Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22925 del 10/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 10/11/2016, (ud. 14/10/2016, dep. 10/11/2016), n.22925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11136/2014 proposto da:

ENERGRID SPA, in persona del proprio procuratore speciale e legale

rappresentante pro tempore Dott. G.M., considerata

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato DEBORA LAZZARO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ENERGY TRADING INTERNATIONAL SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1813/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 05/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2016 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito l’Avvocato CLAUDIO FERRAZZA per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Torino, in accoglimento dell’opposizione proposta dalla Energy Trading International (ETI) s.r.l., ha revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dalla Energrid s.p.a. nei confronti della ETI s.r.l. per il pagamento di forniture di gas naturale effettuate in esecuzione di un contratto in vigore tra le parti.

Con la stessa sentenza – per quel che rileva in questa sede – il tribunale ha condannato la ETI s.r.l. al pagamento di una somma largamente inferiore a quella invocata in sede monitoria dalla controparte, disponendo la compensazione in ragione della metà delle spese del giudizio, per la residua metà imposte a carico della ETI s.r.l..

a, Su appello di entrambe le parti, con sentenza in data 5/9/2013, la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’appello principale della Energrid s.p.a. e, in parziale accoglimento di quello incidentale della ETI s.r.l., ha condannate la Energird s.p.a. al rimborso in favore di controparte dei tre quarti delle spese del giudizio di primo grado, compensate per il resto, disponendo infine la condanna della stessa società al medesimo rimborso dei tre quarti delle spese relative al secondo grado di giudizio, anch’esse compensate per il resto.

3. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione la Energrid s.p.a. sulla base di un unico motivo di impugnazione.

4. La ETI s.r.l. non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con l’unico motivo di ricorso proposto, la Energrid s.p.a. censura la sentenza impugnata per violazione di legge, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia concernente la clausola solve et repete e l’inadempimento della ETI Srl.

Osserva al riguardo la società ricorrente come erroneamente la corte territoriale abbia trascurato (al di là degli eventuali errori di calcolo riscontrati a carico della Energrid s.p.a.) il rilievo comunque decisivo dell’accertato inadempimento della ETI s.r.l. nel pagamento dei corrispettivi dovuti, omettendo di riconoscere il ricorso dei presupposti per la risoluzione del contratto e la conseguente insorgenza dell’obbligo della controparte di provvedere al pagamento delle penali originariamente convenute tra le parti.

5.1. Il motivo è inammissibile in relazione a ciascuno dei profili dedotti.

Con riguardo all’aspetto relativo alla dedotta violazione di legge, osserva il collegio come con il motivo in esame la società ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – abbia allegato un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).

Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti.

Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

Ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892).

5.2. Quanto al profilo concernente la dedotta insufficienza o illogicità della motivazione, ritiene il collegio che la società ricorrente non abbia adeguatamente soddisfatto i requisiti imposti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo attualmente in vigore, applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame).

Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, infatti, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza della ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede.

6. Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Non vi è luogo all’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo la ETI s.r.l. svolto alcuna difesa in questa sede.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016

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