferimento della procura sia stata successiva alla comunicazione provvedimento impugnato – nemmeno risultante dalla procura speciale – recando unicamente l’autenticazione della firma con la seguente formula “e’ vera “.

Non occorre provvedere sulle spese, non essendosi costituita la parte intimata. Quanto al regime del c. d. doppio contributo, queste Sezioni Unite hanno riscontrato l’esistenza di orientamenti diversi, all’interno delle sezioni della Corte, circa il soggetto al quale va imposto il pagamento del doppio contributo previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Le Sezioni Unite con la decisione sopra richiamata hanno ritenuto che il contrasto vada risolto nel senso di individuare nel ricorrente conferente la procura speciale priva di data o della certificazione del suo difensore il soggetto responsabile per il pagamento a titolo di ulteriore contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 202, n. 115, art. 13, comma 1 quater, risultando la procura affetta da nullità e non da inesistenza.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021

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