Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22923 del 13/08/2021

Cassazione civile sez. I, 13/08/2021, (ud. 10/06/2021, dep. 13/08/2021), n.22923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20819/2020 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Gela presso lo studio del suo

difensore avv. Giuseppe Oreste;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 360/2020 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 19/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/06/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza nr360/2020 la Corte di appello di Caltanissetta ha respinto l’appello proposto da A.A., cittadino del Pakistan, proveniente dal Punjab, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Caltanissetta condividendo la valutazione espressa dal primo giudice in merito al rigetto delle misure di protezione invocate.

Osservava che il racconto del richiedente doveva considerarsi lacunoso e contraddittorio e privo di adeguati riscontri in merito alla vicenda narrata.

Escludeva la sussistenza di una violenza generalizzata sulla base dei reports COI relativi alla zona di provenienza dell’appellante e dei requisiti per fruire di una protezione umanitaria.

Avverso tale sentenza A.A. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui non replica il Ministero degli Interni.

Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, lett b) e d) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per radicale travisamento della prova su un fatto decisivo della controversia.

Si censura il travisamento del contenuto delle dichiarazioni rese in sede di audizione dinnanzi alla Commissione territoriale da parte della Corte di appello e l’utilizzo ai fini della decisione del rapporto Easo di ottobre 2018 e 2019,documento non versato agli atti e erroneamente valutato.

Si afferma che il richiedente avrebbe assolto al proprio onere di allegazione specificando in modo chiaro e coerente come a causa della proprio fede religiosa (sciita) fosse stato attaccato dalla gente del villaggio di fede sunnita.

Con il secondo motivo si denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (c.d. protezione sussidiaria) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per radicale travisamento della prova vertente su un fatto decisivo della controversia.

Si censura la valutazione espressa dalla Corte in merito alla situazione del Paese e all’assenza di condizioni di violenza indiscriminata.

Si lamenta/altresì nel corpo del motivo la mancata attivazione del potere di integrazione istruttoria del giudice che avrebbe dovuto accertare se il rimpatrio determini la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani sostenendo che il ricorrente avrebbe diritto alla protezione umanitaria per la sua particolare situazione di vulnerabilità derivata dall’allontanamento dal suo Paese stante la compromissione dei diritti umani e la violenta contrapposizione esistente fra due etnie.

Il primo motivo è inammissibile.

Rileva il Collegio che, come ancora chiarito da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benché sfornita di prova (perché non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013).

Principio affatto analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015).

Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta

di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi

la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

Nella specie la Corte ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente (cfr pag 5 della sentenza) sulla base di elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Il secondo motivo è del pari inammissibile è posto che il giudice di merito, al contrario di quanto allegato dal ricorrente, esamina in modo specifico questo profilo, indicando le fonti informative citate e le notizie da esse tratte (pag 6). Il ricorrente non deduce, nel motivo in esame,, l’esistenza di fonti informative diverse, più specifiche e più aggiornate, di quelle richiamate dal giudice di merito, e dunque non assolve l’onere di specificità previsto per il giudizio in Cassazione.

Sul punto, è opportuno ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

Con riguardo alla protezione umanitaria si osserva che manca nella rubrica l’indicazione della norma che si assume violata e che la censura riportata nel corpo del motivo è genericamente formulata, senza una critica incentrata sulla ratio decidendi del provvedimento impugnato e senza indicare quali fossero le serie ragioni di vulnerabilità soggettive idonee a legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per finalità umanitarie.

La doglianza è pertanto inammissibile.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte va dichiarata l’inammissibilità del ricorso:

Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

PQM

La corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento” da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021

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